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Così è (se vi pare)

Nell’intervallo dell’allestimento di Giulio Bosetti - un incontro con un’ombra misteriosa...

di Michele Ruele - mercoledì 26 gennaio 2005 - 8042 letture

COSÌ È Michele Ruele

"A teatro, l’altra sera, un Pirandello - Così è (se vi pare) - nell’allestimento di Giulio Bosetti."

In un capoluogo di provincia. - Oggi. Approfitto dell’intervallo per farmi una fumata. Non ho granché da pensare, come mi succede sempre quando sono appena uscito da teatro: sto lasciando che i pensieri ricevano una forma da sé, senza insistere a dargliene una posticcia. Il freddo di gennaio è secco e limpido. Già: oggi pomeriggio ho osservato la luna appena sorta in mezzo al cielo sereno, adesso se ne sta appesa da una parte come una lampadina solitaria. Sul retro dell’auditorium dove s’è radunata la folla del sabato sera c’è un’oscurità insolita. È la strada che faccio molte volte al giorno, questa, una scorciatoia per tornare a casa, o da casa andare verso scuola o in libreria… Non mi sono accorto prima dell’uomo a pochi metri. Contro il lume della luna, ho davanti a me una maschera scura e il cappello gli nasconde tutta la fascia superiore del volto. Forse è un tecnico o qualcuno della compagnia venuto fuori a fumare, anche lui. L’uscita del palco è proprio da questa parte. È un po’ ingobbito, e poi distinguo il mento affilato. Mi sembra che abbia voglia di parlare, ma forse non si fida. O forse vuole chiedermi di accendere. Vado io verso di lui. È sempre incerto. Gli sono ormai a due passi. Ci ritroviamo nel taglio di un angolo di ombra, lui nel nero e io alla luna. C’è il rumore abbastanza distante del traffico e di quando in quando le porte del teatro si aprono per qualche motivo e ci arriva l’eco di un comando o qualche accenno di discorsi di chissà chi. L’uomo mormora qualcosa. Io non capisco, poi le parole si fanno largo: «Soverchio amore». «Prego?» faccio io. «Soverchio amore» ripete l’uomo, più forte. «O forse nessun amore, o un amore diabolico, inaccettabile». «Dice di Così è (se vi pare)?», forse vuole parlare del dramma che stiamo vedendo. «Già, questo danno stasera, vero?» «Ma perché - gli chiedo - Lei non era dentro…?» L’ombra fa un gesto con la mano. Sarà un insonne che fa quattro passi. «Come Le pare… dico… lo spettacolo» ha una inflessione strana, un po’ sopra le righe e gelida, con una vocetta acuta. Allora gli interessa il teatro, non è qui solo per caso. «Vede…» attacco io, e sto per dirgli che appena vedo una scenografia con le due uscite laterali - a meno che non si tratti di una tragedia greca - di solito comincio a sentire un senso di noia che… Lui non mi lascia nemmeno cominciare. «Insistono tanto con queste entrate laterali, sarebbe meglio invece che l’andare e il venire dei personaggi fosse meno enfatico, e poi stasera, tutti quei movimenti dei personaggi tutti insieme, insomma, sembravano delle pecore…». Rifletto che forse è molto solo e ha voglia di parlare con qualcuno, uno qualsiasi. Non era qui per caso? Che ne sa dell’allestimento di uno spettacolo che dice di non avere visto? Spengo la cicca con movimenti vistosi e faccio per riavviarmi verso il teatro. La luce della luna è davvero limpida, stasera. L’uomo adesso ride, con una risata forte, sonora. Allora è pazzo - mi guardo un po’ intorno. Ma è sottile e anche anziano, cosa può farmi? «C’era tanta gente, vero?» dice. «Sì, sì, ce n’è tanta… Per Pirandello i teatri si riempiono sempre…» «E poi, cosa si guarda di solito?» chiede. Capisco che devo accondiscendere un po’, poi mi lascerà in pace: «Bè, Goldoni tiene molto…» «Chi?» «Goldoni, Carlo Goldoni, sicuramente lo conoscerà anche lei… sa, "La locandiera", "Le baruffe chiozzotte…"» «Ah, quel veneziano del settecento… viene rappresentato ancora?» «Ma sicuro, cosa vuol dire… certi testi non hanno tempo… per quanto Goldoni, in effetti… poi si vede molto Shakespeare, certo…» «Ah, sì - sembra entusiasta - sì certo, Shakespeare… e spero anche quegli spagnoli del seicento, visto che le cose antiche ancora tengono…» «Mah, più Moliére a dire il vero… e poi anche Novecento, parecchi francesi, ma creano un certo scandalo, come Genet, Sartre… e poi Beckett…» «Ah, il novecento… - dice lui - … ma la storia è tutta quanta così caotica, non le pare?... e Pirandello si rappresenta vero? Lo vanno a vedere volentieri…» «Sì, sì, sempre, è un classico, certo… non so se volentieri…» «Quegli altri, anche quelli che ha detto Lei, del Novecento, non le sembrano un po’… come dire… deboli di contenuti… gli manca forse del sentimento, quel patetico che consente anche all’intelligenza