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Quotidiani: orgia di termini inglesi

Poi ci si lamenta che gli italiani non leggono i quotidiani

di Adriano Todaro - mercoledì 12 gennaio 2022 - 2424 letture

Spesso si fanno preziose discussioni, convegni approfonditi, dibattiti illuminati sulla crisi dei quotidiani. Studiosi pensosi e dotti ci spiegano come risalire la china della crisi delle vendite dei quotidiani e non solo. Coloro i quali non leggono i quotidiani non sono italiani informati. E non si possono definire informati se guardano passivamente solo la Tv o ascoltano solo la radio.

Questi mezzi di comunicazione di massa (soprattutto la TV), fanno entrare la notizia nelle orecchie, ma non nel cervello. In testa non si trattiene nulla anche perché siamo talmente bombardati da tante notizie che l’ultima notizia appresa scaccia la penultima. Siamo convinti di essere informati, ma così non è e, soprattutto, non sappiamo spiegare la notizia.

D’altronde, la struttura stessa della TV non agevola l’informazione. In mezz’ora nei TG ci stanno dal 20 alle 25 notizie. Non c’è tempo per spiegare, per far riflettere…

Oltre a questi “blocchi”, voglio sottolineare un altro elemento che concorre a non far acquistare il quotidiano: il linguaggio. I quotidiani (quasi tutti) sono scritti per iniziati e utilizzano linguaggi e termini che raramente la stragrande maggioranza degli italiani si avvale tutti i giorni. Molti giornalisti ‒ per coprire la loro pochezza culturale ‒ si rifugiano nel gergo politico e non solo utilizzando termini a prima vista forbiti, ma spesso inutili.

Questo modo di scrivere, fa sì da allontanare decisamente tanta parte dei lettori spingendoli così a rifugiarsi nella passiva accettazione dell’informazione televisiva. D’altronde perché mai spendere 2 e più euro al giorno per il quotidiano quando le notizie le ho dalla TV?

I grandi giornalisti (In Italia ne abbiamo avuti molti), si facevano capire da tutti i lettori, sia dagli operai che dai laureati. Anche ora abbiamo grandi giornalisti e sono quelli, guarda caso, che scrivono in modo chiaro e capibile. Un giornalista che si fa comprendere da tutti, è un grande giornalista. Gli altri, quelli che si atteggiano a intellettuali, non saranno mai grandi giornalisti.

E qua voglio sottolineare un’altra manchevolezza della stampa italiana, un’altra zavorra che condiziona pesantemente lo sviluppo e la diffusione, particolarmente, dei quotidiani.

Ieri stavo leggendo su un quotidiano di grande tiratura, una cronaca relativa al Covid quando, nel bel mezzo dell’articolo, mi sono trovato il seguente termine: too little, too late. Ohibò! Che mai significheranno, mi sono chiesto, quelle parole? Il giornalista si è guardato bene dallo spiegare a noi ignoranti della lingua inglese, cosa significassero. E così ho dovuto abbandonare la lettura, alzarmi e andare a prendere un dizionario inglese-italiano. Tutto questo agevola o allontana il lettore dai quotidiani? Tradotto, significava troppo poco e troppo tardi. E, allora, mi domando: non era più semplice e agevole scriverlo in italiano? Cosa voleva dimostrare quel giornalista? Di essere conoscitore della lingua inglese?

Provinciali, appunto. E sempre per stare in tema Covid è un’orgia di termini inglesi a cominciare da lockdown (confinamento). Questo termine ormai lo usano tutti anche fuori luogo. Ricordo, nei primi mesi del Covid, nel 2020, che mi ero recato dalla mia prestinaia per acquistare un certo tipo di pane. La risposta era stata più o meno: «Mi spiace, ma non è arrivato. Colpa del locdoun». E dopo questo termine, ecco che spuntano gli hot spot (punto di accesso), gli hub (centro), i booster (dose di richiamo), il triage (smistamento) e, naturalmente, il green pass più o meno rafforzato (passaggio verde o permesso). E, naturalmente, tanti altri termini che si potrebbero benissimo tradurre in italiano. Il fatto è che questa brutta abitudine è alimentata, giornalmente, da ministri e sottobosco politico i quali si esprimono con termini astrusi che noi, poveri tapini incolti, non riusciamo a comprendere. Basti ricordare l’ultimo decreto legge sul Covid dell’attuale governo che a confronto della meccanica quantistica rende questa teoria fisica molto semplice.

E non è solo una questione di Covid. Cosa significa, ad esempio, in una cronaca sindacale, che «i dipendenti sono obbligati a flaggare la schermata del software gestionale»? Siamo sicuri che non si poteva scrivere la stessa cosa senza utilizzare questi termini. E poi troviamo over booking, unfit, lost in transition, crowdfunding, ecc. Un’attrice è stata definita childfree. Non si poteva scrivere, più semplicemente, che non aveva figli? E come dimenticare quando è stato nominato (l’ennesimo) presidente del Consiglio Mario Draghi. Per settimane è stato un fiorire continuo della stessa frase: whatever is takes (tutto ciò che serve). Con Draghi ‒ onnipotente e osannato a destra e a sinistra ‒ in pratica avevamo tutto ciò che ci serviva. Infatti, abbiamo visto. Ma questo è un altro discorso.

La lingua italiana è molto bella e musicale. Bella e difficile. Basti pensare ai congiuntivi che pochissimi sanno usare. La lingua di grandi intellettuali e studiosi (Dante, padre della lingua italiana), eppure nei giornali ci si continua a baloccare con Road map per Recovery plan, bodyshaming, catcalling e amenità del genere. Come si fa a continuare ad acquistare i quotidiani se essi continuano a propinarci termini di una lingua che non è la nostra, che non fa parte della nostra cultura?

Il problema è che manca, nei giornalisti, l’umiltà. Non scrivono in modo semplice, non usano il linguaggio corrente, non evitano espressioni ricercate per non passare per quelli che non sanno le cose, che sono senza cultura. E, spesso, così sbagliano per pigrizia, per distrazione, per la fretta continua che vige in tutti i giornali. Non è un caso, infatti, che i testi nei giornali siano pieni di errori e non solo perché mancano i correttori, figura importantissima oggi completamente abolita. Un lavoro importantissimo, quello dei correttori, oggi demandato al correttore automatico dei computer (sic!).

Una volta Indro Montanelli ‒ giornalista da me non particolarmente apprezzato, dal punto di vista politico, ma certamente un grande nella scrittura ‒ aveva affermato che i giornali finiranno, col tempo, per essere un prodotto di nicchia, così come le posate d’argento da esibire solo nei pranzi ufficiali. Ci siamo arrivati. Ormai siamo una minoranza che utilizziamo i quotidiani, così come le posate d’argento che io non uso.

Parafrasando la mania di scrivere nei giornali italiani in inglese, direi proprio che i giornalisti italiani sono unsuitable o unfit. Ma, forse, si capisce meglio nella nostra lingua: inadatti. Ecco, appunto.


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