L’ozio / di Leonardo da Vinci

di Redazione Antenati - domenica 1 maggio 2005 - 4945 letture

Uscendo un giorno il rasoro di quel manico col quale si fa guaina a se medesimo, e postosi al sole, vide il sole ispecchiarsi nel suo corpo: della qual cosa prese somma groria, e rivolto col pensiero indirieto, cominciò con seco medesimo a dire:

"Or tornerò io piú a quella bottega, della quale novamente uscito sono? Certo no; non piaccia alli Dèi, che sí splendida bellezza caggia in tanta viltà d’animo! Che pazzia sarebbe quella la qual mi conducessi a radere le insaponate barbe de’ rustichi villani e fare sí meccaniche operazione! Or è questo corpo da simili esercizi? Certo no. Io mi vogli[o] nascondere in qualche occulto loco, e lí con tranquillo riposo pasare mia vita". E cosí, nascosto per alquanti mesi, un giorno ritornato all’aria, e uscito fuori della sua guaina, vide sé essere fatto a similitudine d’una rugginente sega, e la sua superficie nonispecchiare piú lo splendiente sole. Con vano pentimento indarno pianse lo inriparabile danno, con seco dicendo:

"O quan[to] meglio era esercitare col barbiere il mi’ perduto taglio di tanta sottilità! Dov’è la lustrante superfizie? Certo la fastidiosa e brutta ruggine l’ha consumata!".

Questo medesimo accade nelli ingegni, che ’n scambio dello esercizio si danno all’ozio, i quali, a similitudine del sopradetto rasoro perden la tagliente suttilità e la ruggine della ignoranzia guasta la sua forma.

Leonardo da Vinci, Favole, 29 (Atl., 175 v.a) - (L. da Vinci, Scritti letterari, Rizzoli, Milano, 19914, pag. 91)


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