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Congetture in margine al Popolo

di Sergej - lunedì 19 febbraio 2018 - 4292 letture

Ci sono cose che esistono e non esistono nello stesso tempo. Una specie di paradosso fisico (il famoso gatto di Schrödinger) che, nel caso della politica e dell’esistente sociale diventa paradosso sociale e linguistico. Il fatto che esiste la parola per indicare una determinata cosa, abbiamo la consapevolezza che per qualcuno quella cosa “esiste”. L’esistenza della parola ci dice che si è sentita la necessità comunque di indicare quella determinata cosa. Cosa poi quella parola significhi è un altro paio di maniche. Così con la parola “popolo”, che è tornata in auge attraverso il dibattito politico e giornalistico recente. Attraverso la sua derivata (intesa in senso negativo): “populismo”. Per diversi mesi giornali e tv hanno straparlato usando come un’arma questo termine: contro il M5S tacciato di essere un partito/movimento antipartitico e “populista”. Il termine usato esclusivamente per marcare in senso negativo l’avversario, tutti i partiti concordi a quanto pare nel ritenere il M5S l’avversario per eccellenza. Regola numero uno della politica: indica un Nemico, per compattare il tuo elettorato.

Ma è proprio il successo del M5S che ha fatto sì che i vari elementi del “modello” M5S vengano prelevato immediatamente - nel momento stesso in cui lo criticano - dai vecchi e dai nuovi partiti. Sono ora i partiti al potere che assumono le sembianze di partiti populisti, e cercano su questo terreno di trovare o ritrovare il consenso. Regola numero due della politica: se una cosa dell’avversario funziona, adòttala appròpriatene falla tua.

A queste elezioni stranamente non viene più usato il termine spregiativo. PD e Forza Italia hanno utilizzato politiche (80 euro ecc_) e promesse dichiaratamente “populiste” ovvero volte a solleticare gli istinti bassi della massa dei votanti, per disarticolare l’avversario (ancora una volta, il M5S). C’è però una aggregazione che utilizza il termine “popolo” nel suo stesso nome: Potere al Popolo. Una ennesima sperimentazione della sinistra identitaria proveniente dalla tradizione comunista, che ha trovato nell’aggregazione dei centri sociali (tradizione libertaria e comunitaria, cosa altra rispetto alla tradizione comunista) un carro cui fornire personale orfano dal carro politico. Regola numero tre della politica: se non puoi egemonizzare (ma questa rimane l’opzione principale), accodati e sfrutta la minor resistenza che trovi mettendoti dietro l’auto che hai davanti.

Su cosa sia questo “popolo” i più neppure si sono chiesti, chi vi partecipa ha dato le più svariate risposte (la posizione più convincente al riguardo qui).

Realtà essenzialmente urbana e legata e poche metropoli, con al centro Napoli. Potere al popolo si rivolge al sud con la stessa baldanza con cui la cultura napoletana si rivolge al resto del Mezzogiorno: Napoli continua ad avere una capacità notevole di esportazione di modelli culturali e sociali in tutto il Mezzogiorno: si pensi alla canzone napoletana, ascoltata e gradita anche a Catania e presso tutti gli strati sociali bassi (e dunque sentita come deteriore dalla borghesia locale, compresa la poca sinistra esistente che dalle classi borghesi esclusivamente proviene). A Napoli esiste la cognizione di “o’ populo”, che rimanda ancora a Masaniello e ai quartieri più poveri della città.

Realtà dei centri sociali, e realtà dei gruppuscoli provenienti dalla tradizione comunista: sono entrambe realtà di derivazione borghese, sociologicamente si parla di proletarizzazione in atto nella borghesia, ma borghesi rimangono per gusti desideri culturali e esigenze che esprimono. Come tali esiste una barriera insormontabile tra essi e il “popolo” per antonomasia, ovvero la massa dei disoccupati e dei quartieri poveri. Una differenza che spesso è anche linguistica, oltre che culturale e nel campo dei gusti.

Esiste un “popolo” dei centri sociali, che è diverso dal “popolo” dei residuati politici della tradizione comunista; ed entrambi sono diversi dal “popolo” dei quartieri poveri. Sono popoli che si possono anche frequentare o sfiorare saltuariamente: si pensi a luoghi d’incontro come un ristorante di arrusti e mangia di via Plebiscito. Ma certamente si tratta di promiscuità relative, in cui ognuno rimane distinto. Così come un turista, che può anche trovarsi a mangiare in quel ristorante, rimane un turista (il “popolo” dei turisti?).

Un “popolo” esiste non in termini astratti, ma quando trova una coerenza, e una unità d’intenti. Quando avviene questo? in caso di catastrofe collettiva, che coinvolge tutti ed elimina le barriere sociali (è quando scoppiano le rivolte e le rivoluzioni); oppure quando la paura aggrega: di qui gli appelli al “popolo” di armarsi e partire (la Grande Proletaria si è mossa, All’armi siam fascisti ecc_). Chi se lo ricorda più che il nome della testata della DC, il partito cattolico di regime, si chiamava “Il Popolo”? e il quotidiano di riferimento dell’Italia mussoliniana era “Il popolo d’Italia”.

Essendo un termine antico, il termine ha conosciuto una stratificazione di significati nel tempo e nei più diversi contesti. Essendosi stratificato nell’uso storico, è diventato termine evocativo: capace nell’uso di far risuonare più soggetti, soggetti diversi - dato che ognuno di questi soggetti dà un proprio significato al termine. E’ così diventato un termine generico, come tale buono a tutti gli usi. Non a caso la politica, che ama sempre i termini evocativi e generici, è stata pronta ad usarlo - e periodicamente lo utilizza.

Negli anni Settanta del secolo scorso c’era il gruppo di tradizione comunista/maoista di Servire il Popolo. Visto il reducismo di molti di quella tradizione, è anche probabile che il termine sia tornato d’uso anche per questo motivo. Ovviamente c’è le peuple di tradizione francese, giacobina (il salto all’indietro nel tempo è alla fine del Settecento: "La parola le peuple – nota Arendt in un saggio del 1963 sulla rivoluzione – è la parola chiave per comprendere sotto qualsiasi aspetto la Rivoluzione francese") ma poi anche reazionaria. C’è il populus che si è variamente strutturato nel corso dei secoli della tradizione latina (qui il salto all’indietro divora più secoli).

Quando Potere al Popolo si richiama al popolo, temo ci sia un uso pressapochista del termine, che fa parte dei tempi smemoranti che viviamo, tra olgettine e disuso dei congiuntivi che è ormai koiné comune. Porterà fortuna, all’aggregazione di sinistra di Potere al Popolo il richiamarsi a questo “popolo” generico e fantasmagorico, che così tanto utile nel passato è stato per risvegliare orgoglî e identità ma anche per mandare gente al macello della guerra?


ps: il nostro cordoglio per il popolo di Bologna che dovrà votare Casini alle prossime elezioni.



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