Carlentini: dal cortile alla dimensione del non luogo

Veleggio verso i cinquant’anni e vorrei parlarvi un po’ di me. Che poi significa parlare della mia città. Soprattutto.

di Emanuele G. - lunedì 4 giugno 2012 - 2758 letture

Vivo a Carlentini dalla nascita. Un paese della provincia di Siracusa di circa 18.000 abitanti. Fino ad ora ho attraversato nel corso del viaggio della vita sei decadi. A partire dagli anni sessanta. Un lasso di tempo – reputo – sufficiente per esprimere qualche riflessione personale. Non sono in grado di sapere se l’articolo che state leggendo abbia come argomento di riferimento la mia vita oppure l’ambiente dove ho fino ad oggi vissuto. In massima parte i due ambiti, quello personale e quello situazionale, si confondono. Come si fa a vivere distaccati dal territorio dove si vive? E’ impossibile. La vita di ognuno di noi provoca degli effetti sul territorio e viceversa. In chimica la chiamano osmosi. Raccontare o scrivere è quasi sempre il prodotto di una storia personale e di una storia esterna.

Riflettendo su queste sei decadi individuo un crinale che separa in maniera netta la mia vita. Almeno fino ad oggi. Situo il crinale verso la metà degli anni ottanta. Cosa è successo in quel periodo? Tutto nasce da un cambio significativo nella composizione sociale di Carlentini. Quando sono nato Carlentini era un paese costituito essenzialmente di agricoltori, artigiani ed operai. Mentre a partire dagli anni ottanta la società carlentinese risulta essere espressione del ceto impiegatizio. Ciò ha comportato diversi cambiamenti.

Nella cultura contadina il senso di comunità era un fattore molto importante. La comunità era l’humus che informava la vita di ogni suo membro dalla nascita fino alla morte. Ne costituiva il pilastro identificativo. Uno non poteva essere egoista perché un tale comportamento era considerato pericoloso in quanto metteva in discussione il senso di comunità. O appartenenza. Il centro di questa vita di comunità aveva nel cortile e nella piazza i propri epicentri antropologici. Mi ricordo i cortili pieni di vita dove le donne svolgevano diverse funzioni. Le comari erano le persone più importanti del paese. Attorno a loro ruotava la vita di un’intera comunità. E che dire della piazza dove all’alba gli agricoltori, gli artigiani e gli operai costruivano il loro diuturno lavoro? Nella piazza si riversava la vita di tutto il paese. Dalla mattina presto fino a tarda sera la città di Carlentini articolava le varie fasi del giorno proprio in piazza.

Vorrei porre l’attenzione dei lettori su altri due aspetti che reputo essenziali per capire la Carlentini dei contadini, artigiani e operai. Il fatto di dover cercare ogni giorno i mezzi per sostentare la famiglia faceva sì che l’economia cittadina fosse alquanto dinamica. L’ingegnarsi ogni giorno costituiva il carburante con il quale fare avanzare una comunità. Mi ricordo – a tal proposito – che fino alla metà degli anni ottanta si respirò a Carlentini un’aria di discreto benessere. C’erano l’agrumicultura e la vicina zona industriale a fornire un reddito sufficiente per costruire un progetto di vita. D’accordo c’era l’emigrazione. Purtuttavia, il territorio offriva buone occasioni di lavoro. L’altro aspetto attiene alla sicurezza. Cortili e piazze piene di vita e gente presente a quasi tutte le ore del giorno contribuivano a far emergere un quadro di assoluta tranquillità all’intero paese. Le comari assicuravano una funzione essenziale di controllo del territorio. Erano un presidio assolutamente irrinunciabile. Un estraneo non passava certo inosservato con il risultato di attivare subito nel quartiere forme di sicurezza informali. Tu non avevi mai paura a girare per i vari quartieri del paese poiché tutti si conoscevano e nessuno manifestava indifferenza verso l’altro.

Con la metà degli anni ottanta la situazione di Carlentini cambia nettamente e in peggio. Quali i motivi di questa trasformazione? Come al solito le mutazioni sociali non sono mai univoche e risultano essere il prodotto di una sedimentazione temporale di più concause. Tentiamo di darne un’ordinata articolazione.

