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I militari che in Iraq non vogliono starci

Parte da New York, , passando per l’Afghanistan e l’Iraq, il percorso di Joseph Wood, quattro anni trasorsi nell’ US Army, che l’hanno portato anche 7 mesi in iraq, a falluja

di Rosanna Rivetti - mercoledì 5 aprile 2006 - 5425 letture

"Per me stare nell’esercito è stata un’esperienza orribile, di cui ho odiato ogni minuto.. Però, con il senno di poi, è stata anche la migliore decisione che abbia mai preso."

Parte da New York, , passando per l’Afghanistan e l’Iraq, il percorso di Joseph Wood, quattro anni trasorsi nell’ US Army, che l’hanno portato anche 7 mesi in iraq, a falluja: dall’agosto 2003 al marzo 2004, subito prima che la città diventasse tristemente famosa a causa dell’assedio dell’aprile 2004.

Oggi membro di Iraqi Veterans Against the War, uno dei gruppi più attivi del dissenso militare negli Stati Uniti, Joseph è a Roma per partecipare, assieme ad altri esponenti internazionali, alle iniziative indette dal movimento per la pace in occasione del terzo anniversario della guerra in Iraq.

Ha 24 anni Joseph, ma ne dimostra meno: l’aspetto di un ragazzino, i modi gentili e l’aria un pò frastornata di chi è ancora sotto jet lag, racconta con grande lucidità la sua esperienza. Quando decide di arruolarsi nell’esercito Usa, ha appena finito il liceo. Il motivo principale di questa scelta, comune a tanti altri, sottolinea- è che non ha i soldi per pagarsi l’università. però, -aggiunge- sentivo anche il dovere di difendere la mia patria, se fossimo andati in guerra.

Era il 2000, prima dell’ 11 settembre. "Allora ero un diciottenne molto ingenuo, apolitico", racconta Joseph, "non avevo idea di che cosa succedeva, non sapevo nulla della politica estera degli Usa dopo la seconda guerra mondiale". E poi, aggiunge "vengo da una famiglia della destra religiosa dove mi è stato insegnato a non mettere in discussione il potere dell’autorità, e anon prendere parte alla politica."

Perciò, la presa di coscienza che l’ha portato alla politicizzazione attuale- sottolinea- è stato un processo lento.

Tutto comincia dopo l’11 settembre, quando con il suo battaglione viene inviato in Afghanistan. E’ qui che capisce che cosa significa "essere soldato di un esercito imperiale." E’ la sua prima esperienza sul fronte. "Ho visto"-dice- "gli effetti della guerra e i danni terribili, diretti e indiretti che essa provoca", però-aggiunge-"allora credevo ancora in molte idee che ci venivano propinate, credevo che i motivi per cui combattevamo fossero giusti".

Poi arriva l’Iraq, dove Joseph passa sette mesi a Falluja, il periodo- dice- che ha maggiormente influito sulla sua vita e sul suo modo di pensare.

La sa è l’82a Divisione aviotrasportata, battaglione 1/505. I militari sono acquartierati in una base fuori città e lui ha la fortuna, pur facendo parte di una unità da combattimento, ad essere destinato a compiti di supporto. Ben prima dell’assedio dell’aprle 2004, la Falluja di cui Joseph parla è una città "molto pericolosa", dove è già iniziata la resistenza contro l’occupazione. Nella prima settimana di settembre 2003 c’è un grosso scontro a fuoco, in cui vengono uccisi sette poliziotti iracheni. Ogni notte contro la base Usa vengono sparati colpi di mortaio- racconta Joseph. Poi ci sono le bobe collocate sul ciglio dela strada e mille altri pericoli.

Più lontano da operazioni di prma linea, Joseph vede comunque molti di suoi compagni che devono combattere, o restano feriti, compiendo raid e azioni "totalmente immrali".

Ma l’esperienza determinante in Iraq, è l’incontro con tre persone, tutti americani, che sono due registi,Garret Scott e Ian Olds, e un giornalista, Christian parenti, che scrive er il giornale americano The nation. I tre arrivano in Iraq per girare un dcumentario sulla vita dei soldati al fronte. E per la prima volta- "in un momento in cui avevo na grande confusione interna", ricorda- Joseph riesce ad esprimere nel film le sue opinioni, ha l’opportunità di parlare della sua sperienza e questo lo cambia profondamente.

Tornato negli Usa, finiti i quattro anni di arruolamento, prende la decisione di abbandonare l’esercito.

"E’ allora che sono diventato molto politcizzato". Ma-dice "se non fosse stato per quel film, forse oggi non sarei qui; se sono qui è perchè ho incontrato e persone giuste.

Oggi Joseph studia design, ma ha deciso di mettere a frutto la sua esperienza, che considera un privilegio, qualcosa che gli ha cambiato la vita, al servizio di tutti gli altri militari che sono in Iraq, isolati nelle loro basi e non hanno idea di cosa succedenel resto del paese e tantomeno di quello che accade fuori. "Com’era-ricorda- per noi a Fallua".

Così di recente ha cominciato a collaborare ad un progetto di informazione rivolto ai militari Usa in Iraq: un"outreach project" , che attraverso un sito web, una newsletter diffusa via email e una newsletter mensile ha l’obiettivo di tenerli informati su cosa succede. Materiali di cui la distribuzione è quasi clandestina, ma all’interno delle forze armate-dice Joseph- i soldati si stanno organizzando, anche se di questo non si sa nulla.

"I media nn parlano affatto d quello che succede in iraq", concude. "Se a gente sapesse quello che succede, ci sarebbe una maggiore consapevolezza. Noi dobbiamo dare voce ai moltissimi militari che soo in Iraq e on hanno voglia di rimanerci. Loro avrebbero molte cose da dire, ma nn possono far sentire la loro voce. Noi dobbiamo essere questa voce"


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certo
9 aprile 2006

Tutti i soldati professionisti vorrebbero essere pagati e trascorrere il periodo di leva in una base alle Haway in costume da bagno al mare. Tutti i soldati U.S.A. in Iraq vorrebbero essere soldati italiani tranquillamente accampati dentro Camp Mittica con l’ordine preciso (derivante dalla nostra pavida politica) di non combattere. Evviva il paese dei cachi !
    aaa
    15 aprile 2007

    non so cosa tu faccia nella vita ma di certo non sei stato a tallil .... li si e’ lavorato senza sparare e non siao rimasti di certo chiusi in base a prendere il sole
    irak
    1 maggio 2007

    a me piacerebbe solo sapere chi ha il diritto come persona come stato come governo a scegliere della vita di questi ragazzi e mandarli incontro alla morte o a cosa che non sono ancora in grado di vedere, perchè loro credono ancora in qualcosa che non esiste più, io prego tutti i giorni che il mio ragazzo rimanga qui, e non vada incontro a un destino che non accetterò mai