Anabasi, di Senofonte Libro I 1 1 Da qui si spinge attraverso l'Arabia, tenendo l'Eufrate sulla destra: nel deserto, cinque tappe per trentacinque parasanghe. In questa zona la terra era tutta indistintamente pianeggiante, uniforme come il mare, piena di assenzio. E se anche vi nasceva vegetazione di altro genere, arbusti o canne che fossero, erano tutti profumati, come piante aromatiche. Alberi invece non ce n'erano. 2 Vi si trovavano animali d'ogni genere: moltissimi gli onagri e molti struzzi. C'erano anche otarde e gazzelle. I cavalieri, di tanto in tanto, davano loro la caccia. Gli onagri, se qualcuno li inseguiva, prendevano il largo e poi si fermavano: correvano infatti molto più rapidi dei cavalli. E poi di nuovo, quando i cavalli si avvicinavano, ripetevano la stessa cosa, e non c'era verso di catturarli, a meno che i cavalieri non si fossero divisi in gruppi e li avessero braccati a turno. La carne degli onagri catturati era simile a quella dei cervi, ma più delicata. 3 Nessuno riuscì a prendere uno struzzo. Chi tra i cavalieri cercò di dargli la caccia, desistette ben presto. In fuga infatti lo struzzo guadagnava un ampio margine di vantaggio, sia correndo con le zampe sia sollevandosi sulle ali, di cui si serviva come di una vela. Le otarde invece, se le si costringeva a levarsi in volo colte di sorpresa, si potevano catturare: volano per breve tratto, come le pernici, e sùbito perdono lo slancio. La loro carne era squisita. 4 Percorrendo questa regione, giunsero al fiume Masca, di un pletro. Qui sorgeva una città abbandonata, grande, di nome Corsote. Tutt'attorno era circondata dal Masca. Vi rimasero tre giorni e si rifornirono di viveri. 5 Poi, in tredici tappe, avanza nel deserto per novanta parasanghe, tenendo sulla destra l'Eufrate: giunge a Porte. Nel corso di queste tappe molte bestie da soma morirono di fame: non c'erano né erba né alberi, la regione era completamente spoglia. Gli abitanti del luogo scavavano la roccia lungo il corso del fiume ed estraevano pietre per far macine, che poi lavorate portavano a Babilonia e vendevano; in cambio compravano grano e così riuscivano a vivere. 6 All'esercito vennero a mancare i viveri, ma non c'era la possibilità di acquistarne, se non al mercato dei Liditra le truppe barbare di Ciro, al prezzo di quattro sigli per un capite di farina, fosse di frumento o d'orzo. Un siglo ha il valore di sette oboli attici e mezzo. Il capite invece misura due chenici attici. Dunque i soldati tiravano avanti mangiando carne. 7 Ogni volta che voleva raggiungere o una sorgente d'acqua o del foraggio, Ciro avanzava con tappe molto lunghe. Un giorno poi si imbatterono in un passaggio stretto e fangoso: difficile il transito dei carri. Ciro scese col suo séguito di dignitari di alta nobiltà e rango, ordinò a Glu e a Pigrete di prelevare truppe barbare e di tirar fuori i carri. 8 Ma poiché gli sembrava che i soldati se la prendessero comoda, come in preda a uno scatto d'ira impose ai Persiani del suo séguito, i più potenti dignitari di corte, di unirsi per affrettare lo spostamento dei carri. Si ebbe una lezione, per così dire, di disciplina. Gettavano a terra le loro vesti di porpora dove a ciascuno capitava di trovarsi, si slanciavano come se ognuno corresse per la vittoria in una gara di corsa, giù per una collina, davvero a precipizio, con le loro tuniche lussuose, i loro calzoni variopinti: alcuni avevano anche collane al collo e braccialetti ai polsi. Sùbito, pur così agghindati, balzarono giù nella melma più rapidi di quanto si potesse pensare e sollevarono i carri, spingendoli. 9 A dirla in breve, era chiaro che Ciro affrettava sempre la marcia e non perdeva tempo in soste, se non per rifornirsi di viveri o per qualche altra necessità inderogabile. Più rapido giungeva - pensava - più impreparato allo scontro avrebbe trovato il re; più si attardava, più truppe avrebbe assoldato il re. A rifletterci, era possibile capire che la forza del re consisteva nell'ampiezza del territorio e nel numero di uomini; la lunghezza delle strade e la dispersione delle forze militari costituiva invece la sua debolezza, in caso di attacco fulmineo. 10 Durante una delle tappe percorse nel deserto, sulla sponda opposta dell'Eufrate, videro una città prospera e grande, di nome Carmanda. Lì i soldati comprarono le cose necessarie, varcando il fiume con imbarcazioni fabbricate così: riempirono di erba secca i teli di pelle usati come riparo, quindi li unirono e li cucirono insieme, in modo che l'acqua non raggiungesse la paglia. Su imbarcazioni di tal sorta attraversarono il fiume e si rifornirono di quanto era necessario: vino prodotto coi frutti di dattero, nonché farina di miglio, molto abbondante nella regione. 11 Qui un soldato di Menone e uno di Clearco vennero a lite. Clearco diede la colpa al soldato di Menone e lo fece frustare. Costui, rientrato tra i suoi, raccontò l'accaduto. I soldati, non appena udirono il suo racconto, montarono su tutte le furie e s'incollerirono aspramente con Clearco. 12 Quel giorno stesso Clearco giunse al guado del fiume e ispezionò il mercato che là si teneva; mentre cavalcava verso la sua tenda, passò attraverso il campo del reparto di Menone, seguito da pochi dei suoi. Ciro non era ancora arrivato, si trovava ancora in cammino. Uno dei soldati di Menone, che stava spaccando legna, come vede passare Clearco, gli vibra un colpo d'ascia: lo manca. Un altro, allora, scaglia contro di lui una pietra, imitato da un altro ancora e poi da molti, tra lo schiamazzo generale. 13 Clearco ripara tra i suoi e sùbito chiama alle armi. Ai suoi opliti ordinò di rimanere sul posto, gli scudi davanti alle ginocchia; lui prese con sé i Traci e i cavalieri - che nel suo reparto erano più di quaranta, per la maggioranza traci - e attaccò gli uomini di Menone. Il suo arrivo lasciò esterrefatto Menone stesso e i suoi e li costrinse a correre alle armi. Ci furono anche alcuni però che rimasero fermi, non sapendo che fare in quella situazione. 14 Prosseno, che chiudeva la colonna e guidava una schiera di opliti, sùbito dispose i suoi uomini tra i due schieramenti, fece deporre le armi e cominciò a scongiurare Clearco di desistere. Ma Clearco era inferocito: per poco non l'avevano massacrato a pietrate e Prosseno, tranquillo e beato, gli veniva a parlare della disgrazia capitata a lui? Che si levasse di mezzo. 15 In quel mentre, giunse anche Ciro che fu messo al corrente dei fatti: sùbito impugnò un mazzo di giavellotti e, con chi era presente tra i suoi fidi, si gettò nel mezzo e disse: 16 "Clearco e Prosseno e voi altri Greci presenti, avete perso la testa? Accendete la scintilla di una battaglia tra di voi e fate pure conto che, questo giorno stesso, anch'io sarò fatto a pezzi e voi, non molto dopo di me. Se le cose per noi si mettono male, tutti questi barbari qui, che vedete, saranno per noi un nemico ben più pericoloso dei soldati del re". 17 Alle parole di Ciro, Clearco tornò in sé. Cessate le ostilità, entrambe le parti riposero le armi. 2 1 Da qui proseguirono: erano visibili orme di cavalli e sterco. Dalle tracce si poteva dedurre che si trattava di circa duemila cavalieri. Costoro, in avanscoperta, davano fuoco sia al foraggio sia a quant'altro fosse utile. Oronta, persiano e parente del re, che aveva fama di essere tra i migliori in Persia nell'arte militare, tende a Ciro una trappola: anche in passato gli aveva mosso guerra, ma poi si erano riconciliati. 2 Disse a Ciro che, se gli dava mille cavalieri, senz'altro avrebbe massacrato in un'imboscata gli squadroni nemici di guastatori oppure ne avrebbe preso vivi parecchi, stroncando scorrerie e incendi; insomma, non avrebbero mai più riferito al re di aver visto l'esercito di Ciro. Ascoltata la proposta, Ciro giudicò che un'azione del genere potesse tornargli utile e lo invitò a prendere un certo numero di soldati da ciascuno dei comandanti. 3 Oronta, convinto di poter disporre di questi cavalieri, scrive una lettera al re: sarebbe arrivato con il maggior numero di cavalieri, ma lo pregava di comunicare alla sua cavalleria di accoglierlo come amico. Nella lettera era contenuta una menzione della sua passata amicizia e fedeltà. Consegna la lettera a un uomo fidato - o almeno lo riteneva tale - che invece la prende e la dà a Ciro. 4 Dopo averla letta, Ciro fa arrestare Oronta e convoca nella propria tenda i settePersiani più autorevoli del suo séguito e ordina agli strateghi greci di condurre gli opliti, che però dovevano deporre le armi attorno alla tenda. Gli strateghi eseguirono l'ordine e condussero circa tremila opliti. 5 Chiamò dentro come consigliere anche Clearco, che lui e gli altri consideravano il comandante di maggior prestigio tra i Greci. Quando ritornò fra i suoi, Clearco raccontò del processo a Oronta, come si svolse: non era cosa segreta. 6 Ciro - disse - aveva dato inizio così al suo discorso: "Vi ho convocati, amici, perché, deliberando con voi su cosa sia conforme alla giustizia divina e umana, questo faccia nei confronti di Oronta. In un primo tempo, mio padre lo pose alle mie dipendenze. In séguito, su ordine - come lui dice - di mio fratello, mosse guerra contro di me, mantenendo il controllo dell'acropoli di Sardi. E io, rispondendo alla guerra con la guerra, lo riportai alla ragione e lo feci desistere dal combattere contro di me, strinsi la sua destra e lui la mia. Da allora, Oronta", gli chiese, "ti ho fatto qualche torto?". Rispose di no. 7 Ciro gli domandò ancora: "Più tardi, benché non mi fossi macchiato di colpe nei tuoi confronti, non sei forse passato coi Misi e hai devastato il mio territorio con ogni mezzo a tua disposizione?". Oronta confermò. "Non è forse vero", riprese Ciro, "che, quando per la seconda volta hai compreso realmente la tua forza, ti sei recato all'altare di Artemidee hai ammesso il tuo pentimento e, dopo avermi convinto, mi hai di nuovo dato il segno della tua fedeltà e da me lo hai ricevuto?". Oronta annuì ancora. 8 "Quale torto dunque", proseguì Ciro, "hai subito da parte mia per tradirmi, è chiaro, per la terza volta?". Oronta rispose che non aveva subito alcun torto, per cui Ciro gli domandò: "Ammetti che ti sei macchiato nei miei confronti?". "Non posso fare altrimenti", disse Oronta. E Ciro: "Potresti diventare ancora nemico di mio fratello e mio fedele alleato?". E l'altro rispose: "Neppure se davvero lo diventassi, Ciro, tu lo crederesti più, ormai". 9 Quindi Ciro si rivolse ai presenti: "Tali sono le sue azioni, tali le sue parole: tra voi a te per primo, Clearco, spetta di esporre il tuo pensiero." E Clearco parlò così: "Sono dell'avviso che è meglio toglierlo di mezzo quanto prima, così non dovremo guardarci le spalle da lui, anzi, invece di pensare a lui potremo far del bene a chi ci è veramente amico". 10 Al suo parere - disse Clearco - aderirono anche gli altri. Dopo di che - continuò - su ordine di Ciro, si alzarono in piedi e toccarono la cintura di Oronta in segno di morte, anche i suoi parenti. Poi lo condussero via gli incaricati. Come lo videro, chi in passato si inginocchiava al suo passaggio anche allora si inginocchiò, pur sapendo che lo portavano alla morte. 11 Una volta condotto dentro la tenda di Artapate, il più fidato tra gli sceptuchi di Ciro, nessuno vide Oronta, né vivo né morto, mai più, e nessuno poté dire con cognizione di causa come fosse morto. Chi congetturava in un senso, chi in un altro: la sua tomba però non la rinvenne mai nessuno. 3 1 Da qui si spinge in avanti attraverso la regione di Babilonia, tre tappe per dodici parasanghe. Nel corso della terza tappa, verso mezzanotte, Ciro passa in rivista le truppe greche e barbare nella pianura. Credeva infatti che alle prime luci del giorno il re si sarebbe presentato con l'esercito per dar battaglia. Ordinò a Clearco di guidare l'ala destra, a Menone il tessalo l'ala sinistra e dispose lui stesso i propri soldati. 2 Dopo la rassegna, sul far del giorno, giunsero alcuni disertori provenienti dall'esercito del gran re e riferirono a Ciro sulla situazione delle truppe del re. Ciro allora convocò gli strateghi e i locaghi greci, predispose insieme a loro il piano di battaglia e li esortò ad aver coraggio con queste parole: 3 "Greci, mi sono messo alla vostra testa non certo perché mi fanno difetto i soldati barbari, ma perché vi ritengo migliori e più valorosi di molti di loro. Ecco il motivo per cui vi ho uniti alla mia spedizione. Siate dunque degni della libertà che avete conquistato e per la quale vi giudico felici. Ben sapete infatti che preferirei la libertà a tutti i beni che ho e anche ad altri più grandi. 4 Perché vi rendiate conto del tipo di combattimento al quale andrete incontro, io ve lo illustrerò, dato che lo conosco. Hanno un'infinità di soldati, attaccano con urla tremende. Se riuscirete a resistere alla loro vista e alle strida, credo che proverò vergogna, quando capirete quali uomini vivono nelle mie terre. Se sarete valorosi e il successo mi arriderà, chi di voi vorrà tornare in patria lo renderò invidiabile agli occhi dei suoi concittadini; ma, ne sono convinto, spingerò molti a preferire i miei vantaggi alle gioie di casa". 5 Era lì presente Gaulite, un esule samio, fedele a Ciro. Così parlò: "Eppure, Ciro, alcuni dicono che tu fai molte promesse, adesso, perché lo richiedono le circostanze, alla vigilia del momento decisivo. Ma in caso di successo non te ne ricorderesti più, dicono. E certi altri aggiungono che neppure se te ne ricordassi e se lo volessi, saresti in grado di mantenere le promesse". 6 Allora Ciro rispose così: "Il regno dei miei padri, o uomini, si estende fino ai confini del mondo, dove le terre non sono più abitabili, a mezzogiorno per la calura, a settentrione per il gelo. Le regioni ivi comprese, tutte, le governano i satrapi fedeli a mio fratello. 7 Se vinceremo, spetterà a noi rendere i nostri amici signori di queste terre. Non mi preoccupo certo che mi manchino i mezzi per colmar di doni ciascuno degli amici, in caso di vittoria; se mai, temo di non avere amici a sufficienza, ai quali poter dare. A voi Greci regalerò anche una corona d'oro, a testa". 8 Chi udì le sue parole, si riempì di fervore e le riferì agli altri. Si presentarono a lui gli strateghi e alcuni tra gli altri Greci: volevano sapere qual era la loro parte, in caso di vittoria. Ciro, dopo aver saziato le attese di tutti, li congedò. 9 Chiunque aveva a che fare con Ciro, lo esortava a non prendere parte allo scontro, ma a schierarsi nelle retrovie. Nella circostanza Clearco gli rivolse una domanda del genere: "Credi, o Ciro, che tuo fratello scenderà in campo?". "Sì per dio", ribatté Ciro, "se davvero è figlio di Dario e Parisatide e mio fratello; non senza combattere prenderò possesso delle sue terre". 10 Poi, mentre i soldati si armavano, li si contò: diecimilaquattrocento gli opliti, duemilacinquecento i peltasti,mentre i barbari al séguito di Ciro erano centomila, con circa venti carri falcati. 11 I nemici invece ammontavano, a quanto si diceva, a un milione e duecentomila, con duecento carri falcati. E c'erano altri seimila cavalieri, guidati da Artagerse, guardia del corpo personale del re. 12 Dell'esercito regio, quattro erano i comandanti [e strateghi e capi], ciascuno alla testa di trecentomila uomini: Abrocoma, Tissaferne, Gobria, Arbace. Di tutte queste truppe, novecentomila presero parte alla battaglia, con centocinquanta carri falcati: Abrocoma infatti, partito dalla Fenicia, giunse con cinque giorni di ritardo rispetto allo scontro. 13 Tali notizie vennero fornite a Ciro dai disertori del gran re, che avevano abbandonato le file prima della battaglia. A scontro avvenuto, i nemici poi catturati ne diedero conferma. 14 Da qui Ciro si spinge in avanti di tre parasanghe in una sola tappa, con tutto l'esercito, sia greco sia barbaro, schierato per il combattimento. Credeva che quel giorno il re avrebbe dato battaglia. A metà della tappa c'era infatti un fossato, scavato artificialmente e profondo, larghezza cinque braccia, profondità tre. 15 Il fossato risaliva verso l'interno attraverso la pianura per dodici parasanghe fino al muro della Media. [Qui si trovano i canali che provengono dal fiume Tigri. Sono quattro, larghezza un pletro, molto profondi. Vi navigano imbarcazioni per il trasporto di cereali. Sfociano nell'Eufrate, ciascuno alla distanza di una parasanga dall'altro, sovrastati da ponti.] C'era nei pressi dell'Eufrate uno stretto passaggio - larghezza circa venti piedi - tra il fiume e il fossato. 16 Il gran re aveva fatto scavare il fossato come opera difensiva non appena aveva saputo dell'avanzata di Ciro. Attraverso il passaggio sopra ricordato, Ciro e l'esercito proseguono la marcia e si trovano al di là del fossato. 17 Quel giorno il re non diede battaglia, anzi erano ben visibili orme di cavalli e di uomini che si erano ritirati. 18 Allora Ciro convocò Silano, un indovino di Ambracia, e gli diede tremila darici: undici giorni prima, durante un sacrificio gli aveva predetto che il re non avrebbe combattuto per dieci giorni e Ciro aveva ribattuto: "Non combatterà più, allora, se non darà battaglia in quest'arco di tempo. E se hai detto la verità, ti prometto dieci talenti". A questo punto gli consegnò tale somma, perché i dieci giorni erano trascorsi. 19 Poiché all'altezza del fossato il re non aveva impedito il passaggio all'esercito di Ciro, Ciro stesso e gli altri ebbero l'impressione che il re avesse rinunciato all'idea di combattere; tanto che il giorno successivo Ciro proseguì la marcia allentando le misure di sicurezza. 20 Il terzo giorno viaggiò seduto sul carro e teneva pochi dei suoi schierati dinnanzi a lui; il grosso avanzava in ordine sparso e la maggior parte delle armi dei soldati erano trasportate sui carri o dalle bestie da soma. 4 1 Era ormai l'ora in cui il mercato si riempieed era vicino il punto in cui s'intendeva far tappa, quand'ecco che Pategia, persiano, uno dei fidi di Ciro, si precipita a briglia sciolta, col cavallo madido di sudore: a chiunque incontrava, gridava in lingua barbara e in greco che il re con un grande esercito stava arrivando, preparato allo scontro. 2 Allora si verificò grande scompiglio: immediatamente i Greci e tutti i soldati pensarono che i nemici sarebbero piombati su di loro prima che potessero formare i ranghi. 3 Ciro balzò giù dal carro e indossò la corazza, poi montò a cavallo e impugnò i giavellotti; agli altri ordinò di armarsi e di disporsi ciascuno al proprio posto. 4 Quindi presero posizione con grande sollecitudine, Clearco a capo dell'ala destra, dalla parte dell'Eufrate, Prosseno al suo fianco, quindi gli altri, mentre Menone prese il comando dell'ala sinistra dell'esercito greco. 5 I cavalieri paflagonidel contingente barbarico, circa mille, si schierarono al fianco di Clearco sulla destra, come pure i peltasti greci; sulla sinistra invece c'era Arieo, luogotenente di Ciro, con il resto dell'esercito barbarico. 6 Ciro e i suoi cavalieri, su per giù seicento, si disposero al centro, armati di corazza, cosciali, elmi, tutti tranne Ciro, che si preparava allo scontro a capo scoperto [. Anche gli altri Persiani, così almeno si racconta, affrontano i rischi in battaglia a capo scoperto]. 7 Tutti i cavalli [dell'esercito di Ciro] avevano frontali e pettorali. E i cavalieri avevano anche spade di foggia greca. 8 Era ormai mezzogiorno e i nemici non erano ancora in vista. Quando era pomeriggio, apparve in lontananza un turbinio di polvere simile a una nube bianca che poi, a distanza di tempo, prese l'aspetto di un qualcosa di nero, nella piana, per grande tratto. Man mano che si avvicinavano, il bronzo cominciò ben presto a scintillare e si potevano distinguere armi e schiere. 9 C'erano cavalieri con bianche corazze sulla sinistra della linea nemica: li guidava, stando alle voci, Tissaferne. Al suo fianco stavano truppe armate di scudi di vimini e quindi opliti dotati di scudi di legno lunghi fino ai piedi. Quest'ultimi erano Egizi, a quanto si diceva. E poi c'erano cavalieri e poi arcieri. Tutti marciavano divisi per etnie, ciascun popolo formava un quadrato fitto di uomini. 10 Davanti a loro erano schierati i carri cosiddetti falcati a grande distanza gli uni dagli altri: le falci partivano dagli assi, erano disposte in senso orizzontale e rivolte verso il terreno sotto i carri per stritolare quanto avessero incontrato. L'idea era di lanciarli contro le file dei Greci e di farli a pezzi. 11 Le parole pronunciate da Ciro però, quando aveva convocato i Greci e li aveva esortati a resistere dinnanzi alle grida di battaglia dei barbari, si rivelarono false: non con urla infatti, ma in silenzio, nei limiti del possibile, i nemici avanzavano calmi, a ranghi compatti e lentamente. 12 Nel frangente Ciro in persona, mentre passava accanto ai suoi insieme a Pigrete l'interprete e ad altri tre o quattro, gridò a Clearco di puntare con il suo esercito contro il cuore delle truppe nemiche, perché lì sarebbe stato il re: "Se vinciamo al centro", disse, "per noi è fatta". 13 Clearco osservava il nerbo centrale dell'esercito nemico e sentiva Ciro dire che il re era al di là dell'ala sinistra greca - il re infatti prevaleva per numero d'uomini al punto che, pur tenendo il centro dei propri effettivi, rimaneva al di là della sinistra di Ciro. Comunque Clearco non volle staccare l'ala destra dal fiume, per paura di un accerchiamento dai lati, perciò a Ciro rispose che ci pensava lui a preparare tutto per bene. 14 Nel frattempo l'esercito barbarico avanzava in linea, mentre il contingente greco si teneva ancora nello stesso punto, ingrossato man mano dalle truppe che ancora sopraggiungevano. E Ciro, passando davanti all'esercito a una certa distanza, scrutava entrambi i fronti, volgendo lo sguardo ora verso i nemici ora verso i suoi. 15 Dal contingente greco lo vide Senofontel'ateniese, che gli si fece incontro e gli chiese se avesse qualche ordine da comunicargli. Ciro si fermò e gli disse, invitandolo a riferirlo a tutti, che gli auspici risultavano favorevoli, come pure le viscere delle vittime. 16 Quindi udì un brusio attraversare le file e chiese che cosa fosse quel vociare. Senofonte rispose che era la parola d'ordine, che passava per la seconda volta. Ciro, meravigliato, domandò chi l'avesse impartita e quale fosse questa parola d'ordine. E Senofonte di rimando: "Zeus salvatore e Vittoria". 17 Ciro ribatté: "Ben venga e così sia". Poi raggiunse la propria posizione. Non più di tre o quattro stadi separavano i due schieramenti, quando i Greci intonarono il peanae cominciarono a muovere incontro ai nemici. 18 Mentre avanzavano, una parte della falange uscì di linea, per cui chi era rimasto indietro iniziò a correre. E tutti insieme lanciarono il grido che levano in onore di Enialio, mentre ormai tutti correvano. Alcuni, si racconta, fecero rimbombare gli scudi, percuotendoli con le lance, per atterrire i cavalli. 19 Quando non erano ancora a tiro d'arco, i barbari ripiegano e si volgono in fuga. Allora li inseguono con impeto i Greci, ma si gridano l'un l'altro di non correre, di avanzare a ranghi compatti. 20 Alcuni carri poi finirono addirittura contro le file nemiche, altri raggiunsero i Greci, ma privi di auriga. E quando se li vedevano dinnanzi, si scansavano: ci fu solo uno che venne investito, rimasto frastornato come se si trovasse di fronte a una gara di cavalli; neppure lui, comunque, dicono che abbia riportato gravi conseguenze, né alcuno dei Greci in questo scontro subì alcun danno, se si eccettua un tale dell'ala sinistra, colpito da una freccia. 21 Ciro, quando vide i Greci prevalere sul loro fronte e inseguire i nemici, gioì e tutti, ormai, si prostravano ai suoi piedi come re. Eppure non si lasciò indurre all'inseguimento, anzi, continuava a guidar compatta la schiera dei seicento cavalieri ai suoi ordini e a tener d'occhio le mosse del re. Sapeva infatti che era al comando del centro dell'esercito persiano. 22 Tutti i comandanti dei barbari stanno alla testa delle loro truppe tenendo il centro, perché si sentono più al sicuro, con la protezione dei loro su entrambi i fianchi; se poi c'è bisogno di diramare qualche ordine, l'esercito lo può ricevere in metà tempo. 23 Allora dunque, pur guidando il centro del proprio esercito, il re si trovava al di là dell'ala sinistra di Ciro. Poiché non c'era nessun avversario diretto né di fronte a lui né davanti alle truppe disposte innanzi, piegò ad angolo per accerchiarli. 24 Allora Ciro, nel timore che il re comparisse alle sue spalle e facesse a pezzi il contingente greco, gli muove incontro. Piombando con i suoi seicento, ha la meglio sulle guardie del corpo del re e ne mette in fuga seimila: c'è chi dice che Ciro stesso, di sua mano, abbia ucciso Artagerse, il loro comandante. 25 Ma non appena si verificò la rotta nemica, si disuniscono anche i seicento di Ciro, che si gettano all'inseguimento, tranne pochissimi che rimasero con lui, più o meno i suoi cosiddetti compagni di tavola. 26 Mentre era con loro, scorge il re e gli uomini al suo séguito. Sùbito non si trattenne più, ma disse: "Ecco il mio uomo"; si lancia contro di lui, lo colpisce al petto e lo ferisce trapassandogli la corazza, come racconta Ctesia il medico, che afferma di aver curato di persona la ferita. 27 Ma proprio mentre lo colpiva, qualcuno gli vibra un colpo di giavellotto sotto l'occhio, con forza. Allora qui scoppiò un violento corpo a corpo tra il re e Ciro e i rispettivi uomini. Il numero di quanti caddero tra i sudditi del re, lo riferisce Ctesia, che era con lui. Ciro stesso morì e dopo di lui gli otto più valorosi del suo séguito. 28 Raccontano che Artapate, il più fidato tra i suoi sceptuchi, come vide Ciro a terra, balzò da cavallo e si gettò sul suo corpo. 29 Non manca chi sostiene che il re abbia dato l'ordine di trucidarlo sul corpo di Ciro; altri affermano che si sia tagliato di suo pugno la gola, sguainata la scimitarra: ne aveva una d'oro e portava anche una collana, bracciali e altri monili, come usano i nobili persiani. Ciro lo stimava per il suo affetto e la sua lealtà. 5 1 Così dunque morì Ciro: nessuno, tra i Persiani vissuti dopo Ciro il vecchio, fu più regale e degno del comando, come concordemente ammettono le persone che lo hanno conosciuto di persona. 2 Prima di tutto, fin da bambino, quando veniva educato insieme al fratello e agli altri ragazzi, era considerato il migliore di tutti in tutto. 3 Tutti i figli dei nobili persiani sono educati a palazzo, dove si può apprendere in alto grado la temperanza e non è possibile ascoltare né vedere alcunché di turpe. 4 I bambini vedono e sentono chi gode dei favori del re oppure chi è caduto in disgrazia. E sùbito, fin dall'infanzia, imparano a comandare e a obbedire. 5 Qui Ciro sembrava il ragazzo più riservato, agli anziani prestava orecchio anche più dei compagni meno nobili di lui e poi era profondamente appassionato di equitazione e cavalcava con abilità eccezionale. Anche nelle arti marziali, per esempio nel tiro con l'arco e nel giavellotto, lo giudicavano il più desideroso d'imparare e il più assiduo nella pratica. 6 Raggiunta l'età adatta, dimostrava una passione speciale per la cacciae durante le battute venatorie amava davvero il rischio. Un giorno un'orsa gli si avventò contro, ma lui non indietreggiò: travolto e disarcionato, gravemente ferito, come testimoniavano le sue cicatrici, alla fine riuscì a uccidere la fiera. E il primo che gli portò aiuto, Ciro lo rese invidiabile agli occhi di molti. 7 Quando venne inviato dal padre come satrapo della Lidia, della Grande Frigia e della Cappadocia, nonché nominato comandante di tutte le truppe che dovevano riunirsi a Piana del Castolo, innanzi tutto dimostrò che una cosa contava per lui più di tutto: rispettare la parola data, sia che avesse stipulato una tregua o un accordo o fatto promesse. 