Trent’anni fa la struttura sociale della città di Carlentini subì un cambiamento epocale. Buona parte della popolazione attiva non era più costituita da agricoltori, artigiani e operai, bensì dal ceto impiegatizio (dipendenti comunali, insegnanti, dipendenti di altre amministrazioni…). Ceto impiegatizio che appariva meno legato ai luoghi della città – cortili e piazze – e con un tasso di appartenenza alla comunità carlentinese piuttosto appannato e fioco. Mentre nei decenni precedenti la vita di un carlentinese si spendeva all’interno del tessuto cittadino, le nuove generazioni cominciavano a distaccarne per esprimere la loro socialità in località fuori da Carlentini. Catania ad esempio. Ma non c’è solo questo.

Scompare la centralità del cortile perché i carlentinesi, grazie al benessere, si sono costruiti case più grandi e accoglienti. Evento che ha contribuito ad isolare i nuclei familiari rispetto al tessuto connettivo del quartiere. Contestualmente cominciano a verificarsi fenomeni di delinquenza che hanno la capacità di rendere insicura la città. Anche perché il cortile non assicura più l’espletamento di tale funzione essenziale. Via via – di conseguenza – i rapporti fra le persone si fanno sempre meno intensi e frequenti diventando viepiù sporadici e costruiti su un limitato giro di consimili. Testimone dell’involuzione della qualità della vita a Carlentini è la chiusura del circolo La Goliardica che fin dal secondo dopoguerra era assurto a centro indiscusso della socialità del paese agrumicolo.

Un ulteriore livello di analisi è costituito dall’incredibile errore antropologico messo in campo a seguito del terremoto di Santa Lucia. Il terremoto doveva rappresentare un’occasione più unica che rara per discutere il presente e il futuro della città. Così non è stato. Infatti, gli unici interventi eseguiti hanno riguardato la semplice costruzione di case private. Per il resto nulla di nulla. Non ci sono stati interventi di carattere urbanistico. Non si è pensato minimamente ad assegnare una funzione ben precisa a un centro storico in rapido e costante decremento demografico. I vari quartieri non hanno beneficiato di nessuna sostanziale attività progettuale tesa al loro ricupero funzionale. Insomma, una ricostruzione da intendersi come soddisfazione di interessi singoli e non dell’interesse di un’intera città.

Infine il declino dell’agrumicultura attività economica che ha marcato la storia di Carlentini dalla fine della seconda guerra mondiale in poi. La principale causa di tale declino è da invenire nell’incapacità del territorio a trasformare un’attività un tempo fiorente in autentica risorsa economica per il comprensorio. Non si è voluto comprendere che i tempi stavano cambiando e che il meccanismo dello scambio fra produttori e commercianti non poteva reggere nel lungo periodo. Ai giorni d’oggi il comparto agrumicolo non fornisce nessun reddito sufficiente alla città di Carlentini e non credo che la situazione possa volgersi al meglio nel futuro in quanto la divisione internazionale del lavoro ha già deciso dove ci sono reali possibilità di implementare un’economia agrumicola. Sicuramente questo non accadrà a Carlentini.

Che cos’è oggi Carlentini? Un semplice ammasso di case che fungono da dormitorio per gente che è sempre meno a Carlentini e che per diverse ragioni ha nei centri vicini di Catania e Siracusa il proprio centro aggregativo in termini lavorativi e sociali. La Carlentini del 2012 è un paese anonimo e senza identità. Se mi chiedete di parlarvi di un aspetto caratterizzante di essa non sarei in grado di rispondervi. Eppure è questa la Carlentini del presente. Un paese che soffre di un’indifferenza generalizzata e dei pessimi risultati di una politica rivolta al mero perseguimento di interessi clientelari. Prima grazie all’arancio Carlentini era un luogo in quanto c’era un elemento che ne formava l’identità. Ora è un non luogo che non so se riuscirà a ritrovare il bandolo di una storia interrotta qualche decennio orsono.


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