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Le "Autobiografie non vissute" di Mia Lecomte

"Posso annusarti ora/la tua nuca è una brace /di presenze selvatiche/ aria corta e rovente"

di Maria Gabriella Canfarelli - mercoledì 28 aprile 2004 - 6840 letture

Le "Autobiografie non vissute" di Mia Lecomte

Per concavità corporali (nuca, ascelle, ginocchia e braccia piegate nello snodo articolare che modifica la forma, la riplasma) è rappresentata la poesia di Mia Lecomte in "Autobiografie non vissute" (Manni, 2004).

E ed è lo scavo, o meglio l’incavo accogliente ogni ulteriore possibilità del corpo e dell’anima, con le piccole morti quotidiane che sorprendono l’uno e l’altra, in uno svelamento pacatamente progressivo, la sostanza di piccoli trasalimenti a stemperare antiche e nuove crudeltà quasi con stupore da che pare "di essere morto soltanto un poco", quel che basta per disciplinare il sentimento della perdita.

Una disciplina, anche, poetica. La ragione, il setaccio, guardiano e al contempo misura d’una poetica sapienziale che procede per slittamenti e rinvii, rovesciando le situazioni già date, sigillo di un codice lieve, pregno di ciò che si tace, nella serafica attesa di flussi e rimandi "allagando e ancora essiccando / la porosità dei corpi".

Qui si racconta lo strappo e qui si ricompone, si espone ogni ricettacolo, si scrive della vita "che rimane / quando si è perduto tutto".

Esplicitazione temeraria e radicale pure nel gioco lieve delle parole: il dolore, il pudore di questo a conclamarsi negli strati della materia, involucro deteriorabile - il suo dire e il suo farsi "guscio di ogni guscio"-, il desiderio da conquistare, partendo dall’incavo ascellare o della nuca, sono temi d’una ricerca che non vuole concludersi, anzi, è rinviata al passo successivo, un procedere lento che genera costante attesa della sensualità rivelata e risolta nel triplice rapporto visivo-tattile-olfattivo.

Autodisciplina per il "conflitto insanato" "tra il corpo e il suo gesto" perché nulla si perda, si sciupi, e tutto della vita possa essere ragionevolmente accolto; voce che usa il verbo potere "per farmi trovare", scrive Lecomte nella sezione "Periodo ipotetico", perché la possibilità è varco, apertura, assenso.

E dunque scrive: "Puoi guardarmi ora / aspetto il tuo sguardo"e, nel secondo movimento: "Posso guardarti ora aspetti il mio guardo"; e subito entra in gioco l’olfatto: "Posso annusarti ora/la tua nuca è una brace /di presenze selvatiche/ aria corta e rovente"; e dopo, la tattilità: "Puoi toccarmi ora/riplasmare a piacere/questa docile forma", tocco che prelude "a placare / il dolore proprio in mezzo/ all’assenza di te dentro me, /ritrovarmi tutta all’interno".

Una reversibilità concisa e netta, scrive il prefatore Predrag Matvejevic, da cui "risulta una poetica intimista, discreta (...) e allo stesso tempo aspra, forte, espansiva".


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