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Ed ora?

La sentenza della Corte Costituzionale ha opportunamente sgomberato il campo da anni di inutile politica, ma ora che succede?

di Emanuele G. - martedì 10 dicembre 2013 - 3120 letture

Ci voleva Crozza per far decidere la Corte Costituzionale in merito alla presunta incostituzionalità della legge elettorale conosciuta come “porcellum”? Martedì 3 dicembre un comunicato emesso dalla Corte Costituzionale annunciava che con molta probabilità la decisione sarebbe arrivata verso il mese di gennaio dell’anno prossimo. La sera stessa a “Ballarò” Crozza ironizzava su tale presa di posizione. Il giorno dopo ecco il giudizio di incostituzionalità. Strana coincidenza, vero? E’ mai possibile che in Italia un comico abbia più poteri di noi cittadini? Per inciso, ricordo che il Presidente della Corte Costituzionale guadagna cinque volte rispetto al Presidente della Corte Suprema americana e che il costo di gestione della medesima è circa il 300 % in più rispetto alla Corte Suprema britannica.

La sentenza della Corte Costituzionale ha operato su due versanti: le liste c.d. “bloccate” e il premio di maggioranza.

Il “porcellum” aveva abolito il voto di preferenza. Cioè la facoltà concessa agli elettori di indicare sulla scheda elettorale uno o più nomi in riferimento al partito per cui si è espresso il voto. Il voto di preferenza – al dir il vero – aveva assunto nel corso del tempo caratteristiche del tutto differenti rispetto alle origini. Agli inizi doveva simbolizzare il rapporto forte ed intrinseco fra il rappresentante (deputato o senatore) con il proprio territorio di appartenenza e gli abitanti ivi residenti. Nel corso degli anni, tuttavia, divenne un grimaldello mediante il quale potevano originarsi fenomeni di voto di scambio o di controllo da parte di gruppi di potere – anche criminali – sulla libera espressione del voto. Con il “porcellum” si voleva combattere tutto questo. Ma c’era un ma grande quanto una casa: i nomi da mettere in lista erano decisi dalle segreterie nazionali dei partiti. E i temuti voto di scambio e controllo del voto potevano benissimo rientrare dalla finestra! La sentenza rimette in funzione l’istituto del voto di preferenza. Una domanda. Che senso ha rimetterlo in campo allorquando i partiti sono strutture “semi-gassose” (definizione di Angelo Panebianco sul Corriere – nda) particolarmente permeabili ad influenze esterne? Il voto di preferenza ha senso solo se i partiti sono di grandi dimensioni e hanno un radicamento fortissimo sul territorio. Cosa che non è al momento.

Poi c’è la questione afferente al premio di maggioranza. Nel senso che si da al primo partito la possibilità di aumentare il numero dei propri rappresentanti proprio in virtù di un meccanismo che porta la percentuale dei voti al 55%. Ciò ha permesso al PD di avere la maggioranza quasi assoluta alla Camera. E’ andata meno bene al Senato. Vedete alla Camera il premio di maggioranza scatta avendo come riferimento l’intero territorio nazionale (ad eccezione della Valle d’Aosta). Al Senato subentra il collegio che è ritagliato a livello di regione. Ad esclusione di Valle d’Aosta, Molise e Trentino-Alto Adige. In virtù di questo meccanismo sono stati eletti circa 150 fra deputati e senatori. Fra l’altro la Giunta per le Elezioni del Senato pare non aver ancora ratificato la loro elezione. Quindi che fine faranno questi deputati e senatori? Che valore hanno le leggi approvate fino ad oggi dai due rami del Parlamento? Insomma, la confusione è massima sotto i cieli della politica romana. Con la sentenza ritorna a tutto spiano il proporzionale che noi italiani avevamo creduto estinto per sempre a seguito del Referendum del 1993. Capite benissimo che reintrodurre il proporzionale con questa metastasi continua del sistema dei partiti significa consegnare l’Italia alla massima instabilità stile “Repubblica di Weimar”.

In breve, la sentenza fa sì piazza pulita di anni di discorsi inutili posti in essere da entità partitiche oramai prive di significato e dignità. Tuttavia, dato che la succitata sentenza abroga e non sostituisce siamo ancora più del caos di prima. Chi dovrebbe fare una nuova legge elettorale? Questo Parlamento che sembra svuotato di qualsivoglia sembiante di autorevolezza? Proprio quel Parlamento che da tempo immemore cincischia con riforme promesse da decenni? Dalla beneamata Commissione Bozzi degli anni ottanta? E poi mica si possono fare riforme elettorali così su due piedi. Prima di tutto, è necessario pensare alla Forma di Stato e Governo che noi vogliamo darci da qui agli anni a venire. Quindi, nuovo fronte di criticità. L’unico organo che potrebbe intervenire è il Governo. Ma anche qui i problemi non mancano visto che Renzi promette un rapporto più conflittuale con il medesimo e che la destra sta subendo processi di assestamento e riorganizzazione. Mi sa che tutto si gioca fra Berlusconi, Grillo e Renzi. Alla faccia della volontà popolare. In breve, ed ora?


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