di cogliere certe assurdità… non le pare?» «Forse sì - rispondo - è un assurdo un po’ algido…» «Avete un bel teatro qui, forse un po’ grande e dispersivo…» «È un auditorium…» «Che parola antiquata per un oggetto moderno… E ci sono teatri come una volta, con la platea e i palchi, la ribalta… all’italiana?» È strano quest’uomo, vabbè, è chiaro che è svanito… Gli parlo scandendo bene:«Sì, certo, questa è una struttura moderna…» «Ma Pirandello va bene comunque….» «Sì, sì, …» Lui ride di nuovo e poi dice: «Ma senta, lei cos’ha capito di questa storia che sta guardando stasera?» «Io? Guardi, il testo lo conosco abbastanza bene, è chiaro che il genero e la suocera sono amanti, però mi chiedo se Pirandello volesse davvero farne il centro della vicenda oppure se gli indizi gli sono come dire sfuggiti dalla penna…» «Lo sapeva lo sapeva, non si preoccupi» dice lui «… e poi mi guardo intorno e mi accorgo che la maggior parte degli spettatori ha voglia di lasciarsi consolare più che di farsi mettere in discussione - magari farsi fantasma o pazzo come qualcuno sulla scena… e inoltre, tutta questa ricerca, sembra un processo, ma i veri indiziati sono quelli che si impalcano a indagatori, a giudici…» «Lei pretende troppo, giovanotto…» Oh, insomma, anche farmi chiamare giovanotto... comincio ad averne abbastanza sul serio… «Ma la gente, dica, non trova questo dramma troppo… come dire… azzardato… o diabolico…?» chiede e gli scappano delle risate brevi, come se non riuscisse a trattenersi. È davvero pazzo, è evidente. Provo a dirgli qualcosa: «… oggi non si scandalizzano più di niente, ma forse non se ne coglie la portata… la gente non ha mica sempre desiderio di interrogarsi… e poi ancora oggi tutti credono che l’amore e lo spirito siano puri, innocenti, immuni da odio o da componenti oscure o da contraddizioni, invece Pirandello l’aveva già capito allora che c’è una zona oscura, alla quale occorre affacciarsi, che occorre essere tutti pazzi, o ebbri, perfino crudeli… Mah, non si possono dire esplicitamente queste cose, mica tutti le accettano…» «Non le sembrava - fa lui - un po’ troppo cupa, questa scena, in questo allestimento, tutto così grigio…?» e ancora ride. Ride anche mentre parlo, mi dà proprio fastidio. «Mah, forse...» voglio dirgli che il regista intendeva insistere sul testo del dramma e non gli interessa l’impatto della scena, che non deve prendere il sopravvento, e poi che in verità la maggior parte di quelli che sono sul palco sono morti, forse veramente o forse solo spiritualmente, che non si sa dove è il fantasma, dove la realtà… «Senta - mi interrompe lui e ride ancora - là non si sa dove è il fantasma, dove è la realtà… e nessuno pensa alla povera sposa, alla figlia, che è sempre assente… eppure tutti, tutti la desiderano, come la morte, la morte capisce, amano la morte, qualcosa che non c’è… e hanno tutti quei sensi di colpa, tutti sono pieni di sensi di colpa…. Solo Laudisi, che ride, che ride… lui sì… desiderano la ragazza e vorrebbero essere tutti come il genero, il signor Ponza…» L’ombra ride sempre più forte, la voce ha un riverbero strano contro le pareti delle costruzioni intorno e mi sento avvolto dall’eco. La luna per un momento mi sembra che oscilli nella sua altalena di cielo limpido, ho paura che scivoli in uno strappo del cielo e mi sento come se dovessi allungare le mani per salvarla, per non farla cadere giù. La guardo, poi mi osservo intorno. L’ombra non c’è più, nel suo angolo tagliato dal lume di luna. La vedo in fondo alla strada del teatro, ingobbita, fermarsi per un attimo poggiata al bastone e ridere, ridere forte, con la barba a pizzo sollevata nel chiaro di luna, ridere senza fermarsi più e urlarmi, sempre ridendo: «… rifletta, giovanotto, rifletta, ma non troppo, che tanto non serve a niente…» All’improvviso non voglio che se ne vada, tutto intorno mi diventa buio e insopportabile. «Ma chi sei, chis ei tu?» gli urlo. «Io… sono… ma che importa… Ah! ah! ah! ah!» Io sono paralizzato: «Torna qui! Dove vai?» «Non posso… vado di là… tu torna a teatro, ah!, vedrai che ridere…» Sul davanzale della finestra c’è una vecchia edizione Mondadori di Maschere nude, giallina con dei fregi floreali. C’è una pagina segnata da un giornale del 10 dicembre 1936. Un brano sottolineato a matita, con una riga regolare e perfettamente diritta, alla fine di Così è (se vi pare):

"Resteranno tutti, di nuovo, sbalorditi, in silenzio, a guardarsi tra loro."

LAUDISI "(facendosi in mezzo)". Ed ecco, signori, scoperta la verità!

"Scoppierà a ridere:"

Ah! ah! ah! ah!

TELA


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