8 Perciò si sentivano tranquille le città che si rivolgevano a lui, tranquilli gli uomini. E se qualcuno era stato suo nemico, una volta riconciliatosi con Ciro, era sicuro di non subire nessun torto in deroga ai patti. 9 Tant'è vero che, al tempo della guerra con Tissaferne, tutte le città scelsero di propria iniziativa Ciro e non Tissaferne, ad eccezione dei Milesi, che avevano paura di lui perché non intendeva abbandonare al loro destino gli esuli della città. 10 Amava ripetere - e i fatti lo dimostravano - che, una volta divenuti suoi amici, non avrebbe più abbandonato gli esuli di Mileto, neppure se diminuivano ancora di numero e se peggiorava la loro situazione. 11 E come la gente si comportava con lui, nel bene o nel male, Ciro cercava di ripagarla della stessa moneta e con gli interessi, lo si vedeva chiaramente. Alcuni ripetevano sovente una sua preghiera: chiedeva di vivere quanto bastasse per contraccambiare, superandoli, chi gli aveva fatto del bene e del male. 12 A lui, come a nessuno ai nostri tempi, moltissimi desiderarono affidare i beni e le città e la propria vita. 13 Non si potrebbe dire comunque che permettesse a malfattori e disonesti di prendersi gioco di lui, anzi meno di chiunque altro si risparmiava le punizioni: spesso era dato di vedere, lungo le strade più frequentate, gente priva dei piedi e delle mani e degli occhi. Perciò nel paese retto da Ciro, tanto i Greci quanto i barbari, purché non si fossero macchiati di colpe, avevano piena libertà di andare dovunque volessero, portando con sé il necessario. 14 Ai valorosi in guerra, è riconosciuto unanimemente, tributava un onore particolare. La sua prima guerra fu contro i Pisidi e i Misi. Mentre combatteva egli stesso in queste regioni, chi vedeva pronto al rischio lo nominava reggente del paese che sottometteva e poi lo onorava anche con altri doni. 15 Così appariva chiaro: egli desiderava che i forti fossero i più felici e che i vili fossero schiavi dei primi. Ecco il motivo per cui non gli mancavano certo persone disposte a rischiare, quando avessero pensato che Ciro li notasse. 16 Se gli sembrava che qualcuno volesse mettersi in luce secondo giustizia, Ciro faceva in modo che vivesse tra gli agi più di chi aspira al guadagno per vie disoneste. 17 E a molte altre cose metteva mano seguendo la giustizia e si serviva di un vero esercito. Gli strateghi e i locaghi, che per arricchirsi avevano fatto rotta verso di lui, capirono che servir bene Ciro era più vantaggioso che ricevere la paga mensile. 18 Se qualcuno eseguiva con zelo i suoi ordini, Ciro non mancava mai di premiarne l'impegno. Ecco perché si diceva che, per ogni compito, Ciro disponesse dei migliori collaboratori. 19 Vedeva un amministratore veramente capace, che, rispettando i princìpi dell'onestà, riordinava la regione di cui era a capo e comunque sapeva trarne proventi? Non lo rimuoveva mai dalla carica, ma gli concedeva poteri sempre più ampi. Così faticavano volentieri e guadagnavano in tutta sicurezza e non avrebbero affatto nascosto a Ciro le proprie entrate: si sapeva che non aveva invidia di chi si arricchiva alla luce del sole, anzi, piuttosto cercava di servirsi delle ricchezze di chi le teneva nascoste. 20 Quanto agli amici poi, ogni volta che stringeva legami e riconosceva persone a lui fidate e capaci di collaborare ai piani che voleva intraprendere, era bravissimo nell'arte di coltivarli, lo ammettono tutti. 21 E come pensava di aver bisogno di amici per avere dei collaboratori, per l'identico motivo cercava di garantir loro il suo appoggio determinante, quando ne avesse intuito le mete. 22 Di doni poi nessuno ne ricevette altrettanti, per mille ragioni; ma più di chiunque altro li distribuiva agli amici, tenendo conto dei gusti di ognuno e guardando soprattutto ai loro bisogni. 23 Quando gli mandavano qualcosa per la sua persona, di uso militare o un semplice ornamento, diceva - raccontano - che il suo corpo non poteva portarli tutti, ma che avere amici ornati con eleganza lo considerava il vanto più bello per un uomo. 24 Che superasse gli amici in munificienza, non stupisce affatto, perché aveva anche ben altre possibilità rispetto a loro; ma che li superasse in attenzioni e nel desiderio di procurar loro gioia, questo sì, mi sembra davvero mirabile. 25 Ciro infatti, se trovava un vino particolarmente dolce, spesso ne mandava una mezza anfora e diceva che da un bel pezzo non gliene era capitato uno migliore. "Te lo manda", aggiungeva, "e ti prega di berlo oggi stesso con le persone a te più care". 26 Non di rado inviava mezze oche, mezzi pani o altre cose del genere, ordinando a chi li portava di dire: "A Ciro sono piaciuti. Vuole che anche tu ne possa gustare". 27 Quando il foraggio era proprio scarso, mentre lui, grazie al gran numero di servi e alla sua previdenza, poteva disporne in abbondanza, lo distribuiva e così esortava gli amici: "Datelo ai cavalli che vi trasportano, non vorrei che fossero sfiniti dalla fame proprio mentre siete in sella". 28 Se mai faceva un viaggio e la gente accorreva per la smania di vederlo, chiamava i suoi amici e parlava con loro di questioni serie, per far vedere chi tenesse in onore. Perciò, sulla base delle voci che sento, stimo che nessuno, tra Greci o barbari, sia stato amato più di lui. 29 Eccone la prova: nessuno abbandonò Ciro - un suddito - per passare al re, se si eccettua il tentativo di Oronta, che comunque sperimentò ben presto che era più fedele a Ciro chi lui riteneva fedele a sé. Dalla parte del re invece molti passarono a Ciro, quando divennero nemici. E si trattava proprio degli uomini da lui più amati, che pensavano di trovare onori più consoni alle loro qualità presso la corte di Ciro che del re. 30 Ma la prova conclusiva la si ebbe negli ultimi istanti della sua vita, quando si capì che non solo era un uomo di valore, ma sapeva anche scegliere bene le persone a lui fedeli, devote e costanti. 31 Quando fu colpito a morte, tutti i suoi amici e commensali morirono combattendo per Ciro, tutti tranne Arieo, che era schierato sulla sinistra alla testa della cavalleria: come seppe che Ciro era caduto, si diede alla fuga e portò con sé tutto il reparto ai suoi ordini. 6 1 Quindi a Ciro viene mozzato il capo e la mano destra. Il re [con i suoi] continua l'inseguimento e piomba nel campo di Ciro. Le truppe di Arieo non oppongono più resistenza, ma fuggono attraverso l'accampamento verso l'ultimo luogo di tappa da cui erano partite. Era, dicono, a quattro parasanghe di distanza. 2 Il re e i suoi fanno completa razzia e lui cattura la concubina di Ciro, una donna focese, soprannominata la saggia e bella. 3 La Milesia [era più giovane], dopo esser caduta prigioniera dei soldati del re, riesce a scappare, nuda, verso i Greci, che si trovavano in armi tra le salmerie. Costoro affrontarono e uccisero molti dei nemici che si davano al saccheggio, ma subirono alcune perdite. Comunque non si diedero alla fuga, anzi, salvarono la donna. E quant'altro era sotto la loro custodia, fossero beni materiali o persone, portarono tutto in salvo. 4 A questo punto il re e i Greci distavano gli uni dagli altri circa trenta stadi: i secondi incalzavano le truppe disposte dinnanzi a loro [come se stessero vincendo dappertutto], il primo si dava alle razzie come se ormai avesse avuto la meglio su tutti i nemici. 5 Ma poi i Greci si accorsero che il re con il suo esercito era tra le salmerie, e pure il re, a sua volta, seppe da Tissaferne che i Greci avevano piegato gli avversari sul loro fronte e premevano; allora il re raccoglie i suoi e ricostituisce lo schieramento. Clearco invece, chiamato Prosseno, che era il più vicino, si consultò con lui, se mandare un contingente o rientrare tutti quanti a difesa dell'accampamento. 6 Nel mentre, si vedeva anche il re rifarsi sotto, attaccandoli - a quanto pareva - alle spalle. I Greci, operata una conversione, si prepararono a riceverlo, come se dovesse giungere da quella direzione. Il re invece non giunse da lì, ma dalla via già percorsa prima, all'esterno dell'ala sinistra, dopo aver raccolto anche i disertori che, nel corso della battaglia, erano passati dalla parte dei Greci, nonché Tissaferne e i suoi. 7 Tissaferne al primo impatto non era fuggito, anzi si era lanciato contro i peltasti greci, lungo il fiume. Durante il suo attacco non riuscì a uccidere nessuno, mentre i Greci, allargate le file, subissavano i suoi di colpi e frecce. Comandava i peltasti Epistene di Anfipoli, una persona di buon senso, stando a quel che si diceva. 8 Tissaferne dunque, pur avendo la peggio, riuscì a ritirarsi, ma non tornò sui suoi passi. Si diresse verso il campo greco, dove incontrò il re: riformati i ranghi, ripresero la marcia. 9 Quando furono dinnanzi all'ala sinistra dei Greci, quest'ultimi ebbero il timore di venir attaccati e di subire un aggiramento su entrambi i fianchi e di andare incontro a un massacro. Allora proposero di dispiegare l'ala e di tenere il fiume alle spalle. 10 Mentre se ne discuteva, ecco che il re mutò direzione e mise in linea l'esercito di fronte alla falange, nello stesso assetto con cui aveva attaccato battaglia in precedenza. Come i Greci li videro vicini e schierati per lo scontro, intonarono nuovamente il peana e si gettarono in avanti con foga ancor più impetuosa di prima. 11 Per la seconda volta i barbari non accettarono lo scontro e volsero le spalle, quando gli avversari erano ancora a una distanza maggiore rispetto alla volta precedente: i Greci li inseguirono fino a un villaggio. 12 Qui si fermarono. Sopra il villaggio sorgeva un colle, su cui avevano ripiegato gli uomini del re: non si trattava più di fanti, ma la collina brulicava di cavalieri, al punto che non si riusciva a capire che cosa stesse succedendo. Eppure qualcuno disse di scorgere lo stendardo regale, un'aquila d'oro con le ali spiegate su uno scudo[di legno]. 13 Poiché i Greci avanzavano anche qui, i cavalieri abbandonarono il colle, non più in gruppo, ma in diverse direzioni. Il colle andava via via spopolandosi di cavalieri: alla fine si allontanarono tutti. 14 Clearco non salì, ma tenne l'esercito ai piedi della collina e mandò sulla cima Licio il siracusano e un altro, con l'ordine di controllare la situazione sul versante opposto e di riferire. 15 Licio sprona il cavallo e, presa visione, annuncia che fuggono a briglia sciolta. Era quasi l'ora in cui il sole tramonta. 16 Qui sostarono i Greci e, deposte le armi, ripresero fiato. Intanto si meravigliavano di non vedere Ciro da nessuna parte e che nessun emissario venisse a suo nome: non sapevano che fosse morto, perciò immaginavano o che avesse protratto l'inseguimento o che si fosse spinto in avanti per occupare qualche postazione. 17 Quanto a loro, si domandavano se fosse meglio rimanere lì e portarvi i carri oppure rientrare all'accampamento. Decisero di ritornare. Giungono alle tende verso l'ora di cena. 18 Così finì la giornata. Si accorgono che la maggior parte dei loro averi erano stati saccheggiati; tutto quel che c'era, cibo o bevande, nonché i carri pieni di farina e di vino, che Ciro aveva preparato per distribuirli ai Greci, nel caso che una grave carestia attanagliasse l'esercito - si trattava, secondo le voci, di quattrocento carri - tutto era stato depredato dagli uomini del re. 19 Così erano rimasti senza cena la maggior parte dei Greci, e dire che non avevano neppure pranzato, perché il re era apparso prima che l'esercito avesse sostato per il pranzo. La notte dunque la trascorsero in tali condizioni. Libro II 1 1 [In che modo venne raccolto per Ciro l'esercito greco al tempo in cui muoveva contro il fratello Artaserse, che cosa fece durante la marcia verso l'interno, come la battaglia ebbe luogo, come morì e in che modo i Greci ritornati al campo si riposarono, credendo di aver vinto su tutti i fronti e che Ciro fosse ancora vivo, è esposto nel racconto precedente.] 2 All'alba gli strateghi, riunitisi, si meravigliavano che Ciro non mandasse qualcuno a indicare il da farsi o che non venisse di persona. Decisero allora di preparare i bagagli, di armarsi e di muovere in avanti fino a ricongiungersi con Ciro. 3 Erano ormai sul piede di partenza, al levar del sole, quando giunse Procle, il governatore della Teutrania, discendente di Damarato il lacone, accompagnato da Glu, figlio di Tamo. Dicevano che Ciro era morto e che Arieo, fuggito, si trovava con gli altri barbari nel campo da cui erano partiti il giorno precedente. Arieo asseriva che per quel giorno li avrebbe aspettati, se la loro intenzione era di raggiungerlo, ma il giorno dopo sarebbe partito, aggiungeva, alla volta della Ionia da dove era venuto. 4 Appena appresero la notizia, gli strateghi e gli altri Greci caddero in un profondo sconforto. Clearco disse: "Fosse ancora vivo Ciro. Ma ormai è morto, perciò riferite ad Arieo che noi abbiamo battuto il re e, come vedete, nessuno ci affronta in campo aperto; e se non fosse stato per la vostra venuta, avremmo puntato contro il re. Promettiamo ad Arieo che, se ci raggiunge, lo porteremo sul soglio regale: a chi vince la battaglia spetta il diritto di comandare". 5 Detto ciò, rimanda indietro i messaggeri, accompagnati da Chirisofo il lacone e Menone il tessalo, per desiderio di Menone stesso, legato com'era ad Arieo da vincoli di amicizia e ospitalità. 6 Quelli andarono e Clearco restò ad aspettare. L'esercito si cibava come poteva con le bestie da soma, uccidendo buoi e asini. Quanto alla legna, bastava fare pochi passi, a partire dal campo dove si era svolta la battaglia: là c'erano molte frecce - i Greci avevano costretto i disertori del re a gettarle - nonché scudi di vimini e di legno, questi ultimi degli Egizi. C'era anche da portar via un gran numero di scudi di cuoio e carri vuoti. Servendosi di tutto ciò, bollirono la carne e mangiarono, per quel giorno. 7 Era ormai l'ora in cui il mercato è pieno di gente, quando arrivarono, da parte del re e di Tissaferne, alcuni araldi, tutti barbari, tranne uno, Falino, un greco che si trovava alle dipendenze di Tissaferne e godeva di grandi onori perché faceva mostra della sua competenza nella tattica e nell'uso delle armi. 8 Si fecero avanti e domandarono dei capi greci; quindi dissero che il re, forte della sua condizione di vincitore e dell'uccisione di Ciro, ingiungeva ai Greci di consegnare le armi e di recarsi alle sue porte, per trovare, non era escluso, clemenza. 9 Così si espressero gli araldi del re. I Greci li ascoltarono con irritazione; tuttavia Clearco disse qualcosa del genere: non spettava ai vincitori cedere le armi. "Però", aggiunse, "sta a voi, o strateghi, fornire la risposta più bella e dignitosa. Io sarò sùbito di ritorno". Lo aveva chiamato, infatti, un servo, per controllare le viscere estratte: stava compiendo un sacrificio. 10 Allora Cleanore l'arcade, il più anziano, rispose che sarebbe morto piuttosto che consegnare le armi. E Prosseno il tebano: "O Falino, sono sorpreso e mi domando se il re ci chieda le armi in qualità di vincitore oppure come dono d'amicizia. Se pensa di essere il vincitore, che bisogno ha di chiederle? Perché non viene a prendersele? Se invece ci vuole persuadere, dica che cosa ne verrà ai soldati, se lo vorranno compiacere". 11 A tali parole Falino ribatté: "Il re ritiene sua la vittoria, perché ha ucciso Ciro. Chi è in grado di contendergli il regno? E considera anche voi in suo potere, perché vi tiene in pugno nel cuore del suo paese tra fiumi non guadabili e può scatenare contro di voi una tale moltitudine di uomini, che non potreste ucciderli neppure se ve ne desse licenza". 12 Dopo di lui intervenne Teopompo l'ateniese: "Falino, adesso, come vedi, tutto è perduto fuorché le armi e il valore. Finché abbiamo le armi, crediamo di poterci servire anche del valore; ma se le consegnamo, perderemo anche la vita. Togliti quindi dalla testa che vi consegneremo i soli beni che ci restano; anzi, con questi combatteremo anche per strapparvi i vostri". 13 Nell'udire tali parole, Falino sorrise e disse: "Sembri davvero un filosofo, ragazzino, e pronunci parole non prive di grazia. Ma sei un povero insensato, sappilo, se pensi che il vostro valore possa aver ragione della potenza del re". 14 Altri, si dice, cominciavano a vacillare e a sostenere che, come erano stati fedeli a Ciro, così potevano ora diventare preziosi alleati del re, se chiedeva amicizia. Voleva servirsi di loro per qualche scopo o per una spedizione contro l'Egitto? Bene, potevano cooperare alla conquista. 15 In quel mentre, ritornò Clearco e domandò se avevano dato già la risposta. Falino di contro: "Clearco, sostengono chi una cosa, chi un'altra. Dicci piuttosto che cosa ne pensi tu". 16 L'altro rispose: "Mi fa piacere averti visto, Falino, come fa pure piacere, credo, anche a tutti gli altri. Sei greco, come tutti noi che tu qui vedi. In un frangente simile chiediamo a te che fare, riguardo alla proposta di cui sei latore. 17 Al cospetto degli dèi, dacci il suggerimento che ritieni più bello e dignitoso e che ti recherà onore nel tempo a venire, ogni qual volta sarà menzionato: Falino un giorno, inviato dal re per intimare ai Greci la consegna delle armi, richiesto di un parere, consigliò così. Lo sai, in Grecia si parlerà del tuo suggerimento, è inevitabile". 18 Clearco induceva sottilmente questi motivi, perché voleva che proprio l'uomo inviato come emissario dal re li consigliasse di non consegnare le armi, perché i Greci avessero buone speranze. 19 E invece Falino, elusivo, disse contro le sue aspettative: "Se tra migliaia di speranze ne aveste una sola di salvarvi muovendo guerra al re, vi suggerirei di non cedere le armi; ma se non c'è nessuna speranza di salvezza contro l'ostilità del re, allora il mio consiglio è di salvarvi nell'unico modo che vi rimane". 20 Clearco ribatté: "La pensi così, allora! Va' piuttosto a riferire al re la nostra ferma convinzione: se dobbiamo essere amici, saremo molto più degni del suo rispetto se terremo le nostre armi e non se le consegneremo ad altri; se poi sarà il caso di combattere, è meglio lottare con le armi piuttosto che averle cedute". 21 Falino ancora: "Riporterò le tue parole. Ma il re mi ha incaricato di comunicarvi che, finché rimanete qui, vi sarà garantita tregua; ma se vi muovete, per avanzare o ritirarvi, sarà guerra. Fateci sapere, al riguardo, se rimarrete e ci sarà tregua oppure se dovrò riferire guerra da parte vostra". 22 Clearco disse: "Comunica allora, su questo punto, che anche noi ci atteniamo alla proposta del re". "Che cosa significa?", ribatté Falino. Clearco: "Se rimaniamo, tregua; se ci ritiriamo o avanziamo, guerra". 23 E l'altro incalzò: "Annuncerò tregua o guerra?". Clearco ripeté le stesse parole: "Tregua, se rimaniamo; ma se ci ritiriamo o avanziamo, guerra". Ma non rivelò che cosa intendesse fare. 2 1 Falino se ne andò con il suo séguito. Dal campo di Arieo erano rientrati Procle e Chirisofo. Menone era rimasto da Arieo. I due riferirono le parole di Arieo, secondo cui c'erano molti Persiani, più nobili di lui, che non avrebbero tollerato l'idea di un suo avvento al trono. "Se intendete partire insieme a lui, invita a raggiungerlo durante la notte; in caso contrario domani all'alba dice che se ne andrà". 2 Clearco rispose: "Va bene, se andremo si farà come dite; altrimenti regolatevi pure come meglio credete". Che cosa volesse fare, però, neppure a loro lo disse. 3 Dopo di che, ormai al calar del sole, convocò gli strateghi e i locaghi e si espresse nei termini seguenti: "Mentre celebravo il sacrificio, o uomini, sull'ipotesi di marciare contro il re gli auspici non erano favorevoli. Ed era naturale che non lo fossero: ho saputo or ora che tra noi e il re scorre il Tigri, un fiume navigabile, ma non lo potremmo varcare senza imbarcazioni. E imbarcazioni non ne abbiamo. Né è possibile rimanere qui, perché non c'è modo di rifornirci di viveri. Gli auspici erano invece del tutto propizi in merito all'ipotesi di riunirci con gli amici di Ciro. 4 Bisogna dunque agire così: ritiriamoci e ceniamo, ciascuno con quel che ha; poi, quando il corno darà il segnale del riposo, preparate i bagagli; al secondo squillo, caricateli sulle bestie da soma; al terzo, accodatevi all'avanguardia, tenendo le bestie sul lato del fiume e gli opliti all'esterno". 5 Allora gli strateghi e i locaghi si allontanarono e seguirono le indicazioni. E nei giorni successivi le cose non sarebbero cambiate: lui comandava e gli altri obbedivano. Non lo avevano eletto, ma in lui solo vedevano la tempra del vero capo, mentre gli altri erano privi di esperienza. 6 [La lunghezza della strada percorsa in totale da Efeso nella Ionia fino al campo di battaglia è novantatré tappe, cinquecentotrentacinque parasanghe, ossia sedicimilacinquanta stadi. Il campo di battaglia distava da Babilonia, dicevano, trecentosessanta stadi.] 7 Quando ormai erano scese le tenebre, Miltocite il trace, con i cavalieri al suo séguito - una quarantina - e con più o meno trecento fanti traci, da qui defezionò passando al re. 8 Clearco guidava gli altri secondo le direttive impartite, il resto dell'esercito lo seguiva. Giungono alla prima tappa, da Arieo e dalle sue truppe, verso mezzanotte. I soldati deposero le armi ma rimasero nei ranghi, mentre gli strateghi e i locaghi greci si riunirono con Arieo. I Greci e Arieo con i più influenti personaggi che erano con lui giurarono reciprocamente di non tradirsi e di rimanere alleati. I barbari promisero inoltre di guidarli senza inganni. 9 Così giurarono, dopo aver sgozzato un toro, un cinghiale e un montone su di uno scudo: i Greci vi immersero una spada, i barbari una lancia. 10 Una volta scambiati i pegni di fedeltà, Clearco disse: "Su, Arieo, ora che ci attende un'impresa comune, esponi il tuo parere sulla direzione da tenere: seguiremo la via percorsa all'andata oppure hai in mente una strada migliore?". 11 E lui rispose: "Se ci incamminiamo per la via già seguita, non c'è scampo, moriremo di fame. Già ora non abbiamo più viveri. Nelle ultime diciassette tappe, per venire fin qui, non abbiamo trovato nulla da prendere, e quel poco che c'era l'abbiamo consumato durante il nostro passaggio. La nostra idea adesso è di intraprendere un altro cammino, più lungo, sì, ma i viveri non ci mancheranno. 12 Le prime tappe devono essere le più lunghe possibili, per distanziare al massimo l'esercito regio. Una volta guadagnati due o tre giorni di vantaggio, il re non riuscirà più a raggiungerci. Con un esercito piccolo non oserà incalzarci, con un esercito numeroso non avrà modo di affrettare il passo. E forse ha anche penuria di viveri. Ecco", disse, "il mio parere". 13 Un piano del genere non prevedeva altro che la ritirata o la fuga. La sorte però ne concepì uno più dignitoso. Sul fare del giorno si misero in marcia, tenendo il sole alla propria destra: al tramonto, calcolavano, sarebbero giunti ad alcuni villaggi della regione di Babilonia. E infatti non si sbagliarono. 14 Quando ancora si era nel primo pomeriggio, credettero di avvistare dei cavalieri nemici. I Greci che non erano nei ranghi correvano a riprendere il loro posto; Arieo - viaggiava su carro, perché era stato ferito - scese e indossò la corazza, come pure i suoi. 15 Mentre si stavano armando, le vedette mandate in avanscoperta rientrarono e dissero che non si trattava di cavalli, ma di bestie al pascolo. Sùbito tutti capirono che da qualche parte, nelle vicinanze, si era attendato il re. Tanto più che nei villaggi, non lontano, si vedeva del fumo. 16 Clearco non mosse contro i nemici: sapeva che i soldati erano stanchi, affamati. E ormai era anche tardi. Comunque non cambiò direzione, badando bene a non dar l'impressione di una fuga, anzi procedette in linea retta fino al calar del sole. Si accampò così con l'avanguardia nei primi villaggi: da qui l'esercito regio aveva strappato perfino le parti in legno delle abitazioni. 17 L'avanguardia comunque si accampò alla bell'e meglio; quanto agli uomini della retroguardia invece, giunti ormai con le tenebre, ciascuno prese posto come capitava. Per chiamarsi a vicenda lanciavano grida così alte, che giunsero perfino alle orecchie dei nemici: quelli di loro che si trovavano nei pressi, addirittura fuggirono dalle tende. 18 Lo si poté vedere con chiarezza il giorno seguente: non si scorgevano più, nelle vicinanze, né animali da soma né accampamento né fumo da nessun lato. A quanto pare, anche il re rimase colpito dall'arrivo dell'esercito. Ne diede prova il suo comportamento nel giorno successivo. 19 Nel corso della notte, in realtà, anche i Greci furono presi da paura e si verificò trambusto e scompiglio, come è naturale che capiti quando s'insinua il pànico. 20 Clearco, che aveva con sé il miglior araldo del tempo, Tolmide di Elide, gli diede ordine di imporre il silenzio e di notificare il proclama dei comandanti: chi denunzierà l'uomo che si è lasciato scappare l'asino nell'accampamento, riceverà una ricompensa di un talento. 21 Una volta divulgato il proclama, i soldati compresero che vano era il timore e che i comandanti erano al sicuro. All'alba Clearco trasmette l'ordine ai Greci di prendere posto nello schieramento, secondo la disposizione già assunta in battaglia. 3 1 Che il re, come ho scritto, fosse rimasto colpito dall'arrivo, è chiaro anche da quanto segue: mentre il giorno prima aveva inviato emissari per esigere la consegna delle armi, adesso, al sorgere del sole, mandò a trattare la tregua. 2 Gli inviati, non appena giunsero agli avamposti, chiesero dei capi. Quando le sentinelle ne diedero notizia, Clearco stava passando in rassegna le truppe schierate, per cui disse alle sentinelle di invitare gli araldi ad attendere che avesse tempo. 3 Quando ebbe disposto l'esercito in modo che su ogni lato la linea risultasse ben serrata, senza che nessuno degli opliti uscisse dai ranghi, convocò i messaggeri e lui stesso mosse in avanti, scortato dai soldati meglio armati e di più bell'aspetto tra i suoi, facendo cenno agli altri comandanti di imitarlo. 4 Vicino che fu ai messi, domandò che cosa volessero. Erano venuti, dissero, per una tregua, con la mansione di riferire le richieste del re ai Greci e quelle dei Greci al re. 5 E lui rispose: "Riferitegli allora che prima dobbiamo combattere: noi non abbiamo, infatti, di che pranzare. E chi oserebbe parlare di tregua ai Greci senza procurar loro il pranzo?". 6 Alle sue parole i messi si allontanarono e ritornarono poco dopo, per cui si capì che lì nei dintorni c'era il re o chi per lui avesse ricevuto il compito di trattare. Gli emissari dissero che le loro richieste erano sembrate ragionevoli al re e che erano ritornati con delle guide che, in caso di tregua, li avrebbero condotti dove potevano trovare i viveri. 7 Clearco chiese se la tregua valesse solo per chi teneva i contatti nella trattativa oppure anche per gli altri. Gli emissari: "Per tutti quanti, finché non vengono comunicate al re le vostre condizioni". 8 Alla fine del discorso Clearco li fece allontanare e tenne consiglio: l'opinione generale era di concludere sùbito la tregua, per andare a rifornirsi di viveri in tutta tranquillità. 9 Clearco disse: "Sono anch'io dello stesso avviso. Ma non voglio comunicare sùbito la risposta, anzi tirerò per le lunghe, fin tanto che i messaggeri non temeranno un nostro rifiuto. Ho il sospetto però, disse, che getteremo la stessa paura nell'animo dei nostri soldati". Quando gli sembrò venuto il momento, annunciò che accettavano la tregua e immediatamente chiese che lo portassero ai viveri. 10 Allora i messi lo guidarono e Clearco, una volta conclusa la tregua, si mosse con l'esercito in formazione, tenendosi nella retroguardia. Si imbatterono in fossi e canali pieni d'acqua, tanto che non si potevano varcare senza ponti. Prepararono il guado con i tronchi di palme che trovarono: alcuni già a terra, altri li abbatterono. 