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Il posto delle fragole

di Armando Lostaglio - martedì 2 luglio 2013 - 4954 letture

Il posto delle fragole di Ingmar Bergman è uno di quei film-capolavoro (fra i tanti del maestro svedese) che riescono sempre a farci leggere il presente. E’ del 1957, molto tempo fa, gli stessi anni di quella generazione che ha forse sognato più di altre. Bergman ci racconta di un anziano medico che sogna di rifare l’esame di Stato: nel sogno gli viene chiesto: qual è il primo dovere di un medico? Lui non sa rispondere, rimane un po’ interdetto.

Eppure, insistono i commissari, è semplice: il primo dovere di un medico è quello di chiedere perdono. I capolavori anticipano le riflessioni che poi, da grandi, ognuno dovrebbe fare. Naturalmente all’anziano medico, si potrebbe sovrapporre l’immagine di qualsiasi professionista, o di lavoratore, che mette la sua opera al servizio degli altri.

L’accostamento che appare più formale e consueto in questi tempi è certamente quello dei lavoratori al “servizio” della cosa pubblica, quanti amministrano, decidono e talvolta non ne sono all’altezza. Chissà se, come il vecchio protagonista di Bergman, avranno mai avuto sogni inconsueti, incubi che li riconciliassero con la quotidianità, se saranno mai stati sfiorati dal dubbio di aver sbagliato, e quindi chiedere “perdono” delle cose non fatte bene, e del danno arrecato agli altri. Ne dubitiamo. Altrimenti la Scuola dei Gladiatori di Pompei non sarebbe crollata per incuria; le periferie non sarebbero così degradate; non ci sarebbe un caso Taranto, e nemmeno il clima di precarietà che investe soprattutto le giovani generazioni; e, salendo più in alto, non saremmo inghiottiti dal buco nero determinato dalle manovre incoscienti della grande finanza, che fagocita capitali e mercati sulla testa di chi si suda la vita quotidianamente.

Avessero mai chiesto perdono quanti siedono sullo scranno più alto del Palazzo e non ricordano il perché siano lì, non ricordano il giuramento di fede quelli dello Ior, non lo ricordano talvolta quei medici che hanno giurato sul testo di Ippocrate. Troppe dimenticanze, troppe anomalie in un sistema ammalato nel quale la buona volontà di chi si spende con carità e senso del dovere non sono mai abbastanza.

Ma basta un incubo, come nel film di Bergman, per sovvertire nel vecchio protagonista la fredda neutralità esistenziale ed un senso di nausea per una simile vita terrena. Solo l’affetto di chi lo ama può salvarlo dal tedio della solitudine. E non resta che rifugiarsi nel ricordo dell’infanzia, del primo amore, nel posto delle fragole luogo simbolo di primavera. Una primavera collettiva, gioioso e necessario posto delle fragole.


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