L’Italia neoguelfa

La deferenza della Repubblica al Vaticano

di Alberto Giovanni Biuso - giovedì 1 maggio 2008 - 2451 letture

Insediandosi nella sua carica, il nuovo presidente della Camera dei deputati ha, tra l’altro, detto: «Un deferente omaggio lo rivolgo al Pontefice Benedetto XVI, guida spirituale della larghissima maggioranza del popolo italiano ed indiscussa autorità morale per il mondo intero, come dimostrato anche dal suo recente mirabile discorso alla Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La laicità delle istituzioni è principio irrinunciabile della nostra come di ogni moderna democrazia parlamentare. Ed è proprio nel nome di tale principio che il Parlamento deve saper riconoscere il ruolo fondamentale che, nell’arco dei secoli, la religione cristiana ha avuto, e ha tuttora nella formazione e nella difesa della identità culturale della Nazione italiana». Lo stesso ha fatto il sindaco Alemanno. Anche il suo rivale sconfitto, Rutelli, non perde occasione di esaltare la funzione morale e politica del vescovo di Roma. E lo stesso gesto compiono tanti altri esponenti di partiti e istituzioni della Repubblica. Bisognerebbe chiedersi come e perché siamo arrivati a questo, al fallimento totale non solo del laicismo (poco male…) ma anche della laicità dello stato in Italia, al ritorno vincente di queste posizioni neoguelfe che vedono nel Papato il garante dell’identità della nazione.

Discorso non semplice certo, né breve. Qui mi limito a suggerire alcune ipotesi che a me sembrano verosimili:

- La vita culturale italiana dal 1946 è stata permeata oltre che dal cattolicesimo da un’altra Chiesa, quella di dottrina comunista. Tramontata la seconda, è rimasta a dominare la prima.

- La Chiesa cattolica ha una struttura simile alla massoneria (che da essa ha copiato...); garantisce quindi protezione e carriera –anche e soprattutto politica- a chi ne fa parte.

- Come cercai di argomentare in un volume di dieci anni fa, in Italia «il Sessantotto ha secolarizzato l’afflato religioso, ha visto nell’immanenza della storia il luogo della fine di ogni miseria e dolore. Ma si può concepire davvero una simile speranza senza rimanere nel profondo uomini di fede? Se l’adesione fu così ampia -e in coloro che credettero fu così totale- è perché lungi dall’essere espressione di laicità, il Sessantotto costituì l’avvento di un nuovo integralismo religioso. Mascherate da diagnosi economiche e sociali, le tesi dei suoi protagonisti mantengono tutta la carica omiletica propria di ogni invocazione religiosa e richiedono l’adesione integrale a un mistero di fede. La sua origine dal dissenso cattolico non è per nulla accidentale o secondaria. Tanto è vero che molti dei militanti di allora sono tornati a casa, hanno trovato compensazione dei fallimenti politici nella pluralità di forme di un rinnovato impegno ecclesiale. Erano credenti prima, sono tornati ad esserlo dopo. È cambiato solo l’atto di fede» (Contro il Sessantotto, Guida, 1998). Mi dispiace di aver avuto ragione.

- La dimensione religiosa è molto profonda, perché innata, nell’essere umano e va quindi analizzata, compresa e criticata al livello che merita, anche offrendo un’alternativa sacra e non soltanto scettica allo strapotere del monoteismo biblico. In caso contrario, il cattolicesimo in Italia rimarrà sempre vincente e pervasivo. Con gli effetti nefasti che ne conseguono sulla correttezza e sul pluralismo delle istituzioni repubblicane.

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