11 Nella circostanza Clearco diede un saggio delle sue doti di comando: teneva nella sinistra la lancia, nella destra un bastone. Se qualcuno degli uomini comandati ai lavori gli dava l'impressione di fiacchezza, prendeva da parte il responsabile e lo percuoteva; al contempo dava una mano in prima persona, coi piedi nel fango, per cui ognuno provava un senso di vergogna a non collaborare. 12 Erano stati adibiti ai lavori i trentenni. Quando videro l'impegno di Clearco, si prestarono anche i più anziani. 13 Ancor più si dava da fare Clearco, perché immaginava che i fossi non dovessero essere sempre così pieni d'acqua: non era, infatti, la stagione adatta per l'irrigazione dei campi. Al contrario, sospettava che il re avesse allagato la pianura, allo scopo di instillare nei Greci la convinzione che la via fosse irta di difficoltà. 14 Percorso un certo tratto, giunsero ai villagi in cui, secondo le indicazioni delle guide, dovevano trovare i rifornimenti. C'era cibo in abbondanza, vino di palma e aceto bollito, sempre ricavato dalla stessa fonte. 15 Ai servi sono destinati i frutti delle palme come quelli che si possono vedere in Grecia, mentre ai padroni sono riservati i frutti scelti, straordinari per bellezza e grossezza: il loro aspetto è del tutto simile all'ambra. Alcuni, lasciati seccare, vengono riposti come leccornie. La bevanda che da essi si ricava è gradevole, ma procura mal di testa. 16 In quell'occasione i soldati mangiarono, per la prima volta, anche il midollo della palma; la maggioranza rimase favorevolmente sorpresa dall'aspetto e dal particolare sapore. Ma anch'esso provocava forti cefalee. Tra l'altro, l'albero di palma da cui veniva estratto il midollo seccava completamente. 17 Qui rimasero tre giorni. Dal campo del gran re era giunto Tissaferne insieme al fratello della moglie del re e ad altri tre Persiani, con uno stuolo di servi. Quando gli strateghi greci mossero loro incontro, Tissaferne prese per primo la parola e con l'aiuto di un interprete disse: 18 "Greci, io abito in un paese vicino alla Grecia e, poiché vi ho visti dibattere in difficoltà gravi e senza via di uscita, ho escogitato un rimedio, per ottenere dal re la facoltà, se mai mi riuscisse, di riportarvi sani e salvi in Grecia. Penso che non mi mancheranno né la vostra gratitudine né quella della Grecia. 19 Con tale proposito mi sono rivolto al re, sostenendo che aveva validi motivi per concedermi quella grazia: sono stato io il primo ad annunciargli la spedizione di Ciro contro di lui, e insieme alla notizia gli ho portato il mio aiuto; sono stato il solo, tra tutti gli uomini schierati di fronte alle truppe greche, a non fuggire, anzi ho sfondato le vostre linee e mi sono riunito a lui nel vostro accampamento, dove il re era giunto dopo aver ucciso Ciro e incalzato i barbari di Ciro, insieme a questi uomini ora qui ai miei ordini, fedelissimi al re. 20 Mi promise che avrebbe riflettuto, ma intanto mi ha ordinato di venire qui e di domandarvi perché avete intrapreso una spedizione contro di lui. Vi consiglio di rispondere con tono misurato, per facilitare il mio compito, se mai mi riuscisse di ottenere per voi qualche beneficio da parte sua". 21 Dopo di che, i Greci si allontanarono e tennero consiglio; poi risposero, tramite Clearco: "Non siamo venuti qui per portare guerra al re né ci dirigevamo contro di lui; Ciro ha trovato un'infinità di pretesti, come anche tu ben sai, per cogliere impreparati voi e condurre qui noi. 22 A dire il vero, quando l'abbiamo visto in grave difficoltà, abbiamo provato un senso di vergogna di fronte agli dèi e agli uomini: non potevamo tradirlo, noi che in precedenza avevamo goduto dei suoi favori. 23 Ora che Ciro è morto, non avanziamo pretese nei confronti del re né c'è ragione per cui vogliamo devastare il suo territorio, e men che mai abbiamo intenzione di ucciderlo; al contrario, ci metteremmo volentieri sulla strada di casa, se nessuno ce lo impedisse. Ma se qualcuno ci attacca, cercheremo con l'aiuto degli dèi di difenderci. Se poi qualcuno ci accorderà la sua benevolenza, allora, per quanto sta nelle nostre forze, non saremo da meno nel ricambiarlo". 24 Così parlò; dopo averlo ascoltato, Tissaferne disse: "Riferirò al re le tue parole e di nuovo a voi la sua risposta. Fino al mio ritorno, continui la tregua. Intanto vi consentiremo l'accesso al mercato". 25 Il giorno successivo non si presentò, per cui i Greci rimasero in ansia. Ma due giorni dopo giunse e disse che aveva ottenuto dal re licenza di salvare i Greci, anche se davvero molti avevano obiettato che non era degno di un re lasciar andare impunito chi aveva marciato contro di lui. 26 Infine soggiunse: "Adesso potete ricevere da parte nostra l'impegno che certamente passerete in una regione amica e che vi si condurrà senza inganni verso la Grecia, consentendovi l'accesso al mercato. Dove non abbiate modo di comprare i viveri vi permetteremo di prenderli dal territorio. 27 Voi però dovete giurarci che passerete come attraverso un paese amico senza arrecar danni, prendendo cibo e bevande solo quando non vi potrete rifornire al mercato; in caso contrario, avrete i viveri solo a pagamento". 28 La proposta fu approvata: Tissaferne e il fratello della moglie del re giurarono, porsero la destra agli strateghi e ai locaghi greci e ricevettero la loro. 29 Dopo di che, Tissaferne esclamò: "Ora ritorno dal re; quando avrò sbrigato i miei impegni, sarò di nuovo qui, pronto a ricondurvi in Grecia e a rientrare nel mio dominio". Libro III 1 1 [Le azioni compiute dai Greci durante la marcia di Ciro verso l'interno fino al momento della battaglia, le vicende avvenute dopo la morte di Ciro, la ritirata dei Greci con Tissaferne nel corso della tregua sono esposte nel racconto precedente.] 2 Una volta catturati gli strateghi e uccisi i locaghi e i soldati che li accompagnavano, i Greci non sapevano che partito prendere: capivano di essere vicinissimi al re, tutt'intorno accerchiati da molte genti e città ostili, nessuno era disposto ad aprire loro i mercati, la Grecia distava non meno di diecimila stadi, non avevano una guida che indicasse loro il cammino; e poi la via verso casa era sbarrata da fiumi non guadabili, anche i barbari al séguito di Ciro nella spedizione li avevano traditi, erano rimasti soli, senza neppure un cavaliere a dar manforte, per cui, in caso di vittoria, era palese a tutti che non avrebbero potuto uccidere nemmeno un nemico, ma, se venivano sconfitti, nessuno sarebbe sopravvissuto. 3 Rivolgendo nella mente tali pensieri, demoralizzati, pochi verso sera toccarono cibo, pochi accesero il fuoco, molti non rientrarono neppure al campo, quella notte. Ciascuno per dormire si sdraiava dove capitava, ma non riuscirono a chiudere occhio per il tormento e il rimpianto della patria, dei genitori, delle mogli, dei figli e credevano di non rivederli mai più. In preda a tali stati d'animo tutti cercavano riposo. 4 C'era nell'esercito un certo Senofonte, ateniese: non era stratego né locago né soldato semplice, ma si era unito alla spedizione perché Prosseno, suo ospite di vecchia data, lo aveva mandato a chiamare dalla patria dietro promessa che, se lo avesse raggiunto, gli avrebbe procurato l'amicizia di Ciro, un uomo che - sosteneva - poteva fare per lui più della sua patria. 5 Senofonte dunque, letta la missiva di Prosseno, si consulta in merito al viaggio con Socrate l'ateniese. E Socrate, supponendo che l'amicizia con Ciro potesse venir additata dalla città come una colpa (si pensava che Ciro avesse sollecitamente appoggiato gli Spartani nella guerra contro Atene), suggerisce a Senofonte di recarsi a Delfi e di consultare il dio a proposito del viaggio. 6 Senofonte vi si recò e ad Apollo chiese a quale dio dovesse rivolger sacrifici e preghiere per percorrere nel modo più sereno e fausto la via che intendeva intraprendere e, conclusa per il meglio l'impresa, ritornare sano e salvo. Apollo gli indicò espressamente gli dèi a cui doveva tributare i sacrifici. 7 Rientrato in patria, riferì il responso a Socrate, che, non appena lo ebbe udito, lo rimproverò di non aver prima chiesto se convenisse partire o restare, ma, avendo già preso da sé la decisione di andare, la sua domanda riguardava solo come avrebbe potuto rendere più sicura l'impresa. "Ma poiché hai formulato il quesito in tali termini", concluse Socrate, "bisogna che tu ora compia quanto il dio ti ha prescritto". 8 Senofonte allora sacrificò alle divinità indicate da Apollo e salpò. A Sardi raggiunge Prosseno e Ciro, che erano ormai sul punto di muovere verso l'interno, ed entrò in contatto con Ciro. 9 Dietro pressione di Prosseno, anche Ciro insistette ripetutamente perché Senofonte restasse: non appena terminata la campagna di guerra, l'avrebbe rimandato sùbito in patria. E si parlava di una spedizione contro i Pisidi. 10 Si unì dunque all'impresa, perché tratto così in inganno, ma non certo per colpa di Prosseno, che non sapeva dell'attacco al re, come pure nessun altro dei Greci, a eccezione di Clearco. A dire il vero, quando giunsero in Cilicia, sembrava ormai evidente a tutti che il bersaglio era il re. Atterriti dal viaggio e pur contro voglia, molti comunque seguirono la spedizione, perché provavano vergogna sia di fronte ai compagni sia di fronte a Ciro. Tra quelli c'era anche Senofonte. 11 In quella situazione senza sbocco soffriva insieme agli altri e non riusciva a chiudere occhio. Poi si assopì per qualche istante ed ebbe un sogno: gli sembrò che durante una tempesta un fulmine si abbattesse sulla casa paterna e che questa poi, tutta quanta, mandasse bagliori. 12 Sconvolto, sùbito si svegliò: valutava il sogno fausto per alcuni aspetti, perché in una situazione di gravi travagli e pericoli gli era apparsa la grande luce di Zeus; d'altro canto però era preoccupato, perché il sogno pareva venire da Zeus sovrano e il fuoco sembrava mandare bagliori tutt'attorno, in cerchio, a indicare che non avrebbe trovato nessuna via d'uscita dal territorio del re, ma da ogni lato sarebbe stato trattenuto da qualche ostacolo. 13 Qual è il vero significato di un sogno simile, lo si può capire dagli eventi successivi. Ecco che cosa accadde. Appena si ridestò, sùbito lo assalì un pensiero: "Che ci sto a fare qui sdraiato? La notte avanza; allo spuntar del giorno, probabilmente, piomberanno i nemici. Se cadremo nelle mani del re, che cosa ci salverà da una morte infamante, dopo aver visto orrori d'ogni genere, dopo aver sofferto tutte le pene più atroci? 14 Nessuno si prepara né si cura di come ci difenderemo: restiamo qui sdraiati quasi che potessimo starcene tranquilli. Da quale città mi attendo che arrivi uno stratego per guidare le operazioni? Che cosa aspetto per agire, di diventar vecchio? No, non avrò ancora modo di invecchiare, se oggi mi consegnerò ai nemici". 15 Perciò balza in piedi e chiama sùbito i locaghi di Prosseno. Quando giunsero, disse: "O locaghi, non riesco a prender sonno, come credo neppure voi, e nemmeno a restar ancora sdraiato, quando mi rendo conto in quale situazione versiamo. 16 I nemici, è chiaro, non ci hanno ancora assaliti solo perché volevano esser sicuri di aver preparato a punto ogni cosa. E noi? Nessuno si occupa di come potremo difenderci nel modo migliore. 17 Quali pene pensate che ci attendano, se ci lasceremo andare e cadremo nelle mani del re? Suo fratello, nato dalla stessa madre, già cadavere, dopo avergli mozzato il capo e la mano, lo ha impalato. E noi, che non abbiamo nessun difensore e ci siamo mossi contro di lui per renderlo schiavo da re che era e ammazzarlo, se ci riusciva? Cosa credete che patiremo? 18 Non pensate che sarebbe capace di tutto pur di torturarci a morte e ingenerare terrore in chiunque, in futuro, voglia marciare contro di lui? Dobbiamo provarle tutte pur di non cadere in mano sua. 19 Tra l'altro, da quando è in vigore la tregua, non ho smesso un attimo di commiserare la nostra sorte: beati il re e i suoi sudditi pensavo, osservando le loro terre così estese e fertili, l'abbondanza di viveri, schiavi, armenti, oro, vesti. 20 Per contro, talvolta la mente mi correva a noi soldati, che non potevamo godere di nessuno di questi beni, se non a pagamento - e sapevo che pochi ormai avevano denaro per comprarli - tanto più che i giuramenti ci vincolavano a procurarci i viveri solo col denaro. E quando ragionavo così, certe volte mi spaventava di più la tregua che la guerra. 21 Adesso i nemici hanno violato i patti, per cui, ritengo, svaniscono tanto le loro insolenze quanto i nostri sospetti. Quei beni stanno ora nel mezzo quale premio per chi, tra i due contendenti, risulterà vincitore: giudici della gara sono gli dèi, che saranno al nostro fianco, è naturale. 22 Loro infatti hanno spergiurato, mentre noi, pur avendo davanti agli occhi tanti beni, per i giuramenti fatti di fronte agli dèi, ce ne siamo tenuti rigorosamente lontani. Credo dunque che sia lecito presentarsi alla gara con il morale molto più alto del loro. 23 Abbiamo inoltre corpi più resistenti dei loro, al freddo, al caldo, alle fatiche. Abbiamo anche uno spirito più risoluto, grazie agli dèi. Loro più di noi sono soggetti alle ferite e alla morte, se gli dèi come in passato ci concederanno la vittoria. 24 Ma forse non sono il solo a pensarla così. In nome degli dèi, non aspettiamo che siano altri a venire da noi, a esortarci alle imprese più alte; al contrario cerchiamo di essere noi i primi a trascinare loro sulla strada del valore. Dimostratevi i migliori tra i locaghi, degni del comando ancor più degli strateghi stessi. 25 Per parte mia, se avete intenzione di spingervi su questa strada, sono pronto a seguirvi; se invece mi incaricate di condurvi, non accamperò il pretesto della mia giovane età: credo di aver forze sufficienti per stornare da me i mali". 26 Queste le sue parole. I capi, appena lo udirono, lo invitarono a guidarli, tutti tranne Apollonide, un tale che parlava con un accento beotico. Disse che la sola via di scampo era obbedire al re, e chissà se era ancora praticabile: chiunque affermasse il contrario faceva solo chiacchiere. E sùbito cominciò a enumerare gli ostacoli. 27 Allora Senofonte lo interruppe: "Sei proprio un bel tipo! Vedi e non capisci, senti e non ricordi. Eppure eri qui con noi quando, dopo la morte di Ciro, il re, pieno di boria, ha inviato i messi e ci ha intimato di consegnare le armi. 28 Non le abbiamo cedute, anzi le abbiamo impugnate, ci siamo mossi e abbiamo posto le tende vicino al suo campo. E lui che ha fatto? Non ha forse inviato emissari, chiesto tregua e offerto rifornimenti, finché non ha raggiunto un accordo? 29 Quando invece gli strateghi e i locaghi, come tu ora consigli, senz'armi e fidando nella tregua, hanno intavolato discorsi coi nemici, non sono stati colpiti, tormentati, coperti di infamia? Quegli sventurati non hanno potuto neppure cercar rifugio nella morte - e credo che a quel punto non desiderassero altro. Son tutte cose che sai, eppure se uno di noi chiama alla difesa, lo tacci di parlare a vanvera. E tu? Non sai far altro che consigliare ancora di obbedire al re e di recarci da lui? 30 Propongo, o soldati, di non ammettere più alle nostre assemblee quest'uomo, di degradarlo dalla carica di locago, di metterlo ai bagagli e di usarlo come portatore. Disonora la patria e tutta la Grecia, perché, anche se greco, è un vigliacco". 31 Intervenne allora Agasia di Stinfalo: "Ma quest'individuo non ha a che fare né con la Beozia né tanto meno con la Grecia! Ho visto che ha entrambi i lobi degli orecchi forati, come i Lidi". Ed era vero. 32 Dunque lo cacciarono via. Gli altri passarono per i reparti: dove lo stratego era salvo, convocavano lo stratego; se aveva perso la vita, parlavano con il vicecomandante; dove infine era superstite il locago, chiamavano quello. 33 Quanto si riunirono tutti, si sedettero davanti all'accampamento. Gli strateghi e i locaghi convenuti erano un centinaio. Era quasi mezzanotte. 34 Allora Ieronimo dell'Elide, il più anziano tra i locaghi di Prosseno, cominciò a parlare: "Strateghi e locaghi, abbiamo analizzato la situazione e deciso di riunirci e chiamarvi, per prendere un provvedimento, buono possibilmente. Ripeti anche qui", disse, "o Senofonte, quello che hai detto a noi". 35 Prende la parola Senofonte: "Insomma, sono cose note a tutti: il re e Tissaferne hanno arrestato quanti dei nostri sono riusciti a catturare, ma contro gli altri, non c'è dubbio, tramano insidie per massacrarli, se possono. A noi, credo, non resta che far di tutto per non cadere nelle mani dei barbari, anzi per far cadere loro nelle nostre. 36 Sappiatelo bene: a ognuno di voi si offre una grande occasione. Tutti i soldati hanno gli occhi puntati su di voi: se vi vedono demoralizzati, saranno tutti dei vigliacchi; se invece voi stessi vi mostrerete determinati contro il nemico e inciterete gli altri, vi seguiranno - siatene certi - e cercheranno di imitarvi. 37 Forse è anche giusto che in qualcosa vi distinguiate da loro. Siete strateghi, siete tassiarchi e locaghi. In tempo di pace li superate in ricchezze e onori. Ma adesso siamo in guerra e spetta a voi dimostrarvi migliori della truppa, preoccuparvi per lei e sobbarcarvi alle fatiche, se necessario. 38 Innanzitutto penso che renderete un grande servizio all'esercito, se vi premurerete di nominare quanto prima strateghi e locaghi al posto di quelli deceduti. Senza capi non si può combinare nulla di buono in nessun settore, per dirla in breve, tanto meno in campo militare. La disciplina, si sa, è fonte di salvezza, l'insubordinazione ha già causato la rovina di molti. 39 Quando poi avrete nominato i comandanti che servono, se raccoglierete anche gli altri soldati e li rinfrancherete, sarà - penso - proprio un gesto adatto alle circostanze. 40 Ora, forse, vi siete accorti anche voi con quale animo siano andati a depositare le armi, con quale animo si dirigano ai posti di guardia. Se le cose stanno così, non so a che ci possano servire, in caso di un attacco di notte o anche di giorno. 41 Ma basterà riuscire a mutare i loro pensieri - che non abbiano più fisse nella mente solo le sciagure incombenti ma anche le gesta di valore che li attendono - e saranno molto più risoluti. 42 Sapete che non c'è numero di soldati né forza capace di garantire le vittorie in guerra, ma solo chi con l'aiuto degli dèi si lancia contro i nemici deciso nell'animo, nella maggior parte dei casi riesce a travolgere gli avversari. 43 Dal canto mio, o uomini, ho considerato un fatto: chi in guerra cerca di salvar la pelle a ogni costo, il più delle volte va incontro a una morte da codardo, a una morte infame; chi invece ha capito che la morte è comune a tutti e ineluttabile per l'uomo e lotta per trovare una bella morte, vedo che in un modo o nell'altro raggiunge la vecchiaia e, finché rimane in vita, conduce un'esistenza più felice. 44 Bisogna intendere appieno la forza di questa verità e adesso, nell'ora più grave, dobbiamo essere valorosi e trascinare gli altri". 45 Detto ciò, tacque. Quindi Chirisofo prese la parola: "Prima, Senofonte, ti conoscevo solo per quanto avevo sentito dire, e cioè che eri ateniese. Adesso so di più: posso anche lodare le tue parole e il tuo comportamento. Vorrei che ce ne fossero tanti come te: sarebbe un bene per tutti. 46 Ma ora", proseguì, "non perdiamo tempo, uomini, andate ormai e i reparti che ne hanno necessità eleggano i comandanti. Dopo di che, ritornate al centro dell'accampamento a portare i prescelti. Poi convocheremo il resto della truppa. Sia presente", disse, "anche Tolmide l'araldo". 47 Appena ebbe terminato il discorso, si alzò perché si rompessero gli indugi e si approntasse il necessario. Quindi vennero eletti i capi: al posto di Clearco, Timasione di Dardano; al posto di Socrate, Santicle l'acheo; invece di Agia, Cleanore l'arcade; al posto di Menone, Filesio l'acheo; invece di Prosseno, Senofonte l'ateniese. 2 1 Quando era terminata l'elezione, il sole cominciava a mostrarsi e i comandanti si erano raccolti al centro dell'accampamento. Decisero di dislocare avamposti e di convocare i soldati. Una volta che anche il resto della truppa fu radunato, si alzò per primo Chirisofo lo spartano e parlò così: 2 "Soldati, l'ora è grave, da quando ci sono venuti a mancare strateghi tanto valorosi, locaghi, soldati. Come se non bastasse, Arieo e i suoi, prima nostri alleati, ci hanno traditi. 3 Tuttavia dobbiamo mostrarci uomini valorosi, come il momento richiede, non bisogna cedere, ma cercare una vittoria gloriosa e la salvezza, se ci riusciamo. In caso contrario, andiamo almeno incontro a una bella morte; mai e poi mai però dobbiamo cader vivi nelle mani del nemico. Ci aspetterebbero senza dubbio le sofferenze che gli dèi, speriamo, vorranno riservare ai nostri avversari". 4 Dopo di lui si alzò Cleanore di Orcomeno e disse: "Considerate, o uomini, lo spergiuro e l'empietà del re, considerate la malafede di Tissaferne: diceva che, essendo un vicino della Grecia, ci teneva moltissimo a salvarci; anzi lo ha giurato, ha porto la destra. E poi? Ci ha ingannati, ha arrestato gli strateghi, non ha avuto rispetto neppure per Zeus protettore degli ospiti, senza poi contare che era commensale di Clearco: si è servito di tutti quei discorsi, ripeto, per ingannarli e ucciderli. 5 E Arieo, che noi volevamo portare al trono? Ci siamo scambiati pegni di reciproca fedeltà, promettendo di non tradirci, ma lui non ha avuto né paura degli dèi né rispetto per la memoria di Ciro, eppure tanto lo teneva in onore Ciro, quando era in vita! Ora è passato con i suoi acerrimi nemici e cerca di nuocere a noi, gli amici di Ciro. 6 Ma ci pensino gli dèi a castigarli. Adesso dobbiamo solo stare in guardia per non cader mai più nelle loro trappole; combattiamo con tutte le nostre forze e accettiamo il volere divino". 7 Quindi si alza Senofonte, che indossava la sua migliore uniforme da battaglia: era convinto che, se gli dèi concedevano vittoria, al successo si addiceva la divisa migliore; ma se si doveva morire, era giusto impugnare le armi più belle e con esse andare incontro alla fine. Cominciò così il suo discorso: 8 "Lo spergiuro dei barbari e la loro slealtà li ha menzionati Cleanore, ma son cose note anche a voi, penso. Se ora vogliamo per la seconda volta riconciliarci amichevolmente con loro, è inevitabile che si cada in pieno sconforto, vista la sorte toccata agli strateghi, che con fiducia si erano messi nelle loro mani. Se al contrario intendiamo, armi in pugno, fargliela pagare e per il futuro muover loro guerra senza quartiere, con l'aiuto degli dèi abbiamo molte belle speranze di salvezza". 9 Mentre stava ancora parlando, uno starnutì: allora tutti i soldati, con uno slancio all'unisono, si prosternarono ad adorare il dio. Senofonte aggiunse: "O uomini, mentre parlavamo di salvezza ci è apparso un segno di Zeus salvatore, perciò mi sembra giusto promettere in voto al dio solenni sacrifici non appena giungeremo a un territorio amico per ringraziarlo della salvezza e anche di offrire vittime agli altri dèi secondo i nostri mezzi. Chi è d'accordo", disse, "alzi la mano". La alzarono tutti. Quindi formularono il voto e intonarono il peana. Compiuto convenientemente il rito, Senofonte riprese la parola: 10 "Stavo dicendo che abbiamo molte belle speranze di salvezza. Primo, confermiamo i giuramenti divini, su cui i nemici hanno spergiurato violando la tregua contro la parola data. Stando così le cose, è ovvio che gli dèi siano avversi ai nostri nemici e si schierino al nostro fianco. E gli dèi hanno la facoltà di rendere, in un attimo, debole chi è potente e di salvare senza fatica i deboli anche nei momenti più terribili, se così decidono. 11 Intendo poi ricordarvi i pericoli affrontati dai nostri avi, perché sappiate che avete l'obbligo morale di essere forti, e con l'aiuto degli dèi i forti si salvano anche nelle situazioni più tremende. Quando i Persiani e i loro alleati - una schiera sterminata - marciarono contro Atene per cancellarla dalla faccia della terra, gli Ateniesi hanno osato affrontarli e li hanno vinti. 12 Avevano fatto voto ad Artemide di sacrificare tante capre quanti fossero i nemici uccisi, ma non poterono trovarne a sufficienza, per cui decisero di sacrificarne cinquecento all'anno, e il sacrificio si celebra ancora ai nostri giorni. 13 E non basta: quando Serse, in séguito, radunò un esercito sterminato e mosse contro la Grecia, i nostri avi anche in quell'occasione hanno battuto, per terra e per mare, gli avi dei nostri avversari di oggi. Ne sono prova tangibile i trofei che avete visto, ma la testimonianza più alta è la libertà delle città dove siete nati e cresciuti. Nessun uomo è per voi un sovrano, solo di fronte agli dèi vi inchinate. Di gente così nobile voi siete la stirpe. 14 Non voglio certo intendere che li disonoriate; anzi, non sono passati molti giorni da quando, schierati dinnanzi ai discendenti dei loro nemici, li avete sconfitti - e dire che erano ben più numerosi - grazie all'aiuto degli dèi. 15 Prima vi battevate per il trono di Ciro, ma adesso la posta in palio è la vostra salvezza e senza ombra di dubbio dovete essere molto più forti e arditi. 16 È il momento di mostrare ancor più determinazione davanti ai nemici. Prima non li avevate mai incontrati e vedevate il loro numero smisurato, eppure avete trovato lo stesso il coraggio di marciare contro di loro con la fierezza dei vostri padri. Ora avete avuto la prova che, per quanti siano, non hanno la forza di reggere ai vostri assalti. Perché dunque dovete aver ancora timore di loro? 17 Non ritenete un danno la defezione degli uomini di Arieo, prima schierati al nostro fianco. Erano ancor più codardi degli avversari che abbiamo sconfitto. Ecco perché sono fuggiti passando agli altri e ci hanno abbandonato. Ma chi è pronto a dar il via alla fuga, è molto meglio vederlo schierato col nemico che tra le nostre linee. 18 Se qualcuno di voi è sfiduciato perché non abbiamo cavalieri, mentre i nemici ne hanno molti, ragionate: diecimila cavalieri non sono altro che diecimila uomini. In battaglia non è mai morto nessuno per il morso o il calcio di un cavallo. Sono gli uomini gli artefici degli eventi in battaglia. 19 Non abbiamo forse una base molto più stabile rispetto ai cavalieri? Loro rimangono come sospesi sui cavalli e hanno paura non solo di noi, ma anche di cadere. Noi invece, ben saldi sul terreno, vibriamo colpi molto più violenti se qualcuno si avvicina, con maggior precisione miriamo a chi vogliamo. Solo per un aspetto i cavalieri sono avvantaggiati: la loro fuga è più sicura della nostra. 20 Se affrontate intrepidi le battaglie, ma vi assilla l'idea che Tissaferne non ci farà più da guida e che il re non ci aprirà i mercati, considerate se, come guida, sia meglio Tissaferne, l'uomo che ci ha chiaramente traditi, oppure persone da noi scelte e incaricate, che sapranno cosa li aspetta: alla prima mancanza, l'errore si ritorcerà contro le loro vite e i loro corpi. 21 Quanto ai viveri, è meglio comprarli alle condizioni di mercato che stabilivano i barbari (misure scarse e prezzi salati - e soldi non ne abbiamo più) oppure farne razzia, se abbiamo la meglio, usando ciascuno la misura che gli va? 22 Poniamo che siate convinti che questi punti siano a nostro vantaggio, ma che valutiate insormontabili i fiumi e consideriate un grave errore averli attraversati. Valutate piuttosto se non siano stati i barbari ad agire con follia totale. Tutti i fiumi a valle non li puoi varcare, ma alla sorgente diventano transitabili, senza neppure bagnarsi le ginocchia. 