Materialismo ecclesiale
Il problema per la Chiesa cattolica non è l’eutanasia ma è il Corpo
«Non si può staccare la spina, la natura deve fare il suo corso perché questa è la volontà di Dio». Ma è uno strano concetto di natura quello che vede in una persona intubata da anni, alimentata con sonde, circondata da una miriade di macchinari...qualcosa di “naturale”. È chiaro, invece, che senza una tecnologia potente e dispiegata quella persona sarebbe “naturalmente” morta da molto tempo. Consentire alla natura di fare il suo corso implica lasciare morire chi si trova in simili condizioni. Fare altrimenti significa sancire la vittoria dell’artificiale sul naturale.
La radice profonda di una simile contraddizione della Dottrina cattolica non è di tipo morale ma antropologico e metafisico. Da sempre infatti –e nonostante la speranza nella resurrezione dei corpi- la Chiesa disprezza la Corporeità umana, riducendola a ciò che in tedesco si dice Körper –il puro organismo fatto di tessuti, liquidi, ossa, muscoli…- mentre la grandezza del Corpo è il suo essere Leib, che non è –appunto- l’organismo silenzioso e morto ma è la Corporeità aperta ancora al mondo, alle relazioni, alla conoscenza, all’esperienza, a tutto ciò che un corpo nutrito artificialmente e privo di consapevolezza non può più fare.
La Chiesa cattolica si trova così in pieno accordo con gran parte della medicina contemporanea, il cui approccio “scientifico” –e cioè soltanto organicistico- alla corporeità si fonda proprio su una visione puramente strumentale e cosale di ciò che l’essere umano è. Per la medicina occidentale il corpo è infatti una cosa fra le altre che ci si illude, quindi, di poter dividere in parti, sezioni, organi, funzioni, che si crede di poter analizzare, diagnosticare e guarire in modo separato dall’intero. La medicina costruisce così per se stessa una corporeità frammentata, oggettivata e non vissuta. Difficilmente, quindi, compresa nella sua complessità e nella continuità fra salute e malattia. Gran parte della scienza medica e la dottrina morale cattolica sono costruite sulle schegge dell’umano, sui suoi brandelli invece che sulla interezza del corpo-tempo-mondo. L’attenzione estrema alla durata quantitativa dell’esistenza –l’accanimento terapeutico- costituisce l’inevitabile conseguenza della riduzione della corporeità all’organico e della chiusura alla qualità esistenziale del tempo vissuto.
La Corporeità non è per l’uomo l’insieme delle funzioni metabolizzanti ma è soprattutto corpo attivo e consapevole di sé, percezione del mondo, flusso delle esperienze vitali, «il corpo umano è una formazione molto più perfetta di qualsiasi sistema di pensieri e di sentimenti, anzi molto superiore a un’opera d’arte…» (Nietzsche, Frammenti postumi 1884, 25[408]). La radice più profonda della soggettività, della memoria, dell’essere persona, risiede sempre in questo corpo temporale, nel percorso che il grumo di materia che siamo traccia e lascia dietro di sé e che lo identifica sempre, nonostante gli enormi cambiamenti che esso subisce dalla nascita alla fine. È ciò che Husserl definisce, con efficacia, come la sfera «primordinale» del corpo vissuto, la quale è assai più che un Körperhaben, l’avere un corpo, e diventa un Leibsein, l’essere una corporeità consapevole, immersa nelle relazioni e quindi davvero…naturale.
L’accanimento terapeutico della dottrina cattolica non ha pertanto nulla di spirituale e rappresenta invece una forma malamente mascherata di rozzo materialismo.
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Beh, per la Chiesa Cristiana Cattolica non è mai stato un problema cadere in contraddizione. Del resto se Trinità è uno e trino, che mai ci dovremmo aspettare? La massima del credo quia absurdum contiene anche il fatto che una cosa è creduta vera se assurda. Questa naturale innaturalezza dei discorsi cristiani è insita nella logica di fondo del cattolicesimo. Si aggiunga a questo, cosa bene espressa da Biuso, la considerazione che il cristianesimo ha per il corpo: esso esprime e radicalizza il concetto platonico di corpo come tomba dell’anima. Il corpo fa parte della mondanità, l’anima del Regno dei Cieli; il mondo è materia, l’anima Spirito. Concordo in pieno, pertanto, con la definizione di materialismo cui accenna Biuso. Voglio riportare, inoltre, un episodio narrato da Usama ibn Munqidh (lo potete trovare in K. Flasch, "Introduzione alla filosofia medievale", Einaudi, Torino 2002, pagg. 125-126; io lo accorcio solo un po’). Dunque: siamo ai tempi delle crociate; un nobile franco e la propria moglie vengono curati da un medico arabo; il primo aveva un ascesso a una gamba: allora il medico arabo prescrive un impacco e l’ascesso si sgonfia. La donna soffriva di una non meglio precisata "aridità"; il medico le prescrivere una dieta ferrea, fatta di verdure fresche. Ma venne convocato pure un medico tedesco, che vista la gamba tentò di troncarne la parte malata a colpi d’accetta; finisce che il paziente muore dissanguato. Ma il medico cristiano non si ferma; dice che la donna è invece posseduta da un demone e che le si devono rasare i capelli, sostituì la dieta con aglio e senape. Ma la malattia continuava e allora il medico, dicendo che il demone era penetrato nella testa. Le praticò un’incisione a forma di croce sul cranio, spostò i lembi di pelle, liberò il cranio e lo frizionò con del sale. La donna morì sull’istante. La differenza tra la medicina araba e quella cristiana (almeno nel medioevo) era una differenza abissale, dovuta al diverso contesto culturale e religioso. Ma la medicina occidentale si porta ancora dietro la mania dell’affettare. Di contro, per esempio, all’omeopatia, all’erboristeria e affini, la chirurgia appare d’una brutalità strana (anche se a volte necessaria). Se il corpo si ammala perché "posseduto" dalla malattia, allora questa è da estirpare con ogni mezzo, per farla fuoriuscire. E questo è un presupposto che deriva dal cristianesimo, anche di contro alla teoria greca degli umori. In ogni caso, per il cristianesimo non si danno malattie psicosomatiche; ma io sono convinto che, in un modo o nell’altro, ogni malattia sia intimamente tale.
Pur essendo d’accordo con l’impostazione teorica dell’articolo la sua intransigenza mi fa pensare che non solo le madri ed i padri di freudiana memoria vanno uccisi, ma anche le chiese ideologiche che per andare troppo oltre diventano irrealistiche. La vita è intessuta spesso di dolore e malattia e lì, al di là dei velleitarismi, sono i chirurghi a prendere tutte, ma proprio tutte, le responsabilità di aprire un corpo umano per restituire all’uomo una vita con prospettiva. Non essendo affettattori ma professionisti possiamo non sempre dispiegare tutta l’umanità auspicabile nel rapporto con il paziente, ma questa è una faccenda differente legata a tutte le professionalità e certo anche alla società che le educa. Penso che le forti convinzioni vadano coniugate ad un messaggio la cui qualità possa permettere ad altri di accostarsi pur partendo da posizioni diverse. Non si è mai assisitito a cambiamenti di opinioni solo perchè l’altro è più convinto, ma solo se più convincente. Sono quasi rammaricata nello scrivere tutto ciò, ma sento l’esigenza di far sentire la realtà della prassi professionale quotidiana non solo di medico, ma di chirurgo che cura chiunque al di là dei credi e che di fronte a gambe o cervelli che non funzionano ha l’obbligo di parcellizzare e curare quell’organo per cui l’omeopatia o l’erboristeria davvero poco poterebbero! Il prof. Biuso per posizione professionale e culturale potrebbe davvero tanto su questa strada carmen dollo
In tutta onestà, non riesco a prendere posizione in materia di eutanasia o accanimento terapeutico. Ma riconosco, seppur malvolentieri, che le intransigenze della Chiesa assomigliano a certe ostinazioni infantili più che a orientamenti ragionevoli e responsabili. C’è da riconoscere, allo stesso tempo, che ’cedere’ di fronte ad una sola delle richieste che questo tempo eccessivo avanza, la costringerebbe, a rigor di logica, a modificare non solo le sue posizioni, ma probabilmente anche a dover rimettere in discussione i suoi dogmi. Ho l’impressione che, per evitare questa conclusione, si macchi di illogicità già nei suoi fondamenti. Al ’credo quia absurdum’ si fa seguire il ’credo ut intellegam’. Da cui seguirebbe il paradossale ’intellego absurdum’... La medicina occidentale è malata. Non c’è neppure bisogno di prendere ad esempio casi estremi: è sufficiente pensare ai ’test’ d’ammissione che decretano chi è in grado di essere medico e chi no. Avere ottime conoscenze in chimica, fisica, matematica, ecc. non sembra implicare predisposizione alla vita altrui o all’intuito diagnostico. Sandro Passavanti
Caro Alberto, anche questa volta mi trovi del tutto consenziente. Aggiungerei un altro risvolto della contraddittorietà ’interna’ alla posizione cattolica su questo argomento: da una parte si sostiene che la vita terrena è germoglio di vita eterna, dall’altra si fa di tutto per ...evitare che il germoglio diventi fiore e frutto.
I valdesi, e più in generale le chiese protestanti, hanno a riguardo delle posizioni molto più logiche e molto più...evangeliche.
Augusto Cavadi