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Le elezioni in Iraq? Un boomerang: intervista a don Franzoni

"Gli sciiti vogliono uno stato islamico, praticamente senza margini di trattativa. E in base a questo, non so neanche come andrebbe a finire se gli U.S.A. in un futuro prossimo decidessero di occupare anche l’Iran..."

di Redazione - mercoledì 16 febbraio 2005 - 6126 letture

Don Giovanni Franzoni è nato in Bulgaria nel 1928, dove il padre toscano si era trasferito per lavoro, ed è cresciuto a Firenze; studente di teologia presso il Pontificio Ateneo di Sant’Anselmo di Roma, viene ordinato prete nel 1955, e negli anni sessanta insegna storia e filosofia nel Collegio di Farfa. Il 3 marzo 1964, il Capitolo dei monaci benedettini dell’Abbazia di S. Paolo fuori le Mura, "postula" Franzoni come proprio abate, con l’assenso della Santa Sede. Da oltre quarant’anni, l’attività pratica e teorica di Don Giovanni Franzoni è rivolta alle popolazioni più povere del pianeta, senza dimenticare le responsabilità e i problemi delle società avanzate. La sua ultima iniziativa lo impegna come presidente dell’ associazione "Amicizia Italia-Iraq", nata per cercare di favorire la costruzione di un rapporto etico e culturale tra iracheni e il resto del mondo, oltre le barricate imposte dalla guerra in corso.

Don Franzoni, in base alla sua esperienza, come giudica l’attuale situazione in Iraq?

Questa è una domanda da cinque milioni di dollari. Prima della guerra c’era un sistema dittatoriale, messo però in piedi dalle potenze occidentali, e in particolare proprio da quelle americane, che favorivano soprattutto economicamente il conflitto con l’Iran. Ora, dopo i motivi pretestuosi che abbiamo visto e scoperto, si è creato un disordine anche maggiore, provocato tra l’altro dal fatto che i confini prima controllati dal regime, si sono trasformate in frontiere completamente incustodite, attraverso le quali possono incunearsi bande armate, sfruttatori economici e quant’altro. Quindi direi una situazione affatto semplice.

Le recenti elezioni sono un effettivo passo in avanti per il raggiungimento di una soluzione veramente democratica e di pace nel paese?

Sono state fatte elezioni abbastanza strane, e infatti, guarda caso, ancora non se ne conoscono i risultati. Il problema, soprattutto per gli americani, è che le formazioni sciite sembrano in testa rispetto all’esito elettorale, e questo non credo rientrasse nei piani statunitensi. Gli sciiti vogliono uno stato islamico, praticamente senza margini di trattativa. E in base a questo, non so neanche come andrebbe a finire se gli U.S.A. in un futuro prossimo decidessero di occupare anche l’Iran. Paradossalmente, queste elezioni tanto volute potrebbero rivelarsi un boomerang per loro.

La presenza di forze militari americane e alleate è ancora così necessaria per garantire un minimo di vivibilità, o piuttosto complica il rapporto tra le varie rappresentanze politiche e religiose irachene?

Non vorrei apparire troppo categorico, ma per avere qualche possibilità per trovare il bandolo di questa intricata matassa, credo che i militari attualmente presenti in Iraq, se ne debbano andare, e sul serio, il più presto possibile, magari favorendo diplomaticamente una presenza dell’Onu che inizi una fase completamente nuova, senza saldarsi con chi li ha preceduti.

Quali sono le sue sensazioni sulla vicenda della giornalista Giuliana Sgrena?

Nessuna. Noi dell’associazione abbiamo mandato alcuni nostri rappresentanti al National Iraqi Foundation Congress, ma le notizie rimangono vaghe. Bisogna continuare a far penetrare questo messaggio di una giornalista che era lì per riportare in Italia e in Europa il grido di dolore di un popolo. Non credo che i rapitori siano una banda a caccia di denaro, quanto piuttosto corpi slegati dell’opposizione, che come sempre accade in queste situazioni agiscono di testa loro. Sono gruppi che nascono all’improvviso, penetrano nella situazione di caos, e politicamente si autogestiscono. Corpi errabondi di cui qualcuno a un certo punto diventa capo. Ma sono fiducioso. E la stessa posizione degli ulema e degli sciiti mi fa sperare.

Di cosa si occupa associazione "Amicizia Italia-Iraq" di cui è presidente?

Devo subito fare una precisazione. L’associazione, nata il quattordici luglio scorso, è stata registrata con il nome "Amicizia Italia-Iraq. L’Iraq agli iracheni", per distinguersi da un’altra che aveva lo stesso nome "Amicizia Italia-Iraq", ma che tratta ambigui rapporti economici tra i due paesi. Siamo persone di ogni origine e cultura, che in particolare si adopera per stabilire contatti con quei gruppi di partiti nazionalisti, che mettono al primo posto dei loro obiettivi uno stato iracheno in cui uomini e donne di qualsiasi estrazione siano posti sullo stesso piano: religiosi si, ma anche tolleranti. Noi possiamo operare soltato a livello di informazione, di comunicazione, e la nostra prossima iniziativa sarà quella di portare in Italia il Presidente del National Iraqi Foundation Congress, che è sciita, insieme anche a un Imam sunnita e a un membro del partito curdo del Pkk, oltre a una presenza femminile. Credo che ci riusciremo dopo la metà di marzo. Sarebbe un buon auspicio per la prossima Pasqua.


Intervista a cura di Emiliano Sbaraglia per www.aprileonline.info n° 199 del 12/02/2005.


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