23 Se poi i fiumi non ci permetteranno il passaggio e non troveremo nessuna guida, anche in tal caso non dovremo abbatterci. I Misi, che non potremmo certo definire più forti di noi, sappiamo che abitano molte prospere città nelle terre del re contro la sua volontà. Sappiamo che anche i Pisidi fanno la stessa cosa. E i Licaoni? Anch'essi, non è per noi una novità, occupate le zone fortificate in pianura, godono i frutti delle terre dei Persiani. 24 Anche noi, direi, dobbiamo dar l'impressione non più di dirigerci in patria, ma che ci disponiamo a stanziarci nella regione. Anche ai Misi, ne sono certo, il re darebbe molte guide, molti ostaggi come garanzia di una ritirata sicura, anzi costruirebbe una strada, se volessero andar via in quadriga. Anche con noi, ne son sicuro, lo farebbe, tre volte felice, se vedesse che ci disponiamo a rimanere. 25 Ma, non appena ci saremo abituati alla vita comoda e a nuotare nell'abbondanza, ad andare con le donne e le ragazze dei Medi e dei Persiani, belle e floride come sono, ho paura che dimenticheremo la via di casa, come i Lotofagi. 26 Mi sembra naturale e giusto cercare, prima di tutto, di ritornare in Grecia dai nostri cari e dimostrare ai Greci che sono loro a volere la povertà: potrebbero vedere che, chi adesso [in patria] campa di stenti, se si trasferisse qui, avrebbe modo di diventare ricco. Insomma, uomini, tutti i beni di cui ho parlato spettano senza dubbio a chi vince. Devo piuttosto spiegarvi quale assetto di marcia bisogna tenere per la massima sicurezza negli spostamenti e, in caso di battaglia, quale formazione conviene assumere per garantirci la massima forza d'urto. 27 Primo", disse, "sono dell'avviso di dar fuoco ai carri che abbiamo: così non saranno i nostri animali da tiro a vincolare la marcia, ma potremo dirigerci dove fa comodo all'esercito. Bisogna poi bruciare anche le tende. Non fanno che darci impiccio e non ci servono né per combattere né per procurarci vettovaglie. 28 Lasciamo anche gli altri bagagli superflui, escluso il necessario per combattere, mangiare o bere. Dobbiamo aumentare al massimo il numero degli uomini in armi e diminuire il più possibile i portabagagli. Se ci toccherà soccombere, tutto è perduto, sappiatelo. Se invece prevarremo, non ci resterà che usare i nemici come portatori. 29 Mi resta da trattare un punto che giudico il più importante. Vedete che i nostri avversari non hanno avuto il coraggio di riaprire le ostilità prima di aver catturato i nostri strateghi. Finché avevamo i comandanti e obbedivamo loro, erano convinti che noi avessimo forza sufficiente per prevalere nel conflitto; ma dopo che hanno catturato i nostri capi, hanno cominciato a pensare che, nell'anarchia e nella confusione, ci avrebbero distrutti. 30 Perciò bisogna che i comandanti ora in carica siano molto più zelanti dei precedenti e che i subordinati mostrino molta più disciplina e obbedienza che in passato. 31 E se qualche soldato non rispetta gli ordini, dovete votare una norma: chi di volta in volta assiste all'accaduto, deve aiutare il comandante a punire il colpevole. Così i nemici rimarranno completamente delusi: di Clearco oggi non ne vedranno uno, ma diecimila, che non permetteranno a nessuno di essere vile. 32 Su, è venuto il momento di concludere il discorso. I nemici potrebbero essere qui a momenti. Chi è d'accordo sulle mie proposte, le ratifichi al più presto, per renderle operative. Chi ha un'idea migliore, la dica, coraggio, anche se è un soldato semplice: tutti abbiamo bisogno della salvezza comune". 33 Quindi Chirisofo disse: "Se qualcuno vuole aggiungere qualche parola al discorso di Senofonte, lo può fare anche in un secondo tempo. Mi pare però il caso di mettere ai voti al più presto le proposte ora avanzate. Chi è a favore, alzi la mano". L'alzarono tutti. 34 Si levò di nuovo Senofonte: "Uomini, ascoltate che cos'altro mi è venuto in mente. Dobbiamo dirigerci, è chiaro, dove troveremo dei viveri. Ho sentito dire che ci sono ricchi villaggi a non più di venti stadi da qui. 35 Nessuna meraviglia, dunque, se i nemici si dovessero mettere sui nostri passi dopo la partenza - come i cani codardi, che inseguono chi passa e lo mordono, se riescono, ma se sono inseguiti fuggono. 36 Forse l'assetto di marcia più sicuro sta nel formare un quadrato con gli opliti, per proteggere al massimo i bagagli e il grosso dell'esercito. E se già da ora venisse stabilito chi deve guidar la testa del quadrato, chi custodire i fianchi, chi formare la retroguardia, non ci troveremmo poi costretti a prender le decisioni al momento dell'attacco nemico, ma potremmo sùbito attestarci nelle posizioni assegnate. 37 Se qualcuno ha un piano migliore, parli: decideremo altrimenti. Se no, Chirisofo, che è spartano, prenda la testa. Dei fianchi si preoccupino i due strateghi più anziani. Alla retroguardia penseremo io e Timasione, i due più giovani. Così per il momento. 38 In futuro metteremo alla prova lo schieramento e decideremo che cosa ci sembrerà meglio caso per caso. Qualcuno, ripeto, ha un piano migliore? Lo dica". Nessuno ribatté, per cui Senofonte riprese: "Chi è d'accordo, alzi la mano". La proposta fu approvata. 39 "Adesso però", disse, "sciolta l'assemblea, dobbiamo mettere in pratica le decisioni assunte. Chi di voi vuole rivedere i propri congiunti, si ricordi di essere valoroso: non c'è altra soluzione. Chi vuol salvare la pelle, cerchi di vincere: i vincitori possono uccidere, i vinti solo morire. Chi poi vuole ricchezze, cerchi di prevalere: ai vincitori spetta di salvare i propri beni e di strappare quelli degli avversari". Libro IV 1 1 [Quanto accadde durante la marcia verso l'interno fino al momento della battaglia, le successive vicende nel corso della tregua stretta tra il re e i Greci al séguito di Ciro, tutti gli atti di ostilità cui il re e Tissaferne, violando gli accordi, diedero vita contro i Greci che erano costantemente seguiti dall'esercito persiano, si trova tutto esposto nel racconto precedente. 2 Dopo che i Greci giunsero in un punto in cui era assolutamente impossibile guadare il Tigri per via della sua profondità e larghezza e non si trovava un passaggio, tanto più che i monti dei Carduchi, a picco, sovrastavano il fiume, gli strateghi decisero di aprirsi il passo tra le montagne. 3 Avevano infatti saputo dai prigionieri che, varcati i monti dei Carduchi, sarebbero entrati in Armenia, dove, se lo volevano, avrebbero potuto attraversare il fiume Tigri alle sorgenti oppure, in caso contrario, aggirarlo. E si diceva che le fonti dell'Eufrate non fossero distanti dal Tigri, come in effetti è. 4 Penetrano nelle terre dei Carduchi nel modo seguente: cercano sia di passare inosservati, sia di prevenire il nemico, prima che riuscisse a prendere il controllo delle alture.] 5 Si era intorno all'ultimo turno di guardia, la notte era quasi trascorsa e rimaneva giusto il tempo per attraversare la pianura nelle tenebre, quand'ecco che tra le file greche passa l'ordine di alzarsi in piedi e mettersi in marcia: arrivano al monte allo spuntar del giorno. 6 Nella circostanza Chirisofo guidò l'esercito, alla testa delle sue truppe e di tutti i gimneti. Chiudeva la colonna Senofonte con gli opliti della retroguardia, senza nessun gimneta, perché non sembrava che ci fossero pericoli in vista, a meno di un attacco alle spalle durante la salita. 7 Chirisofo raggiunse la cima senza aver avvistato alcun nemico. Quindi faceva da guida seguito man mano dai gruppi che valicavano il monte puntando verso i villaggi delle valli e delle gole, lungo le pendici montane. 8 Allora i Carduchi, con mogli e figli, abbandonarono le loro case e si rifugiarono sulle montagne. C'era a disposizione una gran quantità di viveri, nelle case si trovava ogni tipo di utensili in rame, ma i Greci non ne portarono via nemmeno uno, come pure non diedero la caccia ai fuggiaschi, ma risparmiarono oggetti e persone, nell'eventualità che i Carduchi si disponessero a concedere via libera come in un paese amico, tanto più che avevano un nemico comune, il re. 9 Per quanto riguardava i viveri però, chi ne trovava li prendeva: ma era per causa di forza maggiore. I Carduchi, comunque, non diedero ascolto agli appelli e non manifestarono alcun segno d'amicizia. 10 Le ultime schiere dei Greci scendevano dalle alture verso i villaggi, ormai tra le tenebre - a causa della via stretta, la salita e la discesa avevano richiesto una giornata intera di marcia -. Solo allora un gruppo di Carduchi, riunitosi, attaccò la retroguardia greca e con pietre e dardi riuscì a uccidere alcuni dei nostri e a ferirne altri. Erano pochi: l'esercito greco era piombato inatteso su di loro. 11 A dire il vero, se nell'occasione si fossero radunati in numero più consistente, il grosso dell'esercito greco avrebbe corso il serio pericolo di un massacro. Per quella notte alloggiarono così nei villaggi. I Carduchi accesero molti fuochi tutt'attorno, sui monti, tenendosi in reciproco contatto visivo. 12 Sul far del giorno gli strateghi e i locaghi greci si riunirono e decisero di proseguire la marcia con il minimo indispensabile di bestie da soma, le più robuste, abbandonando le altre. Quanti poi, catturati da poco, erano diventati schiavi, dovevano essere lasciati liberi. 13 La presenza di una massa di capi di bestiame e schiavi rallentava la marcia e, tra l'altro, molti erano i soldati che, adibiti alla sorveglianza, non potevano prender parte agli scontri. Inoltre bisognava procurarsi il doppio di viveri e trasportarli, tanti erano gli uomini. Comunicarono all'esercito la decisione tramite gli araldi. 14 Poi, fatta colazione, ripresero il cammino. Gli strateghi si appostarono in una strettoia della strada: se scovavano qualcuno che non si era sbarazzato di tutti gli oggetti prescritti, li requisivano. Tutti avevano rispettato l'ordine, tranne chi cercava di tener nascosto o un fanciullo di cui si era invaghito o una donna di particolare avvenenza. Per quel giorno proseguirono così, a momenti combattendo, a momenti anche riprendendo fiato. 15 L'indomani si abbatté una violenta bufera, eppure bisognava andare, a ogni costo: i viveri non bastavano più. Chirisofo era in testa, Senofonte in retroguardia. 16 I nemici attaccarono con veemenza in una zona impervia e si fecero sotto con dardi e proiettili, tanto che i Greci, costretti a contrattaccare e poi a ritirarsi, dovettero rallentare il passo. Più di una volta Senofonte mandò all'avanguardia l'ordine di fermarsi, quando il nemico premeva con impeto. 17 Di solito, quando riceveva il messaggio di Senofonte, Chirisofo si fermava, ma non quella volta: anzi, accelerò il passo e trasmise l'ordine di tenergli dietro. Era successo qualcosa, chiaramente, ma non c'era il tempo di raggiungere la testa della colonna per verificare quale fosse la causa di tanta fretta. Così la marcia della retroguardia assunse i toni della fuga. 18 Nella circostanza perse la vita un valoroso, lo spartano Leonimo, colpito da una freccia che gli aveva trapassato scudo e corazza, penetrandogli nel costato. Con lui morì anche Basia l'arcade, con il capo trafitto da un dardo. 19 Quando giunsero al punto in cui si doveva far tappa, senza frapporre un attimo d'indugio Senofonte raggiunse Chirisofo e lo accusò: non li aveva aspettati, li aveva costretti a combattere fuggendo. "E adesso due nobili soldati sono morti, senza che potessimo né raccogliere i loro corpi né seppellirli". 20 Chirisofo risponde: "Alza gli occhi verso i monti, guarda come sono impervi. C'è una sola strada - la vedi - in forte pendio. Puoi notare quanti nemici la presidino: ne hanno preso il controllo e sorvegliano lo sbocco. 21 Ecco perché correvo e non ti ho aspettato: speravo di precederli, di arrivare prima che s'impadronissero del valico. Le nostre guide sostengono che non c'è altra strada". 22 Senofonte replica: "Ma io ho due prigionieri. Siccome i nemici ci procuravano dei fastidi, abbiamo teso loro un'imboscata, che ci ha permesso anche di tirare il fiato: alcuni li abbiamo ammazzati, ma abbiamo cercato di catturarne altri vivi, proprio per avere delle guide che conoscessero bene la regione". 23 E sùbito vennero condotti i due prigionieri: li interrogarono separatamente, chiedendo se conoscessero una via diversa da quella che si vedeva. Uno dei due continuava a dire di no, nonostante le mille minacce. Dal momento che non gli si cavava niente di bocca, venne sgozzato sotto gli occhi dell'altro. 24 Quest'ultimo spiegò che, se il compagno si era ostinato a dire di non saper nulla, era per un motivo ben preciso: si dava il caso che sua figlia fosse andata in moglie a uno della zona. E proseguiva sostenendo che lui stesso li avrebbe guidati per un sentiero che anche le bestie da soma potevano percorrere. 25 Quando gli domandarono se c'erano punti che ostacolavano il cammino, rispose che l'unico era la vetta: se non ne avessero preso il controllo per primi, il passaggio sarebbe diventato impossibile. 26 Allora si decise di convocare i locaghi sia dei peltasti sia degli opliti, per illustrare loro la situazione e chiedere se c'era qualcuno pronto a dimostrarsi valoroso, a offrirsi come volontario per l'impresa. 27 Tra gli opliti si fanno avanti Aristonimo di Metidrio [arcade] e Agasia di Stinfalo [arcade], mentre Callimaco di Parrasia [arcade lui pure] scende in lizza con i due, dichiarandosi disposto a partire alla testa dei volontari di tutto l'esercito. "So", disse, "che molti giovani mi seguiranno, se sarò io alla guida". 28 Quindi domandano se anche qualche tassiarco dei gimneti avesse intenzione di unirsi a loro. Si fa avanti Aristea di Chio, che in diversi casi si era coperto di gloria in missioni analoghe. 2 1 Era pomeriggio avanzato. Ai volontari i capi ordinarono di mangiare e di mettersi in cammino. Dopo aver consegnato loro la guida in catene, si mettono d'accordo: se prendevano la cima, dovevano tenere la zona sotto sorveglianza per la notte e, all'alba, dare il segnale con la tromba: poi si sarebbero lanciati dall'alto contro i nemici che controllavano il passo, mentre il resto dell'esercito avrebbe portato loro soccorso, salendo con la massima rapidità. 2 Presi gli accordi, si misero in marcia, in tutto circa duemila uomini. Diluviava. Senofonte alla testa della retroguardia si diresse verso il passo, in modo che il nemico rivolgesse l'attenzione su questa strada e non notasse la manovra di accerchiamento. 3 Quando i Greci giunsero a un luogo scosceso che la retroguardia doveva superare per procedere nella salita, i barbari cominciarono a rotolare giù massi, grandi o piccoli che fossero, ma in quantità tale che avrebbe riempito, ogni volta, un carro. I macigni spinti verso il basso rovinavano contro le rocce, provocando una gragnuola di sassi, che parevano scagliati da fionde: non c'era la benché minima possibilità di avvicinarsi all'imboccatura della strada. 4 Alcuni locaghi, visto che di lì non si poteva passare, cercarono un'altra via. Protrassero i tentativi fino al calar delle tenebre, poi, quando pensarono di potersi allontanare inosservati, rientrarono al campo per la cena: alcuni di loro, ossia i soldati della retroguardia, non avevano nemmeno consumato il pranzo. Comunque i nemici per tutta la notte non smisero un attimo di rovesciar giù pietre: prova ne era il fragore. 5 Il gruppo che ha con sé la guida, aggira le truppe nemiche e piomba sulle sentinelle sedute attorno al fuoco: ne uccisero alcune, ne costrinsero alla fuga altre e lì si installarono i Greci, convinti che la sommità fosse sotto il loro controllo. 6 Invece non la controllavano. Sopra di loro si elevava un poggio, sul quale correva un sentiero, stretto, che restava in mano alle sentinelle nemiche. E da qui partiva una via che conduceva alle postazioni avversarie lungo la strada aperta. 7 Trascorsero lì la notte. Quando spuntò il giorno, in silenzio e in formazione da battaglia mossero contro gli avversari: c'era nebbia, per cui i nemici non si accorsero del loro arrivo. Quando i due schieramenti furono l'uno in vista dell'altro, la tromba diede il segnale e i Greci, levando il grido di guerra, puntarono contro gli avversari, che non ressero all'assalto, ma abbandonarono la strada e fuggirono subendo poche perdite, perché erano armati alla leggera. 8 Chirisofo e i suoi, non appena udirono il suono della tromba, risalirono sùbito per la strada aperta. Gli altri strateghi seguirono sentieri mai battuti, ciascuno imboccando la prima via che capitava. S'inerpicavano come potevano, tirandosi su l'un l'altro con l'aiuto delle lance. 9 Furono i primi a ricongiungersi con le truppe che avevano occupato la postazione. Senofonte con metà della retroguardia ripercorre la strada seguita dal gruppo con la guida, infatti era la via più facilmente percorribile dalle bestie da soma. Schierò l'altra metà dietro la colonna degli animali. 10 Durante la marcia càpitano sotto un colle sovrastante la via, che era nelle mani dei nemici. Non c'erano alternative: o annientarli o rimaner tagliati fuori dal resto dell'esercito greco. Avrebbero seguito le orme degli altri, se non fosse stato per le bestie da soma, che non potevano passare da nessun'altra strada, se non di lì. 11 Allora si esortano a vicenda e, con i lochi schierati in colonne, si lanciano verso la cima del colle, ma non l'accerchiano totalmente, per lasciare al nemico uno scampo, se voleva fuggire. 12 Finché i Greci procedettero in salita, ciascuno scegliendo il percorso che il terreno consentiva, i barbari li coprirono con un nugolo di frecce e sassi, ma poi non aspettarono che i nostri si facessero sotto, anzi evacuarono la zona e si diedero alla fuga. I Greci, quando avevano già superato il primo colle, ne videro un altro, presidiato dal nemico: decisero un nuovo attacco. 13 Senofonte valutò che, se avessero lasciato sguarnito il colle già nelle loro mani, i nemici lo avrebbero preso per la seconda volta per poi assalire la colonna degli animali che transitava lì sotto - si snodavano in fila lunghissima, perché la strada era stretta - perciò lasciò sul primo colle i locaghi Cefisodoro figlio di Cefisofonte ateniese, Arcagora figlio di Anfidemo ateniese e Arcagora esule argivo. Dal canto suo, con gli altri mosse verso il secondo colle. Sfruttando la stessa tattica, lo presero. 14 Rimaneva ancora un terzo poggio, molto più scosceso: si trattava proprio del rialzo sovrastante il posto di guardia di cui i volontari greci si erano impadroniti di notte, quando i nemici erano attorno al fuoco. 15 Non appena i Greci sono a ridosso, i barbari abbandonano il poggio senza colpo ferire, tra lo stupore di tutti. C'era il sospetto che avessero sgombrato il campo per timore di essere accerchiati e di rimanere indietro assediati. I nemici invece, scrutando dall'alto, avevano notato l'arrivo della retroguardia ed erano partiti in massa all'attacco. 16 Senofonte con i più giovani raggiunse la cima e ordinò agli altri di rallentare l'andatura, per consentire il ricongiungimento delle colonne più arretrate. Trasmise anche l'ordine di procedere lungo la via finché non fossero giunti alla spianata, dove potevano deporre le armi e sostare. 17 A quel punto sopraggiunge Arcagora l'esule argivo e dice che erano stati scalzati dal colle e che avevano perso la vita Cefisodoro, Anficrate e chi non era stato lesto a riunirsi alla nostra retroguardia balzando giù dalla rupe. 18 Forti del successo, i barbari si attestarono su un altro colle, dirimpetto al poggio. Senofonte, mediante un interprete, entrò con loro in trattative per concludere una tregua e chiese la restituzione dei cadaveri. 19 I nemici dissero che li avrebbero consegnati, a patto che i Greci non dessero fuoco alle case. Senofonte accettò le condizioni. Il patteggiamento si svolse proprio in concomitanza con l'appressarsi del resto dell'esercito; intanto confluirono lì tutti i nemici che erano in zona. 20 Quando i Greci cominciarono la discesa dal poggio verso i compagni, nel punto in cui questi ultimi avevano deposto le armi, i nemici li aggredirono in massa, strepitando: non appena raggiunsero la vetta del poggio da cui Senofonte era partito, iniziarono a precipitar giù massi. Un soldato si ruppe una gamba, lo scudiero di Senofonte se la svignò portando con sé lo scudo. 21 Un oplita, Euriloco di Lusi [arcade], corse in aiuto di Senofonte e parò lo scudo a protezione di entrambi, coprendo la ritirata. Anche gli altri ripiegarono presso le truppe schierate. 22 Quindi l'esercito greco si ricostituì al completo e prese alloggio nella zona, in diverse case, belle e stracolme di viveri: c'era vino in quantità, conservato in cisterne dalle pareti intonacate. 23 Senofonte e Chirisofo riuscirono a ottenere la riconsegna dei cadaveri e restituirono la guida. Ai morti, nel limite del possibile, resero ogni onoranza funebre, com'è consuetudine per i valorosi. 24 Il giorno successivo proseguirono senza guida. I nemici ripresero le ostilità e, dovunque ci fosse una strozzatura della strada, precedevano i nostri e la occupavano, impedendo il passaggio. 25 Quando la testa dell'esercito rimaneva bloccata, Senofonte partiva dalla retroguardia, saliva verso le cime dei monti e poi, da una posizione più elevata rispetto al nemico, riusciva a forzare lo sbarramento e ad aprire il passo. 26 Ogni volta che era la coda invece a subire l'attacco, Chirisofo deviava la sua marcia e, cercando di rimaner più in alto del nemico, spezzava lo sbarramento che ostacolava il passaggio della retroguardia: di volta in volta l'avanguardia e la retroguardia correvano in aiuto l'una dell'altra, sempre preoccupandosi reciprocamente della sorte dei compagni. 27 Non solo durante la salita, ma anche nella discesa i barbari misero più volte i Greci alle strette: erano gente agile, tanto che riuscivano a fuggire anche se voltavano le spalle a brevissima distanza. Del resto non portavano che arco e fionda. 28 Erano tra l'altro valentissimi arcieri, dotati di un arco di tre braccia circa, mentre i dardi superavano le due braccia di lunghezza. Ogni volta che scoccavano una freccia, tendevano la corda poggiando il piede sinistro sulla parte inferiore dell'arco: trapassavano scudi e corazze. I Greci, quando riuscivano a recuperare le loro frecce, le riutilizzavano come giavellotti, applicandovi una cinghia. In queste regioni si rivelò particolarmente preziosa l'opera dei Cretesi, capeggiati da Stratocle cretese. 3 1 Per quel giorno alloggiarono nei villaggi sovrastanti la pianura del Centrite, un fiume largo all'incirca due pletri, che segna il confine tra l'Armenia e la regione dei Carduchi. Qui i Greci ripresero fiato, felici di vedere una pianura: il fiume distava sei o sette stadi dai monti dei Carduchi. 2 Allora si accamparono con grande gioia, perché avevano i viveri e perché molti dei travagli vissuti erano ormai solo un ricordo. Per sette giorni interi - tanto era durata la marcia nelle terre dei Carduchi - non avevano cessato di combattere e i mali sofferti superavano tutte quante le pene patite per colpa del re e di Tissaferne. Ma era acqua passata e dormirono sereni. 3 Sul far del giorno, in un punto della riva opposta scorgono dei cavalieri in armi, intenzionati a impedire il guado. In posizione più elevata rispetto ai cavalieri c'erano i fanti, schierati sulle alture per sbarrare il passaggio in Armenia. 4 Si trattava di Armeni, Mardi e Caldei, mercenari al servizio di Oronta e Artuca. I Caldei avevano fama di gente libera e gagliarda. Come armamento avevano lunghi scudi di vimini e lance. 5 Le alture su cui erano stati dislocati i mercenari, distavano tre o quattro pletri dal fiume. A vista d'occhio c'era una sola via che conduceva in alto: sembrava scavata appositamente dalla mano dell'uomo. I Greci si prepararono a varcare il fiume in quel punto. 6 Iniziata la manovra, non appena l'acqua superò il livello dei pettorali, il letto del fiume si rivelò disseminato di pietre grandi e scivolose. Tra l'altro non si potevano tenere le armi nell'acqua, perché la corrente le strappava via; se qualcuno invece le sollevava sopra la testa, si esponeva al tiro di frecce o proiettili d'altro genere. Tornarono indietro e posero le tende lì, lungo il fiume. 7 Ma videro che, proprio nel luogo in cui si erano fermati la notte precedente, si erano adesso raccolti molti Carduchi in armi. Allora serpeggiò profonda sfiducia tra i Greci: vedono la difficoltà di passare il fiume, vedono i nemici che si apprestavano a impedire l'attraversamento e vedono alle spalle i Carduchi pronti a incalzare chi tenti il guado. 8 Per quel giorno e quella notte rimasero fermi, senza saper che fare. Senofonte ebbe un sogno: gli sembrò di essere in catene, ma i vincoli si allentavano da sé, al punto che, libero, poteva dirigersi dovunque volesse. Sul far dell'alba, Senofonte raggiunge Chirisofo e, raccontandogli il sogno, gli spiega di nutrire fondate speranze in una soluzione positiva. 9 Chirisofo ne fu felice e, alle prime luci dell'alba, tutti gli strateghi presenziarono a un sacrificio: gli auspici si rivelarono immediatamente favorevoli, fin dalla prima vittima. Al termine, dopo aver lasciato il luogo della cerimonia, gli strateghi e i locaghi trasmisero alla truppa l'ordine di fare colazione. 10 Proprio durante il rancio corrono incontro a Senofonte due giovani: tutti sapevano che era possibile avvicinarsi a lui e parlargli anche durante la colazione o il pranzo oppure svegliarlo nel sonno, se si trattava di questioni militari. 11 I due dissero che, mentre se ne andavano in giro a raccogliere legna da ardere, avevano scorto sull'altra sponda, tra le rocce digradanti fino al fiume, un vecchio, una donna e delle ragazze che deponevano qualcosa in un anfratto, forse sacchi pieni di vesti. 12 Di fronte a tale scena, avevano pensato che la traversata non comportasse rischi: la zona antistante la loro, sull'altra riva, non consentiva infatti l'accesso ai cavalieri nemici. Si erano spogliati completamente, tenendo con sé i pugnali, decisi alla traversata a nuoto. Ma una volta entrati in acqua, erano riusciti a varcare il fiume senza neppure bagnarsi i genitali. Giunti sulla sponda opposta, avevano preso le vesti ed erano tornati indietro. 13 Sùbito Senofonte offrì personalmente una libagione agli dèi e ordinò di mescere vino ai due giovani e di chiedere un felice esito dell'impresa pregando le divinità che gli avevano inviato il sogno e indicato il guado. Dopo condusse sùbito da Chirisofo i due giovani, che esposero anche a lui l'accaduto. Pure Chirisofo, non appena udì le loro parole, libò agli dèi. 14 Quindi al resto dell'esercito ordinò di preparare i bagagli; insieme convocarono gli strateghi per prendere una decisione: bisognava attraversare il fiume in tutta sicurezza, piegare la resistenza delle truppe nemiche sul fronte e coprirsi le spalle per non subire perdite. 15 Deliberarono che Chirisofo tenesse la testa e passasse sull'altra riva con una metà dell'esercito; l'altra metà sarebbe rimasta al di qua del fiume con Senofonte, perché prima dovevano transitare i bagagli e il grosso dell'esercito. 16 Quando tutto era a posto, si misero in marcia. Li guidavano i due giovani, tenendo il fiume sulla sinistra. Lo spazio da coprire fino al guado era di circa quattro stadi. 17 Mentre procedevano, sulla riva opposta li seguivano, parallelamente, gli squadroni della cavalleria nemica. Non appena giunsero al guado, dirimpetto alle rocce, posero a terra le armi e per primo Chirisofo stesso si cinse il capo con una corona, si svestì, impugnò le armi e diede ordine ai locaghi di schierarsi in colonna, parte alla sua sinistra, parte alla sua destra. 18 Gli indovini sgozzarono le vittime proprio nelle acque del fiume: i nemici cominciarono a scaricare una gragnuola di dardi e proiettili, ma non erano ancora a tiro. 19 Quando le vittime diedero auspici favorevoli, tutti i soldati intonarono il peana e levarono il grido di guerra. Anche le donne lanciarono un urlo altissimo, tutte quante: c'erano molte prostitute al séguito dell'esercito. 