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L’accentuazione del villaggio globale ed i nuovi mestieri del Web

Lavorare sul web. Con Internet si è accentuato il fenomeno del villaggio globale. Ovvero, si è avuta la percezione che il mondo, nella sua vastità potesse essere considerato come un villaggio.

di Paola Fagone - venerdì 3 novembre 2006 - 4915 letture

Quante cose possiamo fare con Internet? Scaricare musica per il lettore MP3, seguire un corso di lingue, fare acquisti, possedere un conto corrente on-line e determinarne i movimenti. Tutto questo comodamente seduti nelle nostre case, con il confort di non dovere uscire e vivere la vita direttamente. Secondo McLuhan con Internet si è accentuato il fenomeno del villaggio globale. Ovvero, si è avuta la percezione che il mondo, nella sua vastità potesse essere considerato come un villaggio. In un villaggio di pochi abitanti è facile allacciare relazioni interpersonali. Ciò che è immensamente grande può essere riconsiderato immensamente piccolo.

Lavorare sul web è l’ultima frontiera. I dati forniti sono incoraggianti, secondo il rapporto fornito da Assinform, l’associazione dei produttori di tecnologie e di servizi, secondo la ITC (Information and Communication Technology) sono in aumento i lavori sul web, che in molti casi si possono fare da casa. Il settore telematico fornisce ampi strumenti e spazi che stimolano la creatività, consentendo a molti giovani tra i 20 e i 30 anni nuove opportunità di lavoro per un settore, quello telematico, in continua espansione.

La web career è la prospettiva futura per migliaia di giovani formati dalla scuola alle nuove professioni. Dai nomi incomprensibili, per lo più di matrice anglosassone (webmaster, webeditors, webdesigners, videostreaming, e-learning, etc.), si parla di nuove figure creative che, attraverso il web, forniscono dei servizi e consentono la facilità di accesso ai numerosi utenti di tutto il mondo. Milioni di persone infatti, curiosi, informatissimi e molto esigenti, ad ogni ora del giorno, in ogni parte del globo, richiedono dei servizi che prevedono una risposta pronta e soddisfacente.

Far parte di una community significa avere dietro una serie di progettisti, di creativi, di programmatori informatici che organizzano un efficiente servizio di risposta alle svariate ed infinite possibilità di accesso fornite dalla rete. La rete in questo senso è al servizio del mercato, la globalizzazione in qualche modo torna ad essere affare del mercato, come alle origini del fenomeno. Attraverso Internet, infatti, si spostano ingenti capitali, in luoghi non fisici, lontani; si vendono e si acquistano servizi, oltre che beni di facile consumo. Tutto è ridotto al commercio, alla pubblicità, alla possibilità di incuriosire più utenti possibili, che poi sono potenziali acquirenti. Grosse aziende si affidano al business virtuale, essere in rete significa avere maggiore visibilità, avere la possibilità di fare affari molto vantaggiosi.

I prodotti e i servizi offerti dalla rete possono essere impalpabili, mirati a sondare i gusti e scoprire le attitudini del pubblico. Esiste il “marketing virale”, una specie di gioco che mira a coinvolgere più utenti possibili, consentendo loro di partecipare a giochi a premi e raccolta punti che permetteranno la fruizione di servizi di varia natura. Le semplici testate on-line, che in qualche modo dovrebbero sostituire il supporto cartaceo del giornale, hanno dietro una sorta di redazione virtuale con tanto di profili professionali ben definiti e qualificati.

La “rapidità” è la parola d’ordine, non è pensabile la perdita di tempo dell’utente che, immediatamente si annoia ed è pronto a cambiare pagina. La velocità di fruizione ha accorciato le distanze, dilatato le possibilità d’incontro ma, per certi versi, ha reso fittizie le relazioni. Dietro ogni computer ci sono milioni di persone che si spacciano per qualcun altro. Tutto è virtuale e regolato sulla finzione, sulla tutela dell’anonimato. Si può studiare, incontrare virtualmente qualcuno che fisicamente non vedremo mai da vicino, si può amare. Il contatto diretto con le persone può essere sublimato, accorciato dal punto di vista della distanza, sapere che possiamo comunicare con un nostro coetaneo dalla parte opposta del mondo può essere molto eccitante, ma in termini di relazioni umane, quanto può essere positivo tutto ciò?

E’ una previsione del rischio mai considerata, Internet con il suo dinamismo, la possibilità di dare forma ai pensieri e voce alle problematiche, agli interessi di un pubblico per lo più giovanile, sembrerebbe il canale privilegiato per potere esprimere una sorta di armonia tra le culture. Un banco di prova rispetto al multiculturalismo, filtrato però dalla possibilità di spegnere il bottone o di passare avanti se questa commistione non dovesse essere di nostro gradimento.

La massificazione del villaggio globale ha portato alla diffusione di una cultura unica, valida per tutti i continenti. Chi è in grado di essere presente attraverso il web, di riflesso lo è in tutti quei luoghi fisici, che non sono altro che i territori. Il “non luogo” della rete è un concetto relativo. Tutti possono essere o non essere in un luogo diverso. Una omologazione trasversale colpisce la società contemporanea. Non vi è possibilità di esprimere pensieri autonomi, originali, non approvati dalla logica mediatica. I loghi, le icone, i segni di riconoscimento validi per uno stato, sono validi per un altro, anche di cultura e tradizione opposta. E tutto ciò non si estende al solo commercio telematico, l’e-commerce, ma anche agli altri aspetti del vivere.

La disconnessione tra luogo fisico e luogo sociale fa parte della stessa esistenza della rete. Seguire un avvenimento senza subirne la diretta conseguenza avviene ogni giorno, anche guardando il semplice telegiornale. Tutto ciò si accentua nel caso della rete, poiché ci consente di partecipare emozionalmente, anche se per poco, all’avvenimento. Le emozioni vissute in così breve tempo sono una conseguenza della fruizione della rete. Ogni evento si consuma in pochi secondi e quello che sembrava fortemente coinvolgente, qualche istante dopo ci appare noioso, lontanissimo.

Vivere l’esperienza virtuale significa anche non avere la percezione del pericolo, inteso come avvenimento che sfugge al controllo della nostra volontà. Possiamo assistere alla proiezione di immagini dello tsunami, sentirne l’orrore, provare pietà umana per le vittime e tornare ad aprire il frigo e mangiare uno spuntino come se nulla fosse accaduto, perché troppa la distanza tra il luogo fisico e il luogo sociale dove si apprende la notizia. Il rischio non calcolato è relativo, invece, alle conseguenze che questo atteggiamento può innescare nella nostra mente. Considerare le cose che avvengono nel mondo troppo lontane da noi può disattivare la percezione istintiva del pericolo. Vivere la morte come un evento distante, paragonabile a quello fornito dalle sequenze di un film o di un videogiochi potrebbe essere devastante per l’uomo.

Cosa produrrà Internet sugli individui? Quale rischi correrà la società rispetto a tutto questo vivere virtuale? Sono temi importanti che dovremo affrontare prima o poi. L’essere umano necessita di calore umano, e il calore umano è fornito solo dalle relazioni interpersonali, attraverso l’intuito, l’odore, il tatto, il gusto, la vista, l’udito interagendo con i propri, anche con rapporti empatici scaturiti dal contatto. Uno schermo, per quanto preciso, affidabile, non sarà mai in grado di riprodurre tutto ciò, non sarà mai in grado di stabilire relazioni vere, di soddisfare relazioni umane.


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