20 Chirisofo avanzò e pure i suoi. Senofonte prese con sé le truppe della retroguardia più agili e cominciò a marciare a ritroso di gran carriera, verso la strada in corrispondenza con lo sbocco che portava ai monti dell'Armenia: fingeva di voler varcare lì il fiume per chiudere in una morsa i cavalieri avversari che stazionavano lungo la riva. 21 I nemici, vedendo che non solo Chirisofo e i suoi passavano senza intoppi le acque, ma che pure Senofonte e i suoi tornavano indietro di corsa, nel timore di essere tagliati fuori, fuggono a briglia sciolta, dando l'impressione di puntare verso la strada che conduceva alle alture. Quando poi giungono sulla strada, piegano in alto verso il monte. 22 Licio, il comandante della cavalleria, ed Eschine, il capo dei peltasti di Chirisofo, non appena videro gli avversari battere precipitosamente in ritirata, li inseguirono: i soldati cominciarono a gridare che non li lasciassero indietro, che si doveva scalare il monte tutti insieme. 23 Chirisofo dal canto suo, portato a termine il guado, non inseguì i cavalieri, ma puntò immediatamente verso le alture sovrastanti il fiume, dove si erano attestati i nemici. Questi ultimi, scorgendo i propri cavalieri in fuga e gli opliti greci avanzare, abbandonano le postazioni nella zona sovrastante il fiume. 24 Senofonte, quando si avvede che sull'altra riva le cose vanno per il meglio, raggiunge per la via più breve le truppe che stavano ancora varcando il fiume. Ormai i Carduchi erano in vista: scendevano verso la pianura preparandosi ad attaccare la retroguardia. 25 E mentre Chirisofo teneva il controllo delle alture, Licio con pochi uomini tentò un inseguimento e si impadronì dei bagagli che erano stati abbandonati: ricche vesti e boccali. 26 Le salmerie dei Greci e il grosso delle truppe avevano già superato la metà del percorso, quando Senofonte, con un dietro-front, spianò le armi contro i Carduchi. Ai locaghi trasmise l'ordine di dividere ciascuno il proprio loco in enomotie e di portare poi le squadre sulla linea di battaglia, tenendo la sinistra: i locaghi e gli enomotarchi dovevano muovere verso i Carduchi, la retroguardia attestarsi vicino al fiume. 27 I Carduchi, non appena videro le truppe della coda staccate dal grosso e ormai apparentemente ridotte a pochi effettivi, accelerarono il passo intonando certe loro canzoni. Chirisofo, una volta consolidata la propria postazione, invia a Senofonte i peltasti, i frombolieri e gli arcieri, con l'ordine di obbedire in tutto e per tutto a Senofonte. 28 Non appena li vede passare il fiume, Senofonte manda un messo con l'ordine di rimaner lì, sulla riva, senza proceder oltre: quando avessero visto la retroguardia dare il via al guado, dovevano scendere in acqua, faccia al nemico, a destra e a sinistra, fingendo di attraversare il fiume, i giavellottisti pronti al lancio e gli arcieri con le frecce incoccate, ma non dovevano spingersi troppo avanti nel fiume. 29 Ai suoi invece passò l'ordine di intonare il peana e di correre contro i nemici, non appena i loro proiettili avessero raggiunto le nostre file e gli scudi cominciato a risuonare. Poi, quando gli avversari avessero voltato le spalle e il trombettiere, dal fiume, suonato la carica, dovevano piegare a destra, a partire dall'ultima linea, correndo tutti e oltrepassando il fiume con la massima velocità, ciascuno al proprio posto, per non intralciarsi a vicenda: la palma del migliore sarebbe toccata a chi per primo avesse raggiunto l'altra sponda. 30 I Carduchi videro che i Greci erano ormai rimasti in pochi - perché molti dei soldati che avevano ricevuto l'ordine di restare sul posto si erano invece mossi per proteggere chi le bestie da soma, chi i bagagli, chi le prostitute - li aggredirono allora con fiduciosa baldanza, cominciando il lancio di frecce e proiettili. 31 Ma i Greci levarono il peana e puntarono contro di loro, di corsa. I nemici non ressero: erano armati come richiede una guerra di montagna, dove sono rapidi gli attacchi e repentine le fughe, ma non erano in grado di sostenere un corpo a corpo. 32 A quel punto il trombettiere diede il segnale: i nemici fuggirono ancor più a gambe levate, i Greci invece presero la direzione opposta, attraverso il fiume a tutta velocità. 33 Alcuni dei nemici si accorsero della manovra e si precipitarono indietro, verso il fiume: con i loro dardi riuscirono a ferire pochi dei nostri. La maggior parte dei Carduchi però, quando i Greci erano già sull'altra sponda, si potevano scorgere ancora in fuga. 34 Le truppe greche che dovevano sbarrare il passo al nemico diedero prova di coraggio: si spinsero più in là del dovuto e ripiegarono solo dopo il passaggio dei soldati di Senofonte: anche alcuni di loro rimasero feriti. Libro V 1 1 [Le azioni che i Greci compirono durante la spedizione con Ciro e nel corso del viaggio fino alle coste del Ponto Eusino, in che modo raggiunsero la città greca di Trapezunte e come, non appena messo piede in terra amica, celebrarono i sacrifici di ringraziamento per la raggiunta salvezza, è tutto esposto nel racconto precedente.] 2 Quindi si riunirono per deliberare sulla strada che restava da percorrere. Si alzò per primo Leone di Turi e si espresse così: "Soldati, sono stanco di preparare bagagli, di marciare, correre, e di tener le armi in spalla e stare in riga e poi dei turni di guardia e di battaglie. Adesso che siamo arrivati al mare, voglio solo liberarmi di questi strapazzi, starmene su una nave per il resto del viaggio, fino in Grecia, sdraiato sulla tolda come Odisseo". 3 Nell'udire le sue parole, i soldati proruppero: "Ha ragione!". Un altro ripeté un discorso dello stesso tono, come pure tutti i soldati che intervennero dopo di lui. 4 Quindi si levò Chirisofo e disse: "Uomini, ho un amico, Anassibio, che adesso è navarco. Se mi manderete da lui, sono convinto di tornare con triremi e navi per il nostro trasporto. Visto che volete proseguire per mare, aspettate fino al mio rientro. Sarò di nuovo qui tra breve". Allora i soldati, udite le sue parole, si rallegrarono e votarono che Chirisofo salpasse al più presto. 5 Dopo di lui si alzò Senofonte e prese la parola: "Chirisofo dunque va in cerca di imbarcazioni, noi lo aspetteremo. Voglio dunque spiegarvi che cosa ci conviene fare durante l'attesa. 6 Primo, dobbiamo rifornirci di vettovaglie in terra nemica: il mercato che ci forniscono qui non è sufficiente e poi, quanto a denaro, noi, eccetto pochi, non guazziamo nell'abbondanza. Siamo però in terra nemica, per cui c'è rischio che molti muoiano, se vi sposterete in cerca di viveri senza precauzioni e sorveglianza. 7 A parer mio, se volete aver salva la vita, bisogna procedere alla raccolta delle vettovaglie organizzando squadre di foraggiatori e non vagando a caso. Sarà compito nostro curare ogni dettaglio". La proposta venne accolta. "State ancora a sentire. 8 Alcuni si allontaneranno dal campo per depredare. Per noi è meglio, credo, che chiunque voglia uscire ce lo comunichi e ci indichi la direzione che prende. Così avremo un quadro preciso di chi è fuori e di chi è rimasto al campo, potremo prepararci in caso di necessità, sapremo dove dirigerci se la situazione richiederà il nostro intervento e, se qualcuno dei più inesperti volesse tentare un attacco contro qualche zona, gli daremo consigli, cercando di appurare la consistenza delle forze contro cui intende muovere". Anche questa proposta fu approvata. 9 "Considerate ancora. I nemici hanno tutto il tempo di depredarci, come pure è normale che ci tendano imboscate, perché ci siamo appropriati dei loro beni. E si tengono in agguato sulle alture. A mio avviso, bisogna dislocare sentinelle intorno all'accampamento: se sorvegliamo a turno [divisi] e teniamo gli occhi aperti, per loro sarà più complicato prenderci in trappola. Tenete presente ancora un punto. 10 Se sapessimo per certo che Chirisofo porterà navi in numero sufficiente, le parole che sto per dirvi sarebbero inutili. Ma, nell'incertezza, mi pare il caso di darci da fare per procurarci imbarcazioni anche sul posto. Se infatti Chirisofo giungerà con le navi, grazie alle barche trovate qui navigheremo con una flotta più numerosa. In caso contrario, useremo le imbarcazioni reperite in zona. 11 Vedo spesso delle navi da carico costeggiare il litorale: potremmo chiedere ai Trapezunti le loro navi da guerra, catturare quelle navi da carico e tenerle in rada sotto custodia, dopo aver tolto i timoni, finché non ne avremo in numero sufficiente per salpare. Così forse non ci mancheranno i mezzi di trasporto di cui abbiamo bisogno". Anche questa mozione passò. 12 "Valutate", continuò, "se non sia giusto mantenere, a spese del fondo comune, gli equipaggi che rimarranno a terra, per tutto il tempo che resteranno a nostra disposizione, pattuendo un prezzo per il nolo delle navi, in modo che il profitto sia reciproco". Anche questo parere fu approvato. 13 "Se non riuscissimo a procurarci un numero adeguato di navi", soggiunse, "mi pare il caso di imporre alle città del litorale di riparare le strade che, a quel che sentiamo, non sono facilmente transitabili. Obbediranno sia per timore sia per vivo desiderio di liberarsi di noi". 14 Allora presero a gridare che non bisognava più mettersi in marcia. Senofonte, non appena comprese la loro insensatezza, non mise neppure la proposta ai voti, ma convinse le città a riparare di loro iniziativa le strade, spiegando che si sarebbero liberate di loro prima, se le vie fossero state transitabili. 15 Ricevettero anche una pentecontere dai Trapezunti e la affidarono a Dessippo, un perieco lacone. Costui, tutt'altro che preoccupato di raccogliere nuove imbarcazioni, prese la fuga e uscì dal Ponto, con la nave. Pagò comunque il prezzo della sua colpa, più tardi: quando era in Tracia, invischiato in loschi traffici alla corte di Seute, venne ammazzato per mano di Nicandro il lacone. 16 Ricevettero anche una triacontere, cui fu preposto l'ateniese Policrate, che ricondusse all'accampamento tutte le navi che gli riuscì di catturare. Se portavano un carico, veniva sbarcato e posto sotto sorveglianza perché rimanesse intatto; le navi stesse poi venivano impiegate per veleggiare sotto costa. 17 In quell'arco di tempo, i Greci compirono ripetute scorrerie, ora fruttuose, ora no. Cleeneto, che durante una sortita alla testa del suo e di un altro loco si era spinto contro una postazione ben munita, trovò la morte insieme a molti dei suoi. 2 1 Visto che non c'era più la possibilità di rifornirsi di vettovaglie rientrando al campo prima che calassero le tenebre, Senofonte, accompagnato da guide dei Trapezunti, condusse contro i Drili una metà dell'esercito e lasciò l'altra metà di guardia all'accampamento. I Colchi infatti, poiché erano stati scacciati dalle loro case, si erano raccolti in gran numero e avevano preso il controllo delle alture. 2 I Trapezunti non guidavano i Greci dove avrebbero potuto trovare i viveri con facilità: erano terre amiche. Si premuravano di condurli, piuttosto, nella regione dei Drili - un popolo che li vessava - attraverso zone montane e impervie, contro le genti più bellicose del Ponto. 3 Quando i Greci erano ormai nel cuore del paese, i Drili cominciarono a dar fuoco a tutte le roccaforti giudicate espugnabili e a ritirarsi. Non rimaneva niente da razziare, tranne qualche maiale, bue o bestiame d'altro genere che era scampato alle fiamme. C'era un solo baluardo, la loro metropoli: lì si erano asserragliati tutti. Attorno correva un burrone fortemente scosceso, per cui l'accesso alla roccaforte risultava arduo. 4 I peltasti, che precedevano di cinque o sei stadi gli opliti, dopo aver superato il burrone, videro un'infinità di armenti e di altre ricchezze e si precipitarono contro la fortezza. Li seguiva anche un nutrito gruppo di dorifori, che si erano spinti in cerca di vettovaglie: così, già più di duemila uomini avevano superato il burrone. 5 Poiché, nonostante gli assalti, non erano riusciti a espugnare la fortezza (c'era un largo fossato lungo tutto il perimetro, una palizzata sul terrapieno e torri di legno a breve intervallo l'una dall'altra), cercarono di ripiegare, ma i nemici li aggredirono. 6 Siccome non potevano correre durante la ritirata, perché dalla fortezza fino al burrone dovevano scendere in fila per uno, mandarono un messo a Senofonte, che marciava alla testa degli opliti. 7 Appena giunto, il messo spiegò a Senofonte che il forte era pieno di ricchezze d'ogni sorta: "Ma non riusciamo a espugnarlo, è ben munito; neppure la ritirata è facile; i nemici ci attaccano con sortite e la discesa è difficoltosa". 8 Allora Senofonte condusse gli opliti fino al burrone e ordinò loro di deporre le armi. Si recò di persona al di là del burrone e, insieme ai locaghi, operò un sopralluogo, per vedere se fosse meglio ritirare i soldati che si trovavano già oltre il burrone oppure condurre sull'altro versante anche gli opliti, nella convinzione che la fortezza potesse cadere. 9 Si valutò che una ritirata fosse possibile solo a prezzo di pesanti perdite; il forte invece, anche a giudizio dei locaghi, fu considerato espugnabile. Senofonte aderì al loro parere, fidando nei responsi delle vittime sacrificate. Gli indovini infatti avevano predetto battaglia, ma con felice epilogo. 10 Inviò i locaghi per far passare gli opliti al di qua del burrone; dal canto suo, rimase sul posto e ordinò il ripiegamento di tutti quanti i peltasti, vietando tassativamente ogni scontro col nemico. 11 Quando giunsero gli opliti, comandò a ciascun locago di schierare il proprio loco come meglio credesse: si trovavano gomito a gomito proprio i locaghi che erano costantemente in lizza per la palma del valore. 12 Eseguirono l'ordine. Senofonte invece trasmise ai peltasti l'ordine di avanzare con i giavellotti in pugno, pronti a scagliarli al segnale, mentre gli arcieri dovevano tener le frecce incoccate per saettare ai primi squilli di tromba e i gimneti portare con sé i sacchetti pieni di pietre. A controllare i preparativi mandò persone adatte allo scopo. 13 Quando tutto era stato approntato e avevano ormai preso posizione i locaghi e i loro vicecomandanti e gli altri che non si ritenevano da meno, i loro sguardi cominciarono a incrociarsi: per la conformazione del forte infatti lo schieramento era a falce di luna. 14 Poi intonarono il peana, si udì lo squillo di tromba e, all'unisono, gli opliti levarono il grido di guerra in onore di Enialio e scattarono. In un unico istante si abbatté sul nemico un nugolo di proiettili: lance, frecce, pietre, la maggior parte delle quali scagliate a mano. Ci fu anche chi lanciò tizzoni infuocati. 15 La pioggia di proiettili costrinse i nemici a evacuare palizzata e torri. Agasia di Stinfalo e Filosseno di Pellene posarono a terra le loro armi e proseguirono l'avanzata, con indosso i soli chitoni. Si tiravano su l'un l'altro, mentre un terzo era già arrivato in cima. La fortezza era caduta, si pensava. 16 I peltasti e i soldati armati alla leggera irruppero nella fortezza e fecero man bassa, ciascuno più che poteva. Senofonte, fermo davanti alla porta delle mura, cercava di trattenere all'esterno il maggior numero di opliti: avevano avvistato altri nemici su alcune alture, in posizione difficile da attaccare. 17 Non passò molto, che si levarono alte grida dall'interno e cominciò un fuggi fuggi: c'era chi teneva stretto tra le mani il bottino raccolto, ma ben presto comparve anche qualche ferito. Alle porte si creò gran ressa. Alle domande, chi si slanciava all'esterno rispondeva che dentro c'era una rocca e una moltitudine di nemici, che con una sortita avevano aggredito i Greci entro le mura. 18 Allora Senofonte ordinò a Tolmide l'araldo di proclamare che entrasse pure in città chi voleva darsi al saccheggio. A quel punto molti si riversano dentro e la fiumana di gente travolge quelli che stavano scappando fuori; così costringono di nuovo i nemici a rinserrarsi nella rocca. 19 Quanto si trovava all'esterno della rocca stessa venne depredato e i Greci lo portarono via. Gli opliti sostarono deponendo a terra le armi, chi nei pressi dello steccato, chi lungo la via che portava all'ultimo baluardo. 20 Senofonte e i locaghi valutarono se fosse possibile espugnarlo: in tal caso la salvezza sarebbe stata certa, altrimenti la ritirata appariva oltremodo ostica. Dopo aver analizzato la situazione, giudicarono che la rocca fosse assolutamente inattaccabile. 21 Allora cominciarono a preparare il ripiegamento. Ognuno iniziò a svellere i pali che aveva di fronte a sé. I locaghi allontanarono gli infermi, i portatori di bagagli e il grosso degli opliti, lasciando sul posto solo i soldati su cui ciascuno nutriva piena fiducia. 22 Una volta che i Greci diedero il via alla ritirata, un gran numero di nemici balzò fuori, armati di scudi di vimini, lance, schinieri e elmi di foggia paflagonica; altri salirono sui tetti delle case situate sui due lati della strada che conduceva alla rocca. 23 A quel punto rappresentavano una grave insidia anche le incursioni verso le porte che davano l'accesso al baluardo: i nemici, infatti, gettavano dall'alto grosse travi di legno, per cui era rischioso tanto rimanere fermi quanto muoversi. E la notte imminente era fonte di paura. 24 Mentre continuano a lottare non sapendo che partito prendere, ecco che un dio offre loro una via d'uscita. Improvvisamente le fiamme cominciarono a divampare in una casa sul lato destro, perché qualcuno certamente - chissà chi - le aveva dato fuoco. Non appena l'edificio si abbatté, i nemici fuggirono da tutte le case che sorgevano sulla destra. 25 Senofonte fece tesoro della lezione impartita dalla sorte e ordinò di incendiare anche le case sul lato sinistro, che erano di legno, per cui il fuoco attecchì in un attimo. Perciò anche i nemici che erano sui tetti, da questo lato, presero la fuga. 26 Gli unici fastidi venivano ormai dagli avversari schierati davanti all'ingresso ed era chiaro che, non appena i Greci avessero dato inizio al ripiegamento e alla discesa, sarebbero piombati loro addosso. Allora, a chi si trovava fuori tiro, Senofonte dirama l'ordine di portar legna nella zona compresa tra loro e i nemici. Quando fu raccolta in quantità sufficiente, le diedero fuoco; bruciarono anche le case lungo la palizzata, per tener lì occupato il nemico. 27 Così, a stento, si ritirarono dalla fortezza, creando uno sbarramento di fuoco tra loro e i nemici. Avvampò in preda alle fiamme tutta la città, con case, torri, steccato e tutto il resto, salvo la rocca. 28 Il giorno successivo i Greci si allontanarono con i viveri. Siccome si nutrivano timori per la discesa verso Trapezunte, dove la strada era in ripido pendio e stretta, predisposero una finta imboscata. 29 Un Misio - Misio di stirpe e di nome - prese con sé dieci Cretesi e si appostò nella macchia: fingevano di voler passar inosservati agli occhi del nemico, ma lasciavano balenare, a tratti, gli scudi, che erano di bronzo. 30 I nemici, scorgendo i bagliori, temevano un'imboscata: intanto l'esercito greco procedeva nella discesa. Quando i Greci giudicarono di aver ormai un vantaggio sufficiente, diedero al Misio il segnale di fuggire a gambe levate. Il Misio balzò fuori e scappò via, seguito dai suoi. 31 I Cretesi, urlando che li stavano raggiungendo, deviarono dalla strada per gettarsi a capofitto nella boscaglia, dove, precipitando a ruzzoloni di pianoro in pianoro, riuscirono a mettersi in salvo. Il Misio invece continuò la fuga lungo la strada, gridando aiuto. 32 Venne soccorso e tratto in salvo, benché ferito. I soccorritori ripiegarono passo a passo con la fronte rivolta verso i nemici, sotto il loro tiro, mentre alcuni Cretesi rispondevano saettando. Così giunsero all'accampamento, tutti sani e salvi. 3 1 Poiché Chirisofo non era ancora rientrato e navi non ce n'erano a sufficienza ed era venuta meno la possibilità di vettovagliamento, si decise di partire. Imbarcarono gli infermi, gli uomini sopra i quarant'anni, i bambini, le donne e tutti i bagagli non strettamente indispensabili. Salirono a bordo anche gli strateghi più anziani, Filesio e Sofeneto, con l'incarico di dirigere le operazioni. Il resto dell'esercito si mise in cammino: la strada era ormai agibile. 2 Il terzo giorno di marcia giunsero a Cerasunte, città greca sul mare, colonia di Sinope nella Colchide. 3 Vi rimasero dieci giorni, durante i quali procedettero alla rassegna e alla conta degli opliti: erano ottomilaseicento. Ecco quanti erano sopravvissuti. Gli altri erano morti per mano nemica oppure assiderati e qualcuno di malattia. 4 Qui divisero il denaro ricavato dalla vendita dei prigionieri. La decima parte, riservata ad Apollo e Artemide efesia, venne distribuita in parti uguali a ciascun stratego, che doveva custodirla per le divinità. La parte di Chirisofo fu affidata a Neone di Asine. 5 Senofonte dunque fece preparare il dono votivo e lo consacrò al tesoro degli Ateniesi in Delfi, dopo avervi fatto incidere il proprio nome e quello di Prosseno, morto insieme a Clearco: era infatti legato a lui da vincoli di ospitalità. 6 Quanto alla parte spettante ad Artemide efesia, Senofonte, al momento della sua partenza dall'Asia con Agesilao alla volta della Beozia, la lasciò a Megabizo, neocoro del tempio di Artemide, perché pensava che nel viaggio imminente sarebbe andato incontro a molti pericoli. Incaricò Megabizo di restituirgli il denaro, se fosse uscito illeso dal viaggio; se invece gli fosse capitato qualcosa, doveva offrire in dono votivo ad Artemide l'oggetto che stimava più gradito alla dea. 7 Da quando Senofonte era in esilio, abitava a Scillunte, su un terreno concesso dagli Spartani [presso Olimpia]; Megabizo, che si era recato a Olimpia per assistere ai giochi, va da lui e gli riconsegna la somma depositata. Con tale denaro Senofonte compra una tenuta per la dea, nel luogo indicato da Apollo. 8 Si dava il caso che, attraverso la tenuta, scorresse il fiume Selinunte. E anche in Efeso, accanto al tempio di Artemide, scorre un fiume chiamato Selinunte. In entrambi i corsi d'acqua vivono pesci e molluschi. Nel terreno di Scillunte poi si trovano riserve di caccia, con selvaggina d'ogni specie. 9 Con il denaro consacrato alla divinità, Senofonte costruì anche un altare e un tempio, e per il tempo a venire, anno per anno, offrì in sacrificio alla dea la decima dei frutti della terra: tutti i concittadini, gli uomini e le donne delle vicinanze partecipavano alla festa. A chi si attendava nella tenuta, la dea distribuiva farina, pane, vino, leccornie, una porzione delle vittime sacrificate, provenienti dal pascolo consacrato alla dea, nonché selvaggina cacciata. 10 In occasione della festa i figli di Senofonte e degli altri abitanti della città organizzavano una battuta di caccia, cui si univa chiunque ne avesse piacere, anche gente adulta. Catturavano cinghiali, caprioli, cervi, parte nel terreno consacrato, parte anche sulle falde del Foloe. 11 La tenuta si trova sulla strada che va da Sparta a Olimpia, a circa venti stadi dal santuario di Zeus in Olimpia. Nel terreno consacrato si stende una piana e poi ci sono colline fitte di alberi, dove possono trovar pascolo maiali, capre, buoi e pure cavalli, tanto che perfino le bestie da soma lì condotte per la festa potevano mangiare a sazietà. 12 Tutt'attorno al tempio era stato piantato un bosco di alberi da frutta di tutti i generi, che davano ottimi prodotti in ogni stagione. Il tempio somiglia, anche se in piccolo, al santuario di Efeso, e anche la statua della dea è identica, salvo che è in legno di cipresso anziché in oro, come a Efeso. 13 E una stele si erge accanto al tempio, con incisa l'iscrizione: IL LUOGO È CONSACRATO AD ARTEMIDE. CHI NE È PROPRIETARIO E NE GODE I FRUTTI, DEVE OFFRIRE IN SACRIFICIO LA DECIMA OGNI ANNO. COL RESTO SI PRENDA CURA DEL TEMPIO. SE NON SI OSSERVERÀ QUANTO PRESCRITTO, SARÀ LA DEA A PROVVEDERE. 4 1 Da Cerasunte proseguì per mare chi già in precedenza aveva viaggiato su nave. Gli altri s'incamminarono via terra. 2 Quando giungono ai confini dei Mossineci, alla gente del luogo inviano Timesiteo di Trapezunte, prosseno dei Mossineci, per domandare se, al loro passaggio, li avrebbero considerati amici o nemici. I Mossineci, fidando nelle loro fortezze, risposero che non avrebbero concesso via libera. 3 Allora Timesiteo spiega che i Mossineci erano un popolo diviso da rivalità e che le genti del versante opposto erano nemiche di queste. Si decise di convocare gli altri Mossineci, per saggiare un'eventuale disponibilità a stringere alleanza. Venne inviato Timesiteo, che ritornò insieme ai loro capi. 4 Una volta giunti, i capi dei Mossineci e gli strateghi greci si riunirono. Prese la parola Senofonte, con Timesiteo interprete: 5 "Mossineci, è nostro desiderio tornare in Grecia sani e salvi, a piedi, perché non abbiamo navi. Ma ci sbarrano il passo genti che, ci è giunta voce, sono vostre nemiche. 6 Se siete d'accordo, vi si presenta l'opportunità di stringere un'alleanza con noi, di vendicarvi delle loro offese, se mai ne avete patite, e tenere d'ora in avanti i nemici sotto il vostro tallone. 7 Se ci respingerete, pensate bene da dove vi potrà capitare, una seconda volta, un alleato così potente". 8 Alle sue parole il capo dei Mossineci si dichiarò d'accordo e accettò l'alleanza. 9 "Su allora", proseguì Senofonte, "che cosa possiamo fare per voi, una volta che saremo vostri alleati? E voi, come potrete darci una mano, per aiutarci nell'attraversare la regione?". 10 Ecco la risposta: "Siamo in grado di attaccare alle spalle il paese del nostro comune nemico e di inviarvi qui navi e uomini che vi appoggino nei combattimenti e vi indichino la via". 11 Quindi, scambiati i pegni di fedeltà, si allontanarono. Il giorno seguente erano di ritorno con trecento canoe, ciascuna ricavata da un solo tronco, che portava tre uomini: da ognuna ne scesero due e presero posto nello schieramento, armi a terra, mentre il terzo rimase a bordo. 12 Poi ciascuno si allontanò con la propria canoa. Gli uomini rimasti a terra assunsero la formazione seguente: in fila per cento, gli uni di fronte agli altri, proprio come i cori che a teatro si fronteggiano, dotati tutti di scudi di vimini rivestiti di pelli bianche di bue, a forma di foglia d'edera. Nella destra impugnavano un giavellotto di circa sei cubiti, che in cima era a punta e in fondo terminava a mo' di sfera. 13 Avevano indosso chitoni corti che arrivavano quasi all'altezza delle ginocchia, di spessore simile ai sacchi di lino usati per le coperte. Sul capo portavano elmi di cuoio di foggia paflagonica, con un pennacchio al centro, molto simili a tiare. Erano dotati anche di asce di ferro. 14 A un certo punto uno di loro cominciò a intonare un canto, e tutti quanti gli altri si misero in marcia, cantando a ritmo cadenzato. Dopo aver oltrepassato le file dei Greci e l'accampamento, si diressero sùbito contro i nemici, puntando verso una fortezza che sembrava facilissima da conquistare. 15 Si trovava proprio di fronte [alla città,] alla cosiddetta Metropoli, che sorgeva nel punto più elevato del paese dei Mossineci. La ragione del conflitto tra le due fazioni dei Mossineci dipendeva proprio da questo forte: chi di volta in volta ne aveva il controllo, era considerato signore di tutta la nazione. E i Mossineci loro alleati sostenevano che gli avversari lo tenevano contro giustizia e, dopo essersi appropriati di un bene comune a tutto il popolo, adesso avevano il sopravvento. 16 Anche alcuni Greci si accodarono ai Mossineci - non dietro ordine degli strateghi - per darsi alle razzie. I nemici, finché gli altri avanzavano, rimasero tranquilli, ma non appena li videro nei pressi della fortezza, con una sortita li misero in rotta e massacrarono parecchi barbari e alcuni Greci che si erano uniti alla spedizione, protraendo l'inseguimento finché non avvistarono gli altri Greci che correvano a dar manforte. 17 Allora cambiarono direzione e tornarono indietro: tagliarono le teste dei cadaveri e le mostrarono ai Greci e ai propri nemici, danzando e intonando canzoni con un certo loro ritmo. 18 I Greci montarono su tutte le furie, perché avevano reso i nemici più baldanzosi e perché i loro compagni, che pure si erano uniti in gran numero ai Mossineci, avevano battuto in ritirata, fatto mai verificatosi in precedenza nel corso della spedizione. 19 Senofonte convocò i Greci e disse: "Soldati, non lasciatevi scoraggiare dall'accaduto. Sappiate infatti che è un male, ma al tempo stesso anche un bene. 20 Primo, adesso siete sicuri che le guide che ci faranno strada sono davvero nemiche della gente che, giocoforza, è pure nostra avversaria. Secondo, chi dei Greci ha trascurato di rispettare il nostro schieramento, convinto di poter ottenere, insieme ai barbari, gli stessi risultati raggiunti con noi, ha avuto quel che merita: d'ora in avanti ci penserà due volte prima di abbandonare le nostre file. 21 Dovete mettervi nella condizione di dare anche ai barbari nostri alleati l'idea di essere migliori di loro e di dimostrare ai nemici che d'ora in avanti non combatteranno più con gli stessi uomini senza disciplina che hanno affrontato in passato". 22 Così trascorsero la giornata. L'indomani celebrarono un sacrificio che diede responso favorevole. Quindi, dopo aver fatto colazione, si schierarono incolonnati e disposero sulla sinistra i barbari con lo stesso assetto. S'incamminarono, tenendo gli arcieri all'interno delle schiere [incolonnate], un po' arretrati rispetto alla linea degli opliti. 23 Tra i nemici c'erano dei soldati armati alla leggera, che correvano verso il basso contro i Greci e li tempestavano di pietre. Gli arcieri e i peltasti li costrinsero a ripiegare. Il resto dell'esercito greco procedeva al passo, direttamente contro la fortezza da cui, il giorno prima, erano stati respinti i barbari e gli uomini al loro séguito: qui infatti erano schierati frontalmente i nemici. 24 I barbari ressero all'urto dei peltasti e ingaggiarono un combattimento, ma, non appena si fecero sotto gli opliti, volsero le spalle. I peltasti si lanciarono immediatamente all'inseguimento, su, verso la città, mentre gli opliti tenevano dietro in ordine serrato. 25 Quando i Greci giunsero in cima, alle case della Metropoli, i nemici, che si erano riorganizzati, ripresero a lottare, scagliavano giavellotti e, brandendo anche un altro genere di picche, lunghe e grosse tanto che un uomo da solo avrebbe potuto reggerne una a stento, cercavano di evitare i colpi nei corpo a corpo. 26 Ma poiché i Greci non demordevano, anzi si facevano sotto compatti, i barbari presero la fuga e, a quel punto, tutti in massa abbandonarono la fortezza. Il loro re, che abitava nella torre di legno costruita nel punto più alto della roccaforte, dove lo mantenevano a spese dello stato e lo proteggevano, non voleva venir fuori, come pure il capo della fortezza conquistata in precedenza. Per cui vennero arsi vivi lì sul posto, divorati dal fuoco insieme alle torri. 27 I Greci, durante il saccheggio, trovarono nelle case depositi di pane accatastato, che si passavano di padre in figlio, secondo quanto sostenevano i Mossineci. C'era anche del grano nuovo, tenuto in disparte ancora in spighe: si trattava per lo più di spelta. 28 Vennero scovati anche pezzi di delfino, conservati in anfore e sotto salamoia, nonché vasi di grasso di delfino: i Mossineci lo impiegano come i Greci l'olio. 29 Nei solai c'era una gran quantità di noci, piatte e senza alcuna fessura. Bollite o abbrustolite come pani, costituivano il loro piatto di base. Trovarono anche del vino, che, se non veniva mescolato, aveva un sapore acidulo per via della sua asprezza, ma bastava mischiarlo con acqua e diventava profumato e gradevole. 30 I Greci dunque pranzarono e ripresero ad avanzare, dopo aver consegnato la fortezza ai Mossineci che si erano battuti al loro fianco. Quanto a tutte le altre piazzeforti in mano nemica, davanti alle quali transitarono, le meno salde vennero abbandonate, in altre invece gli avversari si arresero spontaneamente. 31 La maggior parte delle fortezze aveva la seguente struttura: le città distavano l'una dall'altra ottanta stadi, quale più, quale meno. Se si chiamavano con forti grida, potevano udirsi da una città all'altra, tanto la zona era elevata e a forma di conca. 32 Quando, a forza di marciare, giunsero in regioni amiche, furono mostrati loro i figli dei notabili della zona, bambini ingrassati e nutriti con noci bollite: erano obesi, bianchissimi, poco ci mancava che fossero tanto larghi quanto alti, avevano le spalle e il torace completamente tatuati con fiori variopinti. 33 Cercavano anche di accoppiarsi - lì davanti a tutti, perché da loro usa così - con le prostitute al séguito dei Greci. Tutti, uomini e donne, hanno la pelle bianca. 34 Secondo i soldati che avevano seguito la spedizione, si trattava del popolo più barbaro mai incontrato e più lontano dai costumi greci. In mezzo agli altri, infatti, facevano ciò che gli altri uomini avrebbero fatto in privato, mentre quando erano soli si comportavano come se fossero tra la gente, parlavano tra sé e sé, ridevano da soli, si fermavano dove capitava per ballare, come se volessero esibirsi davanti ad altri. Libro VI 1 1 In séguito, finché rimasero a Cotiora, i Greci trovarono di che sostentarsi o coi viveri comprati al mercato o saccheggiando i campi della Paflagonia. Ma anche i Paflagoni derubavano a più non posso quelli dei nostri che si staccavano dai gruppi; di notte, poi, attaccavano chi aveva piantato le tende lontano dal grosso. Di conseguenza ne derivò un'aspra ostilità reciproca. 2 Corila, che all'epoca era capo della Paflagonia, manda ai Greci degli emissari con cavalli e splendide vesti, per annunciare che era pronto a non sferrare attacchi ai Greci, a patto di non subirne. 3 Gli strateghi risposero che a questo proposito si sarebbero consultati con l'esercito. Intanto accolsero in modo ospitale gli emissari, li invitarono a banchetto e con loro anche chi, tra i soldati, era giudicato più degno. 4 Dopo aver sacrificato buoi catturati al nemico e altre vittime, offrirono un abbondante banchetto, ma furono costretti a mangiar sdraiati su pagliericci e a bere da coppe di corno che avevano trovato nella zona. 5 Quando le libagioni ebbero avuto luogo e il peana fu intonato, per primi si alzarono i Traci, che, armi in pugno, danzarono al suono del flauto, spiccando salti altissimi, con grande leggerezza e mulinando le spade. Alla fine un danzatore colpì un altro e a tutti sembrò che l'avesse ucciso: cadde davvero con grande arte. 6 I Paflagoni lanciarono un urlo. Il primo, dopo aver spogliato delle armi il secondo, si allontanò modulando la canzone di Sitalce. Gli altri Traci raccolsero il caduto e lo portarono via come se fosse morto: invece non si era fatto niente. 7 Poi fu il turno degli Eniani e dei Magneti, che danzarono in armi la cosiddetta carpea. 8 Ha la seguente caratteristica: uno dei danzatori, deposte a terra le armi, semina e ara con una coppia di buoi, voltandosi spesso all'indietro come in preda al timore. Dopo arriva il brigante: appena lo scorge, il contadino impugna le armi, gli si para dinnanzi e lo affronta, a difesa della coppia di buoi. I due danzatori eseguirono ogni gesto a tempo, seguendo il suono del flauto. Alla fine il brigante legò l'altro e condusse via i buoi. Ma, a volte, è il contadino ad aver la meglio sul brigante: allora lo aggioga coi buoi e lo trascina con le mani legate dietro la schiena. 9 Successivamente si esibì un Misio, con due scudi leggeri, uno per mano. Danzava mimando un combattimento: ora fingeva di tener testa a due nemici, ora di usare gli scudi contro un solo avversario, girava vorticosamente su se stesso e piroettava, sempre stringendo gli scudi: uno spettacolo! 10 In ultimo ballò la persica, battendo tra loro gli scudi, si piegava sulle gambe e si rialzava, sempre a tempo di flauto. 11 Dopo di lui [subentrando] i Mantinei e altri arcadi si alzarono e, adorni delle armi più belle, avanzarono a passo cadenzato, al ritmo dell'enoplio scandito dai flauti. Intonarono il peana e danzarono come nelle processioni verso i templi degli dèi. A tale vista i Paflagoni giudicarono singolare che tutte le danze fossero eseguite in armi. 12 Allora il Misio, vedendo che erano rimasti colpiti, porta in scena una danzatrice, col consenso di un Arcade che l'aveva acquistata: la abbiglia con le vesti più splendide e le dà uno scudo leggero. La donna ballò la pirrica con agilità straordinaria. 13 Allora ci fu un applauso scrosciante, e i Paflagoni chiesero se anche le donne combattessero al fianco dei Greci. Risposero che erano state proprio le donne a costringere il re a fuggire dal loro accampamento. La notte si concluse così. 14 Il giorno successivo gli emissari vennero condotti al cospetto dell'esercito. I soldati decisero di non attaccare i Paflagoni, a patto di non essere attaccati. Dopo di che, gli emissari se ne andarono. I Greci, quando giudicarono che il numero delle navi era sufficiente, salirono a bordo e navigarono un giorno e una notte con vento favorevole, tenendo la Paflagonia sulla sinistra. 15 L'indomani giungono a Sinope e ormeggiano ad Armene, il porto di Sinope. I Sinopei abitano in Paflagonia e sono coloni dei Milesi. Gli abitanti inviano ai Greci tremila medimni di farina d'orzo e millecinquecento anfore di vino come doni ospitali. Giunse qui anche Chirisofo con una triremi. 16 I soldati si aspettavano che portasse qualcosa per loro, ma non aveva nulla. In compenso notificò che sia il navarco Anassibio sia tutti gli altri li elogiavano e che Anassibio aveva promesso che, se lasciavano il Ponto, garantiva loro una paga. 17 Qui, in Armene, i soldati rimasero cinque giorni. Man mano che sentivano di avvicinarsi a casa, s'insinuava in loro, più che in passato, il desiderio sì di ritornare in patria, ma non a mani vuote. 18 Pensarono allora che, se avessero nominato un comandante unico, costui avrebbe potuto impiegare l'esercito tanto di giorno come di notte, molto meglio che un gruppo di capi. Se si trattava di una manovra per sfuggire all'attenzione nemica, era più facile mantenere il segreto. Se si doveva agire con tempestività, avrebbero subito meno ritardi, perché non c'era bisogno di consultarsi, bastava eseguire le decisioni di quell'uno. Per il passato invece gli strateghi avevano sempre rispettato il parere della maggioranza. 19 Nel corso di tali considerazioni si rivolsero a Senofonte. I locaghi si recarono da lui per comunicargli come la pensava l'esercito: ciascuno di loro, nel manifestargli il proprio favore, cercava di convincerlo ad assumere l'incarico. 20 Senofonte da un lato era incline ad accettare, perché riteneva che, così, il suo prestigio sarebbe aumentato e la sua notorietà cresciuta agli occhi degli amici e in patria, se gli capitava di procurare all'esercito qualche vantaggio. 21 Riflessioni di tal genere lo spingevano a desiderare il comando con pieni poteri. Ma, d'altro lato, ogni qual volta il pensiero gli correva al fatto che è oscuro il destino che pende sul capo di ogni uomo e che, pertanto, c'era il rischio di perdere anche la fama precedentemente acquisita, non sapeva che fare. 22 Incerto sulla decisione da prendere, pensò bene di interrogare gli dèi. Presentate due vittime, le sacrificò a Zeus re, che era appunto la divinità cui doveva rivolgersi, secondo il vaticinio di Delfi. Era convinto che proprio da Zeus re venisse il sogno apparsogli al tempo in cui, per la prima volta, condivise le responsabilità per la guida dell'esercito. 23 E si ricordava anche dell'aquila che, al momento della sua partenza da Efeso per unirsi alla spedizione di Ciro, aveva emesso uno strido, da destra, posandosi però a terra. L'indovino che lo accompagnava gli aveva detto che era un segno portentoso, non riguardante la sua vita privata, un presagio foriero di gloria, ma anche di sventura, dal momento che, per lo più, gli altri uccelli attaccano l'aquila quando si posa a terra. Comunque, il presagio non riguardava il lato economico, perché l'aquila di solito si procura il cibo in volo. 24 Così, quando Senofonte celebrò il sacrificio, il dio manifestò con chiarezza che non doveva né aspirare al comando né accettarlo in caso di elezione. E così fu. 25 L'esercito si radunò e tutti proposero di eleggere un solo capo. Presa la decisione, avanzarono il nome di Senofonte. Quando era ormai chiaro che lo avrebbero eletto, se si fosse passati alla votazione, si alzò e disse: 26 "Soldati, sono un uomo e, come tale, l'onore che mi concedete mi lusinga: vi ringrazio e prego gli dèi che mi permettano di procurarvi qualche beneficio. Quanto al fatto che scegliate me come capo, quando è presente tra noi uno Spartano, non mi pare per voi una mossa vantaggiosa, perché, in caso di bisogno, vi sarà più difficile ottenere l'aiuto di Sparta. Anche per me, poi, credo che la situazione non sarebbe del tutto tranquilla. 27 Ho davanti agli occhi quel che è capitato alla mia patria: gli Spartani non hanno allentato la morsa prima di costringere tutta la città a riconoscere la loro egemonia. 28 È bastato accettarla, e sùbito lo scontro è cessato, hanno tolto l'assedio. Guardando a quegli avvenimenti, se qui dessi l'impressione di far vacillare il prestigio spartano, temo che ben presto sarei ricondotto alla ragione. 29 Per quanto riguarda la vostra considerazione che dovrebbero verificarsi meno sedizioni quando alla guida fosse un unico capo invece di molti, sappiate bene che, eleggendo un altro, non mi sorprenderete a ribellarmi: chi in guerra si rivolta contro il proprio comandante, secondo me non fa che rivoltarsi contro la propria speranza di salvezza. Qualora invece sceglieste me, non mi meraviglierei se trovaste qualcuno pieno di rancore nei confronti vostri e nei miei". 30 Ma dopo le sue parole, furono ancora di più quelli che si levano a dire che doveva accettare il comando. Agasia di Stinfalo dichiarò che la situazione, se stava in quei termini, era ridicola: "Gli Spartani allora monteranno su tutte le furie anche se, a un banchetto, non verrà eletto re della festa uno Spartano? Se le cose stanno così, non possiamo neppure rivestire la carica di locaghi, a quanto pare, perché siamo Arcadi". Allora tutti presero a vociare, dando ragione ad Agasia. 31 Senofonte, poiché si rendeva conto che le sue precedenti parole non erano bastate, si fece avanti: "Bene, o uomini, non voglio tenervi all'oscuro di niente: vi giuro su tutti gli dèi e le dee che non appena mi sono reso conto delle vostre intenzioni ho celebrato un sacrificio per sapere se fosse nel vostro interesse affidarmi questa carica e nel mio accettarla. Gli dèi, attraverso le vittime, in modo così chiaro che anche un profano non avrebbe nutrito dubbi, mi hanno indicato che dovevo rifiutare il comando assoluto". 32 Così scelgono Chirisofo, che, appena eletto, prese la parola: "Uomini, tenete per certo che neppure io mi sarei ribellato, se aveste scelto un altro. A Senofonte comunque, non eleggendolo, avete fatto un favore. Fino a poco fa Dessippo non perdeva occasione per calunniarlo agli occhi di Anassibio con ogni mezzo, nonostante i miei tentativi per zittirlo. Dessippo voleva sostenere che Senofonte avrebbe preferito dividere il comando dell'esercito di Clearco con Timasione, nativo di Dardano, piuttosto che con me, che sono lacone. 33 Ma siccome avete eletto me", proseguì Chirisofo, "cercherò io pure, per quanto mi sarà possibile, di procurarvi vantaggi. Preparatevi alla partenza per domani, se c'è tempo buono. La rotta sarà per Eraclea: dobbiamo tutti quanti cercare di gettar là le ancore. Quanto al resto, una volta che saremo sul posto, decideremo". 2 1 Da qui il giorno successivo salparono col favore del vento e proseguirono lungo il litorale per due giorni. Navigando sotto costa, [ebbero modo di vedere il promontorio di Giasone, dove si narra che sia stata ormeggiata la nave Argo, nonché le foci di vari fiumi, prima il Termodonte, poi l'Iris, l'Alis e quindi il Partenio; una volta superato quest'ultimo,] giunsero a Eraclea, città greca, colonia dei Megaresi nel territorio dei Mariandini. 2 Gettarono le ancore nei pressi del Chersoneso Acherusiade, dove si racconta che Eracle sia sceso agli Inferi per catturare il cane Cerbero, proprio nel punto in cui ancor oggi, come prova della sua discesa, additano una voragine profonda più di due stadi. 3 Qui gli abitanti di Eraclea inviano ai Greci i doni ospitali: tremila medimni di farina d'orzo, duemila anfore di vino, venti buoi e cento pecore. Attraverso la pianura scorre un fiume di nome Lico, largo circa due pletri. 4 I soldati si riunirono e cominciarono a discutere sul resto del viaggio, se fosse meglio uscire dal Ponto per terra o per mare. Si levò in piedi l'acheo Licone e disse: "Uomini, mi meraviglio dei nostri strateghi, non tentano nemmeno di procurarci i viveri: i doni ospitali non basteranno all'esercito nemmeno per tre giorni. E non c'è modo di trovare viveri durante il viaggio. 5 Perciò propongo di chiedere alla gente di Eraclea non meno di tremila ciziceni". "Non meno di diecimila", fece eco un altro. "Dobbiamo scegliere degli emissari", proseguì Licone, "e mandarli sùbito in città, mentre rimaniamo qui. Aspettiamo la risposta degli abitanti di Eraclea e poi ci regoleremo di conseguenza". 6 Allora come emissario proposero prima di tutto Chirisofo, perché lo avevano eletto comandante in capo. Ci fu anche chi avanzò il nome di Senofonte. Ma sia Chirisofo sia Senofonte rifiutarono con decisione: erano entrambi dell'avviso che non si dovesse costringere una città greca, e per di più alleata, a consegnare qualcosa contro la propria volontà. 7 Poiché i due si erano mostrati riluttanti, inviano Licone l'acheo, Callimaco di Parrasia e Agasia di Stinfalo, che, giunti là, esposero le decisioni dell'esercito. Licone però, almeno a detta loro, aggiunse anche delle minacce, nel caso che non li avessero accontentati. 8 Allora gli abitanti di Eraclea dissero che ci avrebbero pensato. Raccolsero sùbito i beni dalle campagne, allestirono un mercato entro le mura e, quando apparvero uomini armati sulla cinta di mura, avevano già chiuso le porte. 9 A quel punto i responsabili di questa situazione accusarono gli strateghi di voler mandare a monte la faccenda. Gli Arcadi e gli Achei si riunirono: li capeggiavano in particolare Callimaco di Parrasia e Licone l'acheo. 10 Secondo loro era vergognoso che sui Peloponnesiaci comandassero uno Spartano e un Ateniese che si era unito all'esercito senza truppe al suo séguito; a loro toccavano le fatiche, agli altri i guadagni, senza contare che la salvezza era frutto del loro sudore; tutto stava sulle spalle degli Arcadi e degli Achei, il resto dell'esercito non contava niente - e, a onor del vero, Arcadi e Achei rappresentavano più della metà delle truppe. 11 Perciò, se avevano ancora un briciolo di buon senso, dovevano far gruppo a sé ed eleggere strateghi, proseguire il viaggio per conto proprio e cercare di trarre qualche vantaggio. 12 Le proposte furono approvate. Tutti gli Arcadi e gli Achei al séguito di Chirisofo e Senofonte abbandonarono i loro comandanti, costituirono gruppo autonomo ed elessero dieci strateghi. Votarono che costoro avrebbero rispettato il volere della maggioranza. Il comando assoluto di Chirisofo dunque si dissolse a sei o sette giorni di distanza dalla sua elezione. 13 Senofonte comunque voleva proseguire insieme a loro: il viaggio, ne era convinto, sarebbe stato più sicuro così, che non andando ciascuno per la propria strada. Neone però lo persuase a unirsi a lui, perché aveva sentito dalla bocca di Chirisofo che Cleandro, l'armosta di Bisanzio, aveva assicurato che li avrebbe raggiunti al porto di Calpe con delle triremi. 14 Così non avrebbero dovuto dividere con nessuno le triremi, ma solo loro e i rispettivi soldati si sarebbero imbarcati: questo suggeriva Chirisofo, vuoi perché amareggiato dagli eventi, vuoi per il rancore maturato nei confronti dell'esercito, gli concede di agire a suo piacimento. 15 Senofonte si preparò comunque ad abbandonare l'esercito e a levar le ancore; ma nel celebrare un sacrificio a Eracle perché gli fosse di guida, quando chiese se fosse preferibile e più conveniente per lui seguire i soldati rimasti al suo fianco oppure staccarsene, il dio, attraverso le vittime, gli indicò di restare unito alla spedizione. 16 Così l'esercito si divise in tre tronconi: gli Arcadi e gli Achei con più di quattromila uomini, tutti opliti; al séguito di Chirisofo circa millequattrocento opliti e più o meno settecento peltasti, cioè i Traci di Clearco; agli ordini di Senofonte circa millesettecento opliti e grosso modo trecento peltasti. L'unico ad avere un contingente di cavalleria era Senofonte, con una quarantina di unità. 17 Gli Arcadi riuscirono a procurarsi delle imbarcazioni dagli abitanti di Eraclea e furono i primi a sciogliere gli ormeggi, per piombare all'improvviso sui Bitini e far man bassa. Sbarcano al porto di Calpe, che è all'incirca al centro della costa della Tracia. 18 Chirisofo, lasciata la città di Eraclea, s'incamminò sùbito nell'interno, ma non appena penetrò in Tracia, proseguì la marcia lungo la costa: era già malato. 19 Senofonte viaggiò per mare e sbarcò ai confini tra la Tracia e la regione di Eraclea, per proseguire la marcia nell'entroterra. 3 1 [In che modo dunque il comando assoluto di Chirisofo si dissolse e l'esercito greco si spezzò, è detto nelle parti sopra riportate.] 2 Ecco cosa fece ciascun gruppo. Gli Arcadi, non appena scendono al porto di Calpe, di notte, si dirigono verso i primi villaggi, a circa trenta stadi dal mare. Quando spuntò la luce, ogni stratego condusse il proprio loco contro un villaggio: se il villaggio pareva piuttosto grande, due strateghi accorpavano i loro contingenti e muovevano all'assalto. 3 Stabilirono anche un colle sul quale poi avrebbero dovuto ritrovarsi tutti. Piombando sui nemici all'improvviso, riuscirono a rendere schiava molta gente e a catturare parecchio bestiame. 4 Ma i Traci fuggiti andavano raccogliendosi: armati alla leggera com'erano, sgusciavano addirittura via dalle mani degli opliti greci, che avevano armi troppo pesanti per rincorrerli. Una volta che si furono radunati, attaccarono prima il loco di Smicrete, uno stratego arcade, che si stava ormai ritirando verso il luogo convenuto, con ingente bottino. 5 Per un tratto i Greci continuarono la marcia combattendo, ma al momento di superare un burrone fuggirono di qua e di là. I nemici uccisero lo stesso Smicrete e tutti gli altri. Di un altro loco, quello di Egesandro, uno dei dieci strateghi, non rimasero che otto uomini, tra i quali Egesandro stesso. 6 Gli altri lochi si riunirono, alcuni con difficoltà, altri senza. I Traci, dopo la buona sorte dei primi assalti, cominciarono a chiamarsi reciprocamente a raccolta e circondarono in forze i Greci durante la notte. Allo spuntar del giorno avevano accerchiato il colle su cui i Greci si erano accampati. C'erano parecchi cavalieri e peltasti, e continuavano a confluire nemici: si sentivano tanto sicuri da poter assalire perfino gli opliti. 7 I Greci infatti non avevano né arcieri né lanciatori di giavellotto né cavalieri; i nemici invece si facevano sotto, di corsa o al galoppo, scagliando i loro proiettili. E a ogni assalto dei Greci ripiegavano con facilità, mentre altri dei loro, su diversi fronti, contrattaccavano. 8 Perciò, in un campo c'erano molti feriti, nell'altro nemmeno uno. Insomma i Greci non poterono spostarsi da lì, anzi, alla fine i Traci riuscirono anche a tagliarli fuori dai rifornimenti d'acqua. 9 Quando la situazione era ormai disperata, cominciarono a trattare per una tregua. C'era accordo su ogni punto, ma non sugli ostaggi, che i Traci si rifiutarono di consegnare, nonostante le richieste dei Greci: fu questo l'ostacolo che mandò all'aria tutto. Tale era la situazione degli Arcadi. 10 Chirisofo, con una marcia tranquilla lungo la costa giunge al porto di Calpe. Quanto al contingente di Senofonte, che proseguiva il cammino nell'entroterra, i suoi cavalieri mandati in avanscoperta s'imbatterono in alcuni vecchi che camminavano verso di loro. Quando furono condotti al suo cospetto, Senofonte domandò loro se avessero per caso notizie di un altro esercito, greco per la precisione. 11 I vecchi illustrarono tutto l'accaduto, dicendo che attualmente i Greci erano stretti d'assedio su un colle, mentre i Traci, in gran numero, li avevano circondati. Allora Senofonte diede disposizione di tenere sotto stretta sorveglianza quegli uomini, che potevano servire da guide in caso di necessità. Predispose le sentinelle, convocò le truppe e tenne un discorso: 12 "Soldati, molti degli Arcadi sono caduti e i superstiti sono stretti d'assedio su un colle. Sono convinto che, se anch'essi moriranno, neppure per noi ci sarà salvezza, perché i nemici sono tanti e sicuri di sé. 13 La cosa migliore per noi è di correre in loro aiuto al più presto: se sono ancora vivi, combatteremo al loro fianco e non rimarremo soli, ad affrontare soli anche i pericoli. 16 Da qui siamo tagliati fuori da ogni ritirata. La via del ritorno verso Eraclea, infatti, è lunga, come pure lunga è la strada per Crisopoli. E poi il nemico ci sta addosso. Brevissimo è invece il tratto per il porto di Calpe, dove, secondo i nostri calcoli, dovrebbe trovarsi Chirisofo, se si è salvato. Là però non avremo imbarcazioni con cui partire e, se rimarremo sul posto, i viveri non ci basteranno neppure per un giorno. 17 Se gli Arcadi ora assediati verranno distrutti e ci toccherà affrontare i rischi delle battaglie con il solo contingente di Chirisofo, per noi sarà durissima. È più semplice salvare gli Arcadi, concentrare le nostre forze e raggiungere la salvezza, tutti insieme. Ma bisogna mettersi in marcia preparati all'idea che, adesso, o si muore gloriosamente o si compie una fulgida impresa, salvando tanti Greci. 18 Forse a dirigere così gli eventi è la divinità, che vuole umiliare i vanagloriosi perché troppo superbi e concedere più alti onori a noi, che ci regoliamo in base al volere divino. Su, seguite i vostri capi e rimanete ben attenti, per poter eseguire ogni ordine. 14 Adesso avanzeremo finché non ci sembrerà giunto il momento del pranzo. Ma nel corso della marcia, Timasione rimarrà in avanscoperta con i cavalieri, senza perderci di vista ed esplorando la zona antistante l'esercito: dobbiamo evitare ogni sorpresa". 19 Detto ciò, prese la testa dell'esercito. 15 Scelse, tra i gimneti, i soldati più agili e li inviò sulle pendici e le cime dei monti, con l'incarico di segnalare se avessero avvistato qualcosa. Diede loro l'ordine di incendiare tutto il materiale combustibile che avessero trovato sulla loro strada. 19 I cavalieri, alla spicciolata, ma sempre entro i limiti di sicurezza, cominciarono ad appiccare il fuoco. Allo stesso modo i peltasti, che procedevano di pari passo sulle alture, bruciavano tutto ciò che vedevano d'infiammabile, e pure l'esercito, se s'imbatteva in qualcosa che era stato tralasciato. Pertanto tutta la regione sembrava avvampare e l'impressione era che l'esercito fosse numeroso. 20 Quando venne il momento, i Greci si mossero e posero le tende su un colle. Vedevano i fuochi dei nemici, da cui distavano circa quaranta stadi. Dal canto loro, accendevano quanti più falò potevano. 21 Sùbito dopo aver cenato, velocemente fu trasmesso l'ordine di spegnere tutti i fuochi. Per la notte dislocarono sentinelle e dormirono: sul far del giorno rivolsero una preghiera agli dèi e, schierati a battaglia, ripresero a marciare più in fretta che potevano. 22 Timasione e i cavalieri, in avanscoperta con le guide, senza neppure accorgersene, si trovarono in cima al colle dove i Greci erano stati stretti d'assedio. Qui non vedono nessun esercito né amico né nemico, [e avvisano Senofonte e le truppe], ma solo delle vecchie e dei vecchi, pochi capi di bestiame e buoi abbandonati. 23 Dopo il primo momento di stupore per quanto era accaduto, vennero a sapere dalla gente rimasta lì che i Traci si erano allontanati al calar della sera e poi anche i Greci, dicevano, erano andati via: dove, però, non lo sapevano. 24 Sapute queste cose Senofonte e i suoi, dopo il rancio, prepararono i bagagli e si incamminarono, con l'intenzione di raggiungere al più presto gli altri al porto di Calpe. Ma mentre erano in marcia, videro le orme degli Arcadi e degli Achei lungo la via [che portava a Calpe]. Quando si ricongiunsero, i due gruppi si scorsero reciprocamente con grande gioia e si salutarono come fratelli. 25 Gli Arcadi chiesero ai soldati di Senofonte perché avessero spento i fuochi: "In un primo tempo", spiegarono gli Arcadi, "non vedendo più i fuochi, credevamo che avreste attaccato i nemici nel corso della notte. La stessa convinzione devono averla avuta i nemici, che, per paura di un attacco, se ne sono andati. Sono partiti, infatti, sùbito dopo. 26 Ma siccome non arrivavate e il tempo passava, abbiamo pensato che vi avessero messi al corrente della nostra situazione e che, spaventati, aveste battuto in ritirata verso il mare. E la cosa migliore ci era sembrata di non perdere il contatto con voi. Ecco come siamo arrivati qui". 4 1 Per quel giorno si stabilirono lì, sulla spiaggia presso il porto. La zona che prende il nome di porto di Calpe è nella Tracia asiatica, regione che si estende dall'imboccatura del Ponto fino ad Eraclea, sulla destra per chi naviga verso il Ponto. 2 Con una triremi, da Bisanzio a Eraclea si impiega una giornata intera di navigazione. In questo tratto di costa non sorge nessuna città né alleata dei Greci né di fondazione greca, ma vi abitano i Traci Bitini. Si racconta che i Bitini infliggano torture terribili ai Greci catturati, che capitano lì o per naufragio o per qualsiasi altra ragione. 3 Il porto di Calpe sorge proprio a pari distanza, navigando sia da Eraclea sia da Bisanzio: un promontorio si protende nel mare, formato nella parte terminale da una scogliera a precipizio, alta non meno di venti orgie nel punto meno elevato. L'istmo che lo congiunge alla terraferma è largo all'incirca quattro pletri: la sua area è capace di ospitare diecimila uomini. 4 Il porto, proprio ai piedi della scogliera, ha una spiaggia che guarda verso tramonto. Nella zona del promontorio, proprio a un passo dal mare, sgorga una fonte ricca d'acqua dolce. C'è una vegetazione rigogliosa con piante d'ogni specie e, sulla riva, moltissimi begli alberi che forniscono legname per navi. 5 La cresta montuosa che collega il promontorio con l'interno, si estende per circa venti stadi ed è ricca di terra e senza pietre. La zona costiera, per più di venti stadi, è folta di piante d'ogni genere e di alberi d'alto fusto. 6 La parte restante della regione è bella e ampia, vi sorgono molti villaggi abitati. La terra produce orzo, grano, legumi d'ogni sorta, miglio, sesamo e fichi in quantità, molte viti che danno vino dolce e ogni altro genere di pianta, tranne l'olivo. 7 Ecco com'era il paese. Si attendarono dunque sulla spiaggia nei pressi del mare. Non vollero porre il campo nella zona in cui avrebbe potuto sorgere una città, perché sembrava che stabilirvisi potesse corrispondere a un deliberato piano, dato che alcuni volevano fondare una colonia. 8 La maggior parte dei soldati si erano uniti con la spedizione non per mancanza di mezzi e alla ricerca di una paga, ma perché avevano sentito parlare del valore di Ciro: c'era chi aveva portato con sé truppe, chi aveva speso le proprie ricchezze, chi abbandonato padre e madre o lasciato i figli per ritornare a casa ricchi, sentendo che anche gli altri al séguito di Ciro se la passavano davvero bene. Gente del genere desiderava solo ritornare in Grecia sana e salva. 9 Il giorno successivo al ricongiungimento dell'esercito, Senofonte celebrò un sacrificio per sapere se uscire dal campo: era necessaria infatti una sortita in cerca di viveri, ma aveva anche in mente di seppellire i morti. Poiché le vittime diedero segni favorevoli, uscirono, seguiti anche dagli Arcadi. Seppellirono la maggior parte dei cadaveri sul posto, proprio dove ciascuno era caduto. Erano già passati cinque giorni e ormai non era più possibile sollevarli da terra. Alcuni corpi raccolti sulla strada furono sepolti con le esequie più solenni, per quanto lo permettessero le condizioni. A tutti i soldati non rinvenuti, innalzarono un grande cenotafio, su cui depositarono delle corone. 10 Poi rientrarono all'accampamento. Dopo il rancio dormirono. L'indomani vi fu l'adunata dei soldati al completo: l'iniziativa partì soprattutto dai locaghi Agasia di Stinfalo, Ieronimo dell'Elide e da altri Arcadi, i più anziani. 11 Presero una decisione: se qualcuno, in futuro, avesse solo accennato a dividere in due l'esercito, doveva essere condannato a morte; poi, bisognava proseguire sulla terraferma, con lo stesso assetto di marcia che l'esercito aveva in precedenza e dovevano comandare gli stessi capi di prima. Ma Chirisofo era già morto, perché, febbricitante, aveva bevuto un farmaco. Prese il suo posto Neone di Asine. 12 Dopo di che, si alzò Senofonte e disse: "Soldati, a quanto pare dobbiamo proseguire - è chiaro - il nostro viaggio a piedi, perché ci mancano le imbarcazioni. Ma siamo costretti a metterci immediatamente in cammino, perché, se rimaniamo qui, ci mancheranno i viveri. Per parte nostra", proseguì, "celebreremo i sacrifici; ma sta a voi prepararvi allo scontro, ora più che mai, perché i nemici hanno ripreso coraggio". 13 Quindi gli strateghi sacrificarono, alla presenza dell'indovino Aressione, arcade. Silano di Ambracia, infatti, aveva disertato da un pezzo, salpando da Eraclea su un battello preso a nolo. Gli strateghi, che immolavano vittime per sapere se gli dèi consentivano la partenza, ricevettero responso sfavorevole. Per quel giorno si fermarono. 14 Ci fu gente che ebbe l'impudenza di dire che era tutto un piano di Senofonte, che voleva fondare una città nella zona e aveva corrotto l'indovino, facendogli dire che i segni non erano favorevoli alla partenza. 15 Allora Senofonte ordinò all'araldo di annunciare che l'indomani tutti potevano, volendo, presenziare alla cerimonia e, se c'erano degli indovini, li sollecitava ad assistere per ispezionare le viscere tutti insieme. E poi procedette al sacrificio: in quell'occasione molti furono i presenti. 16 Immolò vittime per la partenza, ripetendo le operazioni per ben tre volte, ma il responso restò sfavorevole. Allora i soldati rimasero contrariati. Stavano terminando le scorte di viveri che avevano al momento del loro arrivo e non c'era nessun mercato dove trovarne altri. 17 Quindi si riunirono e Senofonte prese di nuovo la parola: "Uomini, riguardo al viaggio, come vedete, le vittime non danno ancora responso favorevole. Quanto ai viveri invece, so che vi mancano, per cui mi pare che non ci resti altra soluzione che offrire un sacrificio per saperne di più in proposito". 18 Un soldato si levò in piedi e disse: "Ed è naturale che i presagi siano sfavorevoli: ieri, da un equipaggio sbarcato qui casualmente, ho sentito dire che Cleandro, l'armosta di Bisanzio, arriverà con navi e triremi". 19 Allora tutti decisero di restare. Comunque era necessario uscire dal campo per il vettovagliamento. A tale scopo celebrarono ancora sacrifici, per tre volte, ma il responso fu negativo. Ben presto davanti alla tenda di Senofonte si formò un assembramento di soldati, che gli dicevano di essere senza viveri. Senofonte ribadì che non si sarebbero mossi, se le vittime risultavano sfavorevoli. 20 L'indomani venne ripetuto il sacrificio: quasi al completo, l'esercito assisteva al rito, tutt'attorno alle vittime, perché era una questione che riguardava tutti quanti. Ma erano venute a mancare le vittime da immolare. Gli strateghi tuttavia non presero la decisione di uscire dal campo, ma convocarono l'assemblea. 21 Senofonte allora tenne un discorso: "Forse i nemici si sono radunati e non ci resta che combattere. Se lasciassimo i bagagli in un posto sicuro e ci muovessimo preparati come a battaglia, forse i responsi sarebbero propizi a noi". 22 Appena lo udirono, i soldati rumoreggiarono: non c'era nessun bisogno di portare i bagagli al sicuro, ma si doveva sacrificare al più presto. Pecore non ce n'erano più, per cui comprarono buoi da tiro per immolarli. Senofonte pregò Cleanore l'arcade di compiere il rito al posto suo, caso mai dipendesse dalla sua presenza. Ma neppure così l'esito fu positivo. 23 Neone, che era stratego al posto di Chirisofo, quando vide che gli uomini erano disperati per la carestia di viveri, cercò di ingraziarseli; aveva trovato un tale di Eraclea che asseriva di conoscere dei villaggi vicini dove avrebbero potuto rifornirsi. Neone dunque proclamò che, chi lo volesse, aveva il permesso di andare in cerca di viveri, sotto la sua guida. Escono dal campo circa duemila persone, con bastoni, otri, borse e altri recipienti. 24 Quando sono nei villaggi e si disperdono per arraffare, ecco che piombano su di loro i cavalieri di Farnabazo per primi. Erano giunti in appoggio ai Bitini, perché insieme a quest'ultimi volevano, se possibile, sbarrare ai Greci il passaggio in Frigia. I cavalieri uccidono non meno di cinquecento uomini, mentre gli altri si rifugiano sul monte. 25 Dopo di che, qualche fuggiasco porta la notizia all'accampamento. Senofonte, poiché quel giorno le vittime non avevano dato segni favorevoli, prese un bue da tiro - non c'erano altri animali da sacrificio - e lo immolò. Poi corse in aiuto insieme a tutti i soldati che, di età, non avevano superato la trentina. 26 Dopo aver recuperato i superstiti, rientrano al campo. Si era ormai al calar del sole e i Greci, molto depressi, stavano cenando, quand'ecco che, all'improvviso, un gruppo di Bitini balza dalla macchia e assale gli avamposti greci, massacra alcune sentinelle e insegue le altre fino all'accampamento. 27 Le grida che si levarono fecero correre tutti i Greci alle armi: inseguire il nemico o spostare il campo non sembravano, di notte, operazioni senza rischi, perché la zona era coperta da una fitta vegetazione. Trascorsero la notte in armi, rafforzando la sorveglianza con adeguati posti di guardia. Libro VII 1 1 [Le vicende dei Greci durante la spedizione di Ciro fino alla battaglia, gli avvenimenti che seguirono alla sua morte nel corso del viaggio fino al Ponto, i fatti concernenti l'uscita dei Greci dall'imboccatura del Ponto, via terra e via mare, fino al loro arrivo a Crisopoli in Asia, è tutto esposto nella narrazione precedente.] 2 A quel punto Farnabazo, per timore che l'esercito greco attacchi il suo paese, manda un emissario al navarco Anassibio - che si trovava in Bisanzio - e lo prega di trasportare le truppe sulla sponda opposta, via dall'Asia, promettendogli che avrebbe soddisfatto ogni sua richiesta. 3 Anassibio allora convocò a Bisanzio gli strateghi e i locaghi e si assunse l'impegno di corrispondere una paga ai soldati, se avessero passato lo stretto. 4 Tutti gli altri strateghi dissero che avrebbero riferito la decisione dopo averne discusso in assemblea, ma Senofonte lo avvertì che di lì a poco avrebbe lasciato l'esercito e che voleva salpare. Anassibio lo invitò a rimaner con le truppe durante il passaggio dello stretto e a partire solo a operazione ultimata. Senofonte acconsentì. 5 Seute il traceinvia Medosadeper pregare Senofonte di dare tutto il suo appoggio al trasbordo dell'esercito: in caso di collaborazione, non avrebbe avuto di che pentirsene. 6 Senofonte rispose: "L'esercito attraverserà lo stretto in ogni caso. Per raggiungere il suo scopo, Seute non deve pagare né me né altri; quando l'esercito sarà sulla riva opposta, me ne andrò per conto mio, per cui si rivolga pure, nei termini che gli paiono sicuri, a chi rimarrà e avrà i requisiti per trattare". 7 Dopo, tutti i soldati si trasferiscono a Bisanzio. Ma Anassibio non versò la paga promessa; tramite l'araldo, intimò ai soldati di prendere armi e bagagli e di uscire dalla città, per farne la conta e, al tempo stesso, liberarsene. Allora i soldati, risentiti perché non avevano il denaro per rifornirsi di viveri in vista del viaggio, se la presero comoda coi preparativi. 8 Senofonte, che aveva stretto legami d'ospitalità con l'armosta Cleandro, si recò da lui a salutarlo, perché era ormai sul piede di partenza. Ma Cleandro gli disse: "Non farlo, altrimenti ti metteranno sotto accusa, tanto più che già adesso c'è gente che t'incolpa perché l'esercito non si affretta a partire". 9 E Senofonte: "Non sono certo io il colpevole; sono i soldati che hanno bisogno di rifornimenti e perciò non se la sentono di rimettersi in marcia". 10 "Comunque", ribatté l'altro, "ti consiglio di uscire dalla città come se ti preparassi a compiere il viaggio insieme agli altri. Una volta che l'esercito sarà fuori Bisanzio, allora va' pure per conto tuo". "Raggiungiamo Anassibio", disse Senofonte, "e mettiamo a punto la faccenda". Così, si recarono da Anassibio e lo misero al corrente. 11 Anassibio esortò Senofonte a seguire il consiglio di Cleandro e disse che i soldati dovevano preparare i bagagli e uscire dalla città al più presto. E, aggiunse, chi non si presenterà alla rassegna e alla conta, dovrà prendersela con se stesso. 12 Allora uscirono per primi gli strateghi e poi gli altri. Tranne pochi casi, erano tutti quanti fuori delle mura. Eteonicoera piazzato sulle porte, per chiudere i battenti e sprangarle, non appena l'ultimo avesse messo piede fuori. 13 Anassibio convocò gli strateghi e i locaghi e disse: "Rifornitevi pure nei villaggi traci: c'è orzo, grano e viveri d'altro genere in quantità. Prendete il necessario e poi dirigetevi verso il Chersoneso, dove Cinisco vi distribuirà il soldo". 14 Alcuni soldati che avevano udito le parole di Anassibio - o forse anche qualche locago -, le riportarono all'esercito. Intanto gli strateghi cercavano di prendere informazioni su Seute, se fosse nemico o amico e se dovessero valicare il Monte Sacrooppure aggirarlo passando nel cuore della Tracia. 15 Mentre ancora se ne discute, i soldati afferrano le armi e corrono alle porte, intenzionati a rientrare nella cinta muraria. Eteonico e i suoi, come vedono gli opliti precipitarsi verso la città, chiudono le porte e le sbarrano. 16 I soldati prendono a battere sulle porte e a gridare che era un'ingiustizia gravissima, li si lasciava in balìa del nemico: dicevano che avrebbero abbattuto le porte, se non le aprivano spontaneamente. 17 Alcuni corrono verso il mare e lungo il molo delle mura dilagano in città; altri soldati, che si trovavano ancora all'interno, non appena vedono il parapiglia presso le porte, spezzano le spranghe con le loro asce e spalancano i battenti: tutti si riversano dentro. 18 Senofonte, quando vede cosa sta accadendo, nel timore che la truppa si dia al saccheggio e che si verifichino guai irreparabili per la città, per lui stesso e per l'esercito, di corsa si precipita all'interno delle mura, mischiandosi alla massa dei soldati. 19 I Bizantini, non appena vedono l'esercito fare irruzione, fuggono via dal mercato, gli uni verso le navi, gli altri verso casa, mentre tutti quelli che erano in casa si proiettano fuori; altri ancora calano in mare le triremi, per cercare scampo a bordo; tutti erano convinti che fosse giunta l'ultima ora, come se la città fosse caduta in mano nemica. Eteonico fugge sull'acropoli. 20 Anassibio invece scende al mare di corsa e, su una barca da pesca, si dirige dalla parte opposta della città, fin sotto l'acropoli, mandando sùbito a chiamare la guarnigione di Calcedone, perché le truppe dell'acropoli non sembravano in grado di frenare quegli uomini. 21 I soldati, come scorgono Senofonte, si precipitano da lui e gli dicono: "Adesso ti si presenta l'occasione, Senofonte, di dimostrare il tuo valore. Hai in pugno una città, hai triremi, hai mezzi, hai tanti uomini a disposizione. Ora, se fossi disposto, potresti essere utile a noi e noi potremmo rendere potente te". 22 Senofonte, nell'intento di frenarli, rispose: "Ben detto, lo farò. Ma se è questo che volete, posate a terra le armi e formate i ranghi, sùbito". Trasmette l'ordine personalmente e comanda agli altri di diramarlo e di deporre le armi. 23 I soldati si schierarono autonomamente: gli opliti, in un attimo, si allinearono su file di otto, mentre i peltasti, di corsa, erano già andati in posizione sulle due ali. 24 Il luogo, detto il Tracio, è adattissimo allo spiegamento dell'esercito, privo com'è di case e pianeggiante. Quand'ebbero deposto le armi e si furono calmati, Senofonte si rivolse alla truppa con le seguenti parole: 25 "Non mi meraviglio, valorosi soldati, che siate incolleriti e pensiate di essere stati raggirati, di aver patito un sopruso gravissimo. Ma considerate quali saranno le conseguenze, se indulgeremo alla nostra ira e, come vendetta per l'inganno subìto, ce la prenderemo con gli Spartani presenti mettendo a sacco la città, che non ha nessuna colpa. 26 Saremo additati come nemici degli Spartani e dei loro alleati. E c'è modo di congetturare quale guerra ne scaturirebbe: basta riflettere sul recente passato e richiamarlo alla mente. 27 Noi Ateniesi siamo scesi in guerra con gli Spartani e i loro alleati: avevamo non meno di trecento triremi, parte in mare, parte negli arsenali, con grandi risorse economiche in città e con un'entrata annua non inferiore ai mille talenti, che provenivano dai tributi interni ed esterni; poi, eravamo signori di tutte quante le isole e controllavamo parecchie città in Asia e in Europa e molte altre ancora, come la stessa Bisanzio, dove ora siamo. Ebbene, pur disponendo di tante risorse, siamo stati sconfitti come voi tutti sapete. 28 Dunque, pensiamo a cosa dovremo patire adesso che gli Spartani, oltre a conservare i vecchi alleati, hanno pure l'appoggio degli Ateniesi e di tutti i loro alleati di un tempo. E non dimentichiamo, poi, l'ostilità di Tissaferne e di tutti i popoli barbari della costa e quel nostro acerrimo nemico, il re dell'interno, contro cui abbiamo marciato per spodestarlo e ucciderlo, se riuscivamo. Contro tutti questi nemici insieme, chi è così insensato da credere in una nostra vittoria? 29 Per gli dèi, non facciamo pazzie, evitiamo una morte turpe, dopo essere diventati nemici della patria, dei nostri amici e familiari. Vivono tutti in città che saranno pronte a organizzare una spedizione contro di noi, e a ragione, se è vero che non abbiamo voluto prender possesso di nessuna città barbara, pur avendone alla nostra mercé, mentre mettiamo a ferro e fuoco la prima città greca in cui capitiamo. 30 Per conto mio, mi auguro di sprofondare diecimila orgie sotto terra, prima di vedervi compiere atti del genere. Siete Greci! Perciò vi consiglio di obbedire a chi comanda sui Greci e di cercare così di ottenere giustizia. E se anche non vi riuscisse, allora, nonostante il torto subìto, dovete tentare almeno di non essere privati della Grecia. 31 Al momento attuale il mio parere è di avvertire Anassibio che siamo penetrati in città non per commettere atti di violenza, ma, se possibile, per vederci accordato qualche privilegio oppure, in caso contrario, almeno per dimostrare che siamo noi a lasciare la città, per il nostro senso di disciplina, e non perché ingannati". 32 La sua proposta fu approvata. Mandano Ieronimo dell'Elide, l'arcade Euriloco e l'acheo Filesio per informare Anassibio della decisione. I tre partirono per l'ambasceria. 33 Mentre i soldati sono ancora seduti in assemblea, si fa avanti il tebano Ceratade, che vagava di città in città non perché l'avessero bandito dalla Grecia, ma perché voleva offrirsi come stratego, se mai qualche città o popolazione avesse avuto bisogno di un comandante. Si presentò allora e si disse pronto a guidarli al cosiddetto Delta della Tracia, dove avrebbero potuto trovare beni d'ogni sorta; finché non fossero arrivati, garantiva cibi e bevande a non finire. 34 Mentre i soldati ascoltano le parole di Ceratade, vengono a conoscenza anche della risposta di Anassibio: aveva detto che non si sarebbero pentiti di obbedire; avrebbe informato i magistrati in patria e si sarebbe impegnato a prendere provvedimenti in loro favore, nei limiti delle sue possibilità. 35 A quel punto, i soldati accettano Ceratade come stratego ed escono dalla cinta di Bisanzio. Ceratade si accorda con loro per raggiungere l'esercito il giorno successivo, portando con sé animali da sacrificio, un indovino, cibo e bevande per la truppa. 36 Non appena furono fuori città, Anassibio chiuse le porte e promulgò un bando: chi dei soldati fosse stato sorpreso entro le mura, sarebbe stato venduto come schiavo. 37 Il giorno seguente, Ceratade giunse con gli animali per il sacrificio e l'indovino. Lo seguivano venti persone che trasportavano farina, altri venti con vino, tre con olive, uno con una cesta di aglio così carica che più non si poteva e un altro con delle cipolle. Ceratade, dopo aver deposto tutto a terra per la distribuzione, procedette al sacrificio. 38 Senofonte intanto aveva convocato Cleandro e lo pregava di adoperarsi per fargli avere il permesso di entrare in città e di salpare da Bisanzio. 39 Cleandro, al suo ritorno, disse: "Che fatica riuscire a ottenere il permesso! Ma ce l'ho fatta. Anassibio sostiene che non è prudente che tu metta piede in città mentre i soldati sono nei pressi delle mura. I Bizantini sono in fermento e ci sono ostilità tra le varie fazioni. Comunque, ti concede di entrare, a patto che ti imbarchi con lui". 40 Senofonte, dopo aver salutato i soldati, entra in città con Cleandro. Ceratade il primo giorno non ebbe responso favorevole dalle vittime e non distribuì nulla ai soldati. Il giorno dopo, le vittime erano pronte accanto all'altare e Ceratade aveva il capo incoronato per celebrare il sacrificio, quand'ecco sopraggiungere Timasione di Dardano, Neone di Asine e Cleanore di Orcomeno: gli dissero di non fare sacrifici, perché non avrebbe avuto il comando dell'esercito, se prima non avesse fornito i viveri. Ceratade allora ordinò di procedere alla distribuzione. 41 Ma ci voleva ben altro perché fosse assicurata una razione a testa, anche solo per quel giorno. Allora riprese le sue vittime e se ne andò, rinunciando al comando. 2 1 Neone di Asine, Frinisco l'acheo, Filesio l'acheo, Santicle l'acheo e Timasione di Dardano rimasero alla testa dell'esercito e, spintisi fino ai villaggi traci nei dintorni di Bisanzio, posero lì il campo. 2 Tra gli strateghi si verificò un contrasto: Cleanore e Frinisco volevano condurre le truppe da Seute, che li aveva corrotti donando all'uno un cavallo, all'altro una donna. Neone insisteva per passare nel Chersoneso, convinto che il comando assoluto sarebbe toccato a lui, se l'esercito si fosse trovato sotto l'autorità spartana. Timasione invece desiderava ricondurre le truppe sull'altra sponda del canale, in Asia, sicuro di poter così tornare a casa. E anche i soldati avevano lo stesso desiderio. 3 Col passare del tempo, molti soldati o salparono alla bell'e meglio, vendute le loro armi nei villaggi, oppure, regalandole [le armi nei villaggi], si mescolarono agli abitanti delle città. 4 Anassibio si rallegrò, quando venne a sapere che l'esercito andava in pezzi: con una situazione del genere credeva di poter compiacere moltissimo Farnabazo. 5 Levate le ancore da Bisanzio, Anassibio a Cizicoincontra Aristarco, il successore di Cleandro come armosta di Bisanzio. Gira voce che, di lì a poco, nell'Ellesponto sarebbe giunto Polo, destinato a rilevare Anassibio nella carica di navarco. 6 Allora Anassibio dà compito ad Aristarco di vendere come schiavi tutti i soldati dell'armata di Ciro che avesse sorpreso ancora entro le mura di Bisanzio. Cleandro invece non aveva venduto nessuno, anzi aveva prestato soccorso agli ammalati, provandone compassione e costringendo gli abitanti a dar loro ricovero nelle case. Aristarco, non appena mise piede in città, procedette alla vendita di non meno di quattrocento soldati. 7 Anassibio, che intanto era sbarcato a Pario, manda un messaggio a Farnabazo secondo gli accordi. Farnabazo però, non appena apprese che Aristarco, il nuovo armosta, era giunto a Bisanzio e che Anassibio era stato destituito dalla carica di navarco, mise da parte quest'ultimo e si rivolse ad Aristarco per definire l'intesa già tracciata con Anassibio riguardo all'esercito di Ciro. 8 Anassibio allora convoca Senofonte e lo invita a salpare, in ogni modo e maniera, per raggiungere quanto prima l'esercito: doveva riunirlo, radunando il maggior numero possibile di uomini che si erano disseminati qua e là, condurlo a Perinto e trasbordarlo in Asia, al più presto. Gli affida una triacontere e una lettera; lo fa accompagnare da un messo per intimare ai Perinti di fornire a Senofonte la scorta di uno squadrone di cavalleria fino alle sue truppe, con la massima celerità. 9 Senofonte attraversa lo stretto e raggiunge l'esercito. I soldati lo accolsero con gioia e sùbito si dichiararono felici di lasciare la Tracia per l'Asia. 10 Quando seppe dell'arrivo di Senofonte, Seute gli inviò per la seconda volta Medosade, via mare, chiedendogli di raggiungerlo con l'esercito: gli prometteva mari e monti, pur di convincerlo. Ma Senofonte rispose che niente di tutto ciò era possibile. Medosade, di fronte a tale risposta, se ne andò. 11 Quando i Greci furono a Perinto, Neone si separò e si accampò per conto proprio, con ottocento uomini. Tutto il resto dell'esercito rimase riunito sotto le mura di Perinto. 12 Dopo, Senofonte cercò qualche nave per salpare in fretta. Nel frattempo, con due triremi, giunge da Bisanzio l'armosta Aristarco e, su pressione di Farnabazo, proibisce ai proprietari di navi di trasportare le truppe sull'altra sponda; poi, raggiunto l'esercito, ingiunge ai soldati di non passare in Asia. 13 Senofonte protestò: "È un ordine di Anassibio, mi ha mandato qui appositamente". Aristarco replicò: "Primo, Anassibio non è più navarco; secondo, sono io l'armosta. E se sorprenderò qualcuno di voi in mare, lo colerò a picco". Quindi rientra in città. Il giorno dopo, convoca gli strateghi e i locaghi dell'esercito. 14 Quando sono ormai nelle vicinanze della cinta, qualcuno avverte Senofonte: se avesse messo piede in città, l'avrebbero arrestato, per poi condannarlo a morte sul posto oppure consegnarlo nelle mani di Farnabazo. Allora Senofonte manda gli altri in avanti, con la scusa di voler celebrare un sacrificio. 15 Tornato indietro, immola vittime per sapere se gli dèi lo assistevano nel suo tentativo di condurre l'esercito da Seute. Era consapevole delle difficoltà della traversata, perché chi gliela voleva impedire disponeva di triremi; del resto, non intendeva andare a chiudersi nel Chersoneso, dove l'esercito si sarebbe trovato a corto di tutto e avrebbe dovuto sottostare, per forza di cose, all'armosta della regione; le truppe inoltre non avrebbero avuto neppure la possibilità di rifornire l'esercito di vettovaglie. 16 Tali pensieri rimuginava Senofonte. Intanto gli strateghi e i locaghi, di ritorno dall'incontro con Aristarco, annunciavano che per il momento li aveva congedati, ma dovevano ripresentarsi nel pomeriggio: era ancor più chiaro che si trattava di una trappola. 17 Senofonte dunque, poiché i responsi delle vittime sembravano favorevoli per lui e l'esercito in vista di un trasferimento da Seute senza correre rischi, prese con sé il locago ateniese Policrate e un uomo di fiducia di ciascun stratego, eccetto Neone: di notte s'avviò verso l'esercito di Seute, che distava sessanta stadi. 18 Quando erano ormai nelle vicinanze, Senofonte si imbatte in falò abbandonati. In un primo tempo pensò che Seute si fosse spostato da qualche altra parte, ma poi sentì del frastuono e si accorse che i soldati di Seute si mandavano segnali. Comprese allora che i fuochi erano stati accesi volutamente da Seute davanti ai posti di guardia delle sentinelle notturne: così, tra le tenebre, non si potevano vedere le sentinelle né capire quante fossero o dove fossero, mentre chi sopraggiungeva non poteva sfuggire all'avvistamento, perché la luce lo illuminava in pieno. 19 Quando se ne rende conto, manda in avanti l'interprete che era al suo séguito e lo incarica di riferire a Seute che Senofonte era arrivato e voleva un incontro. All'interprete chiesero se si trattasse dell'Ateniese che faceva parte dell'esercito. 20 Alla sua risposta affermativa, balzarono a cavallo e partirono a briglia sciolta. Poco dopo erano di ritorno duecento uomini circa, armati alla leggera, che scortarono Senofonte e i suoi da Seute. 21 Seute era in una torre circondata da un imponente servizio di sorveglianza, con tutt'intorno cavalli già pronti col morso in bocca: per timore infatti di giorno faceva pascolare i cavalli, mentre di notte stava in guardia tenendoli col morso in bocca. 22 Si raccontava infatti che un tempo un suo avo, Tere, proprio in quella regione, pur disponendo di un forte esercito, aveva perso molti uomini, insieme alle salmerie, per mano di un popolo indigeno, i Tini, che avevano fama di essere i combattenti più valorosi di tutti, specialmente di notte. 23 Quando furono nei pressi, Seute ordinò a Senofonte di entrare insieme a due uomini a sua scelta. Una volta che furono dentro la torre, prima di tutto si salutarono e, secondo l'uso tracio, bevvero da corni pieni di vino. Con Seute c'era anche Medosade, che lo rappresentava in tutte le ambascerie, dovunque. 24 Senofonte quindi cominciò a parlare: "Seute, mi hai mandato Medosade, qui presente, per la prima volta a Calcedone, per chiedermi di collaborare attivamente per la partenza dell'esercito dall'Asia, dietro promessa che, se fossi riuscito nell'intento, mi avresti degnamente ricompensato, così ha detto Medosade". 25 Allora domandò a Medosade se fosse vero. Rispose di sì. "Medosade in séguito si è ripresentato", proseguì Senofonte, "quando mi ero ricongiunto con l'esercito dopo la traversata venendo da Pario. In quell'occasione mi assicurava che, se io avessi condotto da te l'esercito, non solo mi avresti trattato come un amico e un fratello, ma mi avresti anche donato le località in riva al mare che sono sotto la tua autorità". 26 A quel punto Seute si rivolse nuovamente a Medosade, chiedendogli se erano parole sue. Anche questa volta confermò. "Su dunque", riprese Senofonte rivolto a Medosade, "spiega a Seute che cosa ti ho risposto nel primo caso, a Calcedone". 27 "Mi hai risposto che l'esercito sarebbe passato a Bisanzio e che, a tale scopo, non c'era nessun bisogno di pagare niente, né a te né ad altri. E avevi aggiunto che, una volta sull'altra riva dello stretto, saresti partito per conto tuo. E proprio così sono andate le cose". 28 "E che cosa ti ho detto, quando mi hai raggiunto a Selimbria?". "Che la cosa non si poteva fare e che sareste andati a Perinto per poi passare in Asia". 29 "Adesso comunque sono qui", riprese Senofonte, "insieme a Frinisco, uno degli strateghi, e a Policrate, eccolo, un locago. All'esterno ci sono gli uomini di fiducia inviati da tutti gli strateghi meno che da Neone il lacone. 30 Se perciò vuoi che la faccenda abbia maggiori garanzie, chiama dentro anche loro. Per quanto riguarda le armi, va' tu, Policrate, e avvisali di lasciarle a terra. Lascia fuori anche la tua spada, prima di rientrare". 31 Nell'udire tali parole, Seute disse che non avrebbe diffidato mai di un Ateniese. Sapeva di avere legami di parentela, li considerava buoni amici. Quindi, una volta entrati gli uomini, per prima cosa Senofonte domandò a Seute a quale scopo gli servisse l'esercito. 32 Ecco la sua risposta: "Mesade, mio padre, governava su Melanditi, Tini e Tranipsi. Dopo il declino della supremazia degli Odrisi, fu scacciato da questa regione, si ammalò e morì. Io rimasi orfano e fui allevato alla corte di Medoco, l'attuale re. 33 Ma non appena giunsi all'adolescenza, cominciai a non sopportare più di vivere con gli occhi bassi su una tavola altrui. Allora andai a sedermi accanto a Medoco, supplicandolo di concedermi quante più truppe potesse, per vendicarmi, se riuscivo, di chi mi aveva scacciato e per vivere senza dover più tenere gli occhi bassi alla sua tavola. 34 Allora mi diede gli uomini e i cavalieri che vedrete non appena si farà giorno. Adesso vivo con loro, costretto a depredare la stessa terra su cui i miei padri regnavano. Se mi darete il vostro aiuto, col favore degli dèi credo che riuscirei a riprendermi facilmente il regno. Ecco a che cosa mi servite". 35 E Senofonte: "Se passassimo dalla tua parte, che cosa potresti dare all'esercito, ai locaghi e agli strateghi? Parla, così costoro potranno riferire". 36 Seute promise un ciziceno per i soldati semplici, il doppio per i locaghi e il quadruplo per gli strateghi, e poi terre a volontà, buoi da tiro e una fortezza sul mare, ben munita. 37 "Ma se", riprese Senofonte, "nonostante l'impegno, dovessimo fallire nell'impresa e aver paura degli Spartani, sarai disposto ad accogliere nelle tue terre chi vorrà cercar rifugio presso di te?". 38 Seute rispose: "Li tratterò addirittura come fratelli, siederanno alla mia tavola e parteciperanno di tutte le ricchezze di cui riusciremo a impossessarci. E a te, Senofonte, darò in sposa mia figlia e, se ne hai una, la comprerò, come vuole l'uso tracio. Inoltre, ti darò come dimora Bisante, la più bella località che posseggo sul mare". 3 1 Dopo aver udito la sua proposta, si strinsero le destre e i Greci si allontanarono. Prima che spuntasse il sole, rientrarono al campo e ognuno fece rapporto a chi l'aveva mandato. 2 Quando fu giorno, Aristarco chiamò di nuovo gli strateghi, che però decisero di rinunciare alla sua convocazione e di riunire, piuttosto, l'esercito in assemblea. Si presentarono tutti, tranne i soldati di Neone, che erano a una distanza di circa dieci stadi. 3 Quando furono tutti convenuti, si alzò Senofonte e parlò così: "Uomini, Aristarco con le sue triremi ci impedisce di far vela dove vogliamo: imbarcarci è rischioso. Anzi, è proprio lui a insistere perché passiamo con la forza nel Chersoneso attraverso il Monte Sacro. Se riusciremo nell'impresa e giungeremo là, assicura che non vi venderà più schiavi, come aveva fatto prima a Bisanzio, né vi ingannerà ancora, anzi garantisce che vi sarà pagato il soldo e non permetterà più di vedervi, come ora, a corto di viveri. 4 Ecco cosa ha detto. Seute invece promette che vi ricompenserà, se vi metterete ai suoi ordini. Ora comunque considerate se, prima di tutto, volete restar qui a decidere sulla questione o se preferite uscire in cerca di rifornimenti. 5 A mio avviso, siccome qui non abbiamo soldi per comprare i viveri e senza soldi non ci permettono di farne incetta, dobbiamo ritornare ai villaggi dove gli abitanti, più deboli di noi, non potranno ostacolare le nostre razzie; una volta là, quando avremo i viveri, ascolteremo le varie proposte e sceglieremo quale ci sembrerà la migliore. 6 Chi è d'accordo, alzi la mano". La alzarono tutti quanti. "Sciogliamo l'assemblea", concluse Senofonte, "e andate a preparare i bagagli: quando vi sarà comunicato, seguite il vostro comandante". 7 Quindi Senofonte si mise alla testa e gli altri lo seguirono. Neone e altri emissari di Aristarco cercarono di convincerli a tornare indietro, ma i soldati non diedero ascolto. Quando avevano già percorso una trentina di stadi, Seute si fece loro incontro. Senofonte, come lo vide, lo invitò a venire avanti, perché il maggior numero di gente potesse udire ciò che ritiene utile dire. 8 Quando Seute si fu avvicinato, Senofonte gli rivolse la parola: "Ci dirigiamo dove l'esercito avrà modo di trovare cibo. Là presteremo un orecchio attento alle tue proposte e a quelle del Lacone e poi prenderemo il partito che ci sembrerà migliore. Se ora ci guiderai dove ci siano rifornimenti in grande abbondanza, faremo conto di aver stretto con te vincoli di ospitalità". 9 E Seute: "Certo, conosco parecchi villaggi, l'uno vicino all'altro: lì non mancano viveri di alcun genere e distano quel tanto che basta per stuzzicarvi l'appetito". "Guidaci allora", disse Senofonte. 10 Appena raggiunsero i villaggi nel pomeriggio, i soldati si riunirono e Seute tenne un discorso: "Uomini, vi chiedo di combattere al mio fianco e prometto un ciziceno per i soldati semplici e la solita paga per i locaghi e gli strateghi. Inoltre, saprò ricompensare chi lo merita. Cibi e bevande li prenderete nella regione, come adesso; ma il resto del bottino lo esigo io, per potervi pagare, dopo che lo avrò venduto. 11 Abbiamo forze sufficienti per inseguire e braccare i fuggiaschi e i disertori; ma se qualcuno opporrà resistenza, insieme a voi cercheremo di schiacciarlo". 12 Senofonte chiese: "Fino a che distanza dal mare pretenderai che si spinga l'esercito per seguirti?". Rispose: "A non più di sette giorni di cammino, ma nella maggior parte dei casi anche meno". 13 Allora viene concesso a tutti il diritto di parlare. Molti, sulla stessa linea, dissero che bisognava tenere nella massima considerazione le parole di Seute: era inverno, per cui, anche volendo, non si poteva alzar le vele verso casa, né d'altronde era possibile restare in terra amica, se si doveva campare sborsando denaro per i viveri; nel caso invece che si dovesse trascorrere un certo periodo in terra nemica e procurarsi lì i viveri, era meno rischioso stare con Seute che rimaner soli. E se, tra i tanti altri vantaggi, prendevano per di più anche una paga, sembrava proprio un colpo di fortuna. 14 Senofonte allora: "Se c'è qualcosa in contrario, ditelo; altrimenti passo alla votazione". Poiché nessuno sollevò obiezioni, Senofonte mise ai voti la proposta, che venne approvata. Comunicò sùbito a Seute che l'esercito avrebbe combattuto al suo fianco. 15 Dopo, il resto dell'esercito si attendò diviso per reparti, mentre gli strateghi e i locaghi furono invitati a pranzo da Seute, che si trovava in un villaggio vicino. 16 Mentre erano lì nei pressi e si apprestavano a entrare per il pranzo, spuntò un certo Eraclide di Maronea. Costui si rivolse, uno alla volta, a chi - a suo avviso - poteva avere qualcosa da donare a Seute, in primo luogo ad alcuni di Pario che erano lì per concludere un'alleanza con Medoco, re degli Odrisi, e recavano doni per lui e sua moglie. Eraclide disse che Medoco si trovava a dodici giorni di strada dal mare e che adesso Seute, forte dell'esercito assoldato, sarebbe divenuto governatore della regione costiera. 17 "Diventerà un vostro vicino e disporrà di ogni mezzo per farvi del bene come del male. Se avete buon senso, consegnate a lui i doni che avete, sarà per voi più vantaggioso che portarli a Medoco, che abita nell'interno". Con tali parole cercava di convincerli. 18 Poi, quando seppe che Timasione di Dardano aveva coppe e tappeti barbarici, lo avvicinò e gli disse che, secondo l'usanza, gli invitati alla tavola di Seute si dovevano presentare con dei doni: "Seute diventerà signore della regione e avrà i mezzi tanto per rimandarvi in patria quanto per rendervi ricchi qui". E consigliava con discorsi del genere avvicinando tutti, uno a uno. 19 Accostatosi a Senofonte disse: "Tu vieni da una città potente e godi di grandissima rinomanza presso Seute. Forse ti riproporrai di ottenere in questa regione, fortezze e territori, come già alcuni altri di voi Ateniesi. Ti conviene allora onorare Seute con regali che si addicano a tanta grandezza d'animo. 20 Ti spingo a farlo nel tuo interesse, perché so bene che quanto più magnifici saranno i tuoi doni, tanto più grandi saranno i benefici che da lui riceverai". Nell'udire tali parole, Senofonte non seppe più che fare, perché era salpato da Pario senza portare nulla con sé, se non uno schiavo e lo stretto indispensabile per il viaggio. 21 Quando furono fatti accomodare per il pranzo, i più autorevoli Traci lì presenti, insieme agli strateghi, ai locaghi e i rappresentanti venuti in ambasceria dalle città, si sedettero in cerchio. Poi vennero portati a tutti dei tavoli a tre piedi colmi di porzioni di carne e, oltre a ciò, erano state infilzate in spiedi grosse forme di pane lievitato. 22 I tavoli, per lo più, erano posti sempre davanti agli ospiti, come voleva la consuetudine. Il primo a rispettarla fu Seute: prendeva i pani disposti davanti a lui, li spezzava in piccole parti e le gettava a chi gli pareva; con le carni faceva lo stesso, tenendo per sé quel tanto che bastava per un assaggio. 23 Gli altri commensali che avevano i tavoli dinnanzi a loro si comportavano allo stesso modo. Ma un Arcade, di nome Arista, un vero ingordo, non si curò del lancio del cibo, afferrò un pane di almeno tre chenici, si mise la carne sulle ginocchia e non smise un attimo di divorare. 24 Poi vennero fatti circolare corni pieni di vino e tutti ne presero. Quando il coppiere gli si avvicinò porgendogli il corno, Arista, vedendo Senofonte che aveva smesso di mangiare, saltò su: "Dallo a lui, che ha tutto il tempo che vuole, io ho ancora da fare". 25 Seute udì la sua voce e chiese cosa avesse detto al coppiere. E il coppiere, che parlava greco, glielo tradusse: allora scoppiò una risata generale. 26 Mentre la bevuta proseguiva, entrò un Trace con un cavallo bianco e, tenendo in mano un corno pieno di vino, disse: "Bevo alla tua salute, Seute, e ti dono questo cavallo: con lui potrai catturare qualsiasi nemico, quando ti lancerai al suo inseguimento, oppure, se ripiegherai, non dovrai temere nessuno". 27 Un altro si presenta con un fanciullo e ne fa dono a Seute, sempre brindando, un altro ancora gli regala una veste per la sposa. Timasione, bevendo alla salute di Seute, gli donò una coppa d'argento e un tappeto del valore di dieci mine. 28 Poi un certo Gnesippo, ateniese, si alzò in piedi e disse che era bellissima l'antica usanza secondo cui i ricchi facevano doni al re per rendergli omaggio, mentre il re elargiva ai poveri: "Perciò", concluse, "anch'io ho modo di offrirti doni e di onorarti". 29 Senofonte non sapeva che fare. Tra l'altro, stava seduto al posto d'onore, sul seggio più vicino a Seute. Intanto Eraclide ordina al coppiere di porgere il corno a Senofonte, che, ormai un po' brillo, trovò il coraggio di alzarsi e, prendendo il corno, disse: 30 "Io invece, Seute, ti faccio dono di me stesso e dei miei uomini, per dimostrarci leali amici: nessuno si offre a malincuore, ma tutti, ancor più di me, aspirano alla tua amicizia. 31 E ora i miei soldati sono qui, non per ottenere qualche favore, ma per prodigarsi e affrontare fatiche e pericoli per te, spontaneamente. Con loro, se gli dèi vorranno, riconquisterai una grande terra, la terra che era dei tuoi padri, e ne sottometterai un'altra, avrai a disposizione molti cavalli e ancora molti uomini e belle donne, senza doverli più catturare come prede, anzi saranno loro stessi a venire da te e a portarti doni". 32 Seute si alzò in piedi, vuotò d'un fiato il corno insieme a Senofonte e con lui versò a terra le ultime gocce. Poi fecero il loro ingresso dei suonatori con corni simili a quelli che si usano per mandare segnali e trombe di pelle di bue non conciata: davano la cadenza, come si fa con la magadi. 33 Anche Seute saltò in piedi lanciando l'urlo di guerra e, con grande agilità, spiccò un balzo, come per schivare un proiettile. Entrarono anche dei buffoni. 34 Quando il sole volgeva al tramonto, i Greci si alzarono e dissero che era venuto il momento di disporre le sentinelle notturne e di trasmettere la parola d'ordine. Chiesero a Seute di diramare l'ordine che nessuno dei Traci penetrasse di notte nel campo greco: "I Traci sono nostri nemici", dissero, "anche se voi ci siete amici". 35 Quando si apprestavano a uscire, Seute si alzò in piedi insieme a loro: non dava affatto l'impressione di esser ubriaco. Uscito, chiamò a sé gli strateghi: "I nostri nemici non sono ancora al corrente della nostra alleanza. Se piomberemo su di loro prima che possano guardarsi da un attacco improvviso o prepararsi alla difesa, più grande sarà il bottino di uomini e cose". 36 Gli strateghi assentirono, insistendo perché assumesse il comando. Seute disse: "Preparatevi e aspettate. Quando sarà il momento, vi raggiungerò e, insieme a voi e ai peltasti, con l'aiuto degli dèi, vi guiderò contro il nemico". 37 Intervenne Senofonte: "Considera però, in caso di marcia notturna, se non sia meglio assumere l'assetto che di regola usano i Greci. Di giorno infatti, durante gli spostamenti, prende la testa della colonna il contingente che, di volta in volta, è più adatto alla natura del terreno, che siano gli opliti, i peltasti o la cavalleria. Di notte invece è norma per i Greci che stiano davanti le truppe più lente. 38 Così è più difficile che l'esercito si spacchi in diversi tronconi e che, senza accorgersene, si perdano i contatti. Capita spesso che i gruppi rimasti staccati si scontrino tra di loro e che infliggano o subiscano gravi perdite, perché non si riconoscono". 39 Seute rispose: "Ben detto, anch'io adotterò la vostra norma. Vi darò come guide gli anziani che conoscono meglio il paese; dal canto mio, vi seguirò in retroguardia con i cavalieri: non ci metterò molto a riportarmi in testa, se sarà il caso". Stabilirono "Atena" come parola d'ordine, vista la comune discendenza. Dopo andarono a riposare. 40 Si era intorno alla mezzanotte, quando giunse Seute con i cavalieri che indossavano corazze e con i peltasti armati. Dopo aver assegnato le guide, si misero in cammino: gli opliti in testa, quindi i peltasti e poi i cavalieri in retroguardia. 41 Quando fu giorno, Seute si spinse in avanti e spese parole di elogio per l'assetto di marcia greco: "Mi è capitato spesso di marciare di notte, ma, anche se avevo reparti piccoli, si creava una frattura tra cavalieri e fanti: ora, allo spuntar del giorno, ci presentiamo tutti compatti, come si deve. Adesso rimanete qui e riposatevi", soggiunse, "io vado in perlustrazione e poi sarò di ritorno". 42 Dopo aver così parlato, partì al galoppo, prendendo una strada verso la montagna. Quando giunse dove la neve era alta, controllò se si scorgessero impronte di uomini, in una direzione o nell'altra. Siccome vide che la via non era stata battuta, tornò indietro rapidamente e disse: 43 "Uomini, andrà tutto bene, se la divinità lo vorrà concedere. Piomberemo addosso a quella gente senza che si accorgano del nostro arrivo. Prenderò la testa con i cavalieri, perché così, se vedremo qualcuno, potremo impedirgli di fuggire e di avvisare i nemici. Voi teneteci dietro: se rimarrete staccati, seguite le orme dei cavalli. Dopo aver superato i monti giungeremo in molti ricchi villaggi". 44 A mezzogiorno è già in vetta e, scrutando dall'alto, avvista i villaggi. Ritorna di gran carriera presso gli opliti e dice: "Tra poco darò ai cavalieri via libera per piombare nella pianura e ai peltasti per assalire i villaggi. Seguiteci con la massima celerità: nel caso che dovessimo trovare resistenza, ci darete manforte". 45 Senofonte allora smontò da cavallo. E Seute: "Perché scendi, ora che c'è bisogno di sbrigarci?". "So", rispose, "che non hai bisogno solo di me: gli opliti correranno più veloci e con maggior entusiasmo, se anch'io sarò a piedi". 46 Seute quindi si allontanò, seguito da Timasione con una quarantina di cavalieri greci. Senofonte passò l'ordine a coloro che avevano meno di trent'anni - i più agili - di staccarsi dai loro reparti. Egli stesso si mise a correre seguito da costoro, mentre alla guida degli altri c'era Cleanore. 47 Una volta arrivati ai villaggi, sopraggiunse Seute con una trentina di cavalieri e disse: "Senofonte, è andata proprio come avevi detto: li abbiamo in pugno. Ma i miei cavalieri si sono lanciati all'inseguimento in tutte le direzioni, rimanendo isolati, e ora temo che i nemici si raccolgano da qualche parte e ci procurino dei guai. È il caso che alcuni di noi rimangano nei villaggi, perché sono pieni di uomini". 48 "Io", rispose Senofonte, "vado a prendere il controllo delle alture con gli uomini che ho. Tu da' ordine a Cleanore di dispiegare la falange giù in pianura, lungo la linea dei villaggi". Grazie a tali manovre, catturarono un migliaio di schiavi, duemila buoi e altri diecimila capi di bestiame. Quindi alloggiarono sul posto. 4 1 Il giorno successivo Seute incendiò completamente i villaggi senza risparmiare nemmeno una casa: voleva seminare il pànico anche nelle altre genti dando una dimostrazione di cosa li avrebbe aspettati, se non avessero obbedito. Poi tornò indietro. 2 A Perinto mandò Eraclide a vendere il bottino, per aver il denaro con cui pagare i soldati. Intanto, con i Greci, si accampò nella piana dei Tini, che evacuarono la zona e si rifugiarono sui monti. 3 C'era la neve alta e un gelo tale, che l'acqua presa per la cena si ghiacciava, come pure il vino nelle anfore; molti Greci ebbero anche il naso e le orecchie congelate. 4 Fu chiaro allora perché i Traci portano sul capo e sulle orecchie berretti di pelo di volpe e vesti che coprono non solo il busto, ma anche le cosce e, quando vanno a cavallo, non indossano mantelli, ma cappe lunghe fino ai piedi. 5 Seute manda sulle montagne alcuni prigionieri, per dire che, se non fossero ritornati alle loro case e non avessero obbedito, avrebbe dato fuoco sia ai loro villaggi sia alle scorte di cibo e sarebbero morti di fame. Di conseguenza scesero a valle le donne, i bambini e gli anziani: i giovani rimasero alloggiati nei villaggi ai piedi del monte. 6 Quando lo venne a sapere, Seute ordinò a Senofonte di prendere gli opliti più giovani e di seguirlo. Si mossero di notte: alle luci del giorno erano nei pressi dei villaggi. La maggior parte dei nemici fuggì: il monte era infatti vicino. Ma dei prigionieri Seute non ne risparmiò nessuno, li massacrò tutti a colpi di giavellotto. 7 C'era un certo Epistene di Olinto, uno a cui piacevano i ragazzi. Costui vide un bel fanciullo che era appena entrato nella pubertà: stava col suo scudo imbracciato, in attesa di morire. Epistene allora si precipitò da Senofonte e lo supplicò di soccorrere un bel fanciullo. 8 Senofonte si avvicina a Seute e gli chiede di non uccidere il ragazzo; gli spiega le abitudini di Epistene e aggiunge che, quando costui aveva scelto gli uomini per il suo loco, aveva guardato unicamente alla bellezza di ognuno; eppure, con loro al fianco, si era dimostrato valoroso. 9 Seute domandò: "Epistene, saresti disposto a morire al posto suo?"; l'altro, porgendo il collo: "Colpisci pure, se è il fanciullo a chiedertelo e se saprà serbarmi gratitudine". 10 Seute allora si rivolse al ragazzo, domandandogli se doveva uccidere l'altro in vece sua. Il giovane disse di no, anzi prese a supplicarlo di risparmiarli entrambi. A quel punto Epistene gettò le braccia intorno al ragazzo dicendo: "Adesso, Seute, dovrai vedertela con me per il fanciullo: non lo lascerò". 11 Seute scoppiò a ridere e si disinteressò della cosa: decise, piuttosto, di stabilire lì il campo, per impedire che i nemici rifugiatisi sui monti si rifornissero di viveri in quei villaggi. Poi scese in pianura e piantò le tende, mentre Senofonte rimase nel villaggio più alto, ai piedi della montagna, con le truppe scelte. Gli altri Greci si attendarono nelle vicinanze, tra i Traci cosiddetti montanari. 12 Non passarono molti giorni che i Traci rifugiatisi sui monti scesero da Seute a trattare tregua e scambio di ostaggi. Anche Senofonte raggiunse Seute per dirgli che erano alloggiati male e troppo vicino al nemico: avrebbe preferito accamparsi all'aperto, ma in una zona sicura, piuttosto che sotto un tetto, per finire magari ammazzato. Seute lo esorta a star tranquillo e gli mostra gli ostaggi nemici in sua mano. 13 Alcuni dei Traci che erano sui monti scesero per chiedere anche a Senofonte di collaborare con loro ai negoziati per la tregua. Senofonte acconsentì e li rassicurò, garantendo che non avrebbero sofferto alcun male, se si fossero sottomessi a Seute. Ma i Traci, in effetti, erano venuti a colloquio solo per spiare. 14 Ecco cosa accadde di giorno. Al sopraggiungere della notte invece i Tini calarono dal monte per un attacco. Li conducevano i padroni di ciascuna casa, perché sarebbe stato difficile, buio com'era, rintracciare le abitazioni nei villaggi. Le case, infatti, erano tutt'attorno circondate da alti recinti per custodire il bestiame. 15 Quando furono davanti alle porte di ciascuna abitazione, alcuni cominciarono a scagliare giavellotti, altri a vibrare colpi con randelli che avevano con sé - dissero - per spezzare le punte delle lance, altri ancora a dar fuoco. Chiamavano per nome Senofonte e gli dicevano di venir fuori a morire, se non voleva bruciar vivo. 16 Si vedevano già le fiamme sul tetto. Dentro si trovavano gli uomini di Senofonte, armati di corazza, con scudo, spada ed elmo, quand'ecco che Silano di Macisto, un giovane sui diciott'anni, dà con la tromba il segnale d'attacco: sùbito balzano fuori con le spade sguainate, come pure chi era nelle altre tende. 17 I Traci si danno alla fuga, com'è loro costume, gettandosi gli scudi sulle spalle. Alcuni, nel tentativo di saltare i recinti, rimasero appesi, perché gli scudi si erano impigliati nella palizzata: vennero catturati. Altri invece, che non avevano raggiunto l'uscita, furono uccisi. I Greci protrassero l'inseguimento fuori dal villaggio. 18 Ma alcuni dei Tini, tornando sui loro passi nell'oscurità, coi giavellotti colpivano chi passava davanti alla casa in fiamme, scagliandoli dalle tenebre verso la luce. Così ferirono Ieronimo e il locago Euodea e il locago Teogene di Locri. Ma nessuno morì. A dire il vero, qualcuno perse le vesti e i bagagli, divorati dalle fiamme. 19 Seute giunse in soccorso con sette cavalieri dell'avanguardia e il trombettiere trace. Non appena capisce come stanno le cose, fa suonare il corno per tutto il tempo della marcia, il che produsse spavento nei nemici. Poi arriva, stringe la destra ai Greci e dice che pensava di trovarsi di fronte a una carneficina. 20 Senofonte gli chiede di consegnarli gli ostaggi e, se voleva, di unirsi a una spedizione sul monte. In caso contrario, desse a lui via libera. 21 Il giorno dopo, Seute gli consegna gli ostaggi, gente piuttosto anziana, ovvero i notabili - a quanto si diceva - dei Traci montani; ed egli stesso giunge con le sue truppe. L'esercito di Seute era ormai triplicato: molti Odrisi, alla notizia delle sue imprese, erano scesi dai monti per unirsi alla sua spedizione. 22 I Tini, quando videro dai monti tanti opliti, peltasti e cavalieri, scesero a valle e cominciarono a supplicare e a chiedere tregua: davano garanzie che avrebbero eseguito ogni ordine e premevano perché accettassero i loro pegni di fede. 23 Seute convocò Senofonte e gli espose le loro proposte, aggiungendo che non avrebbe sancito una tregua, se Senofonte stesso avesse voluto vendicarsi dell'attacco subìto. 24 Senofonte però rispose: "Per parte mia, ritengo che sia sufficiente la punizione che scontano già adesso, se, da liberi che erano, diventeranno schiavi". Ma suggeriva, per il futuro, di prendere come ostaggi gli individui in grado di nuocere maggiormente, lasciando a casa i vecchi. Tutti gli abitanti della regione, comunque, accettarono le condizioni imposte